I microorganismi intorno a noi

8 Luglio 2022

La prima volta che ho visto un invisibile microrganismo è stato al cinema, da ragazzino, seguendo avido il fenomenale duello a colpi di mimetiche trasformazioni tra Mago Merlino e Maga Magò ne La spada nella roccia (sequenza seconda solo alla contagiosa risata del gufo Anacleto che si spancia alla vista dei penosi tentativi di Merlino di dimostrare che in futuro anche l’uomo saprà volare). Come sa chiunque – è impossibile pensare a qualcuno che non abbia visto La spada nella roccia – a prevalere sarà il simpatico Merlino, che stende l’abominevole Magò trasformatasi contro ogni regola in drago (“ho detto forse niente draghi viola?”), non già sparendo ma prendendo l’invisibile forma di Malignalitalopterosis, un germe che provoca eruzioni cutanee, brividi e raffreddore con tanto di infuocato sternuto.

Malignalitalopterosis è un germe frutto della fantasia dello sceneggiatore Disney Bill Peet, nella biologica realtà del nostro mondo non esiste. Ma si parla anche di lui, a pagina 110, al numero 38, di La storia del mondo in 100 organismi, splendidamente raccontata dall’astronomo Florian Freistetter e dal microbiologo Helmut Jungwirth, edizione originale tedesca dello scorso anno, appena pubblicato per noi da Aboca, con la traduzione di Paola Slaviero.

Perché un astronomo insieme a un microbiologo? Anche questo è spiegato, nell’introduzione, con lo stesso divertente umorismo che accompagna la lettura di un volume concepito in forma di dizionario: che se l’inerzia ti porta a leggerlo come i libri chiedono, da pagina 1, dopo le prime decine (almeno nella mia esperienza) la tentazione di saltare avanti e indietro è irresistibile, scegliendo le “voci” che appaiono più curiose… per poi scoprire che lo sono tutte, egualmente, senza distinzioni.

In ciò compendiando il consiglio del Nobel per la chimica israeliana Ada Yonath, in margine alla voce Holoarcula marismortui, microrganismo del Mar Morto, fondamentale per la messa a punto della misurazione della cristallografia a raggi X (ne abbiamo parlato qui, nell’articolo dedicato alla scoperta della struttura del ribosoma da parte di Venki Ramakrishnan), un consiglio per tutti i giovani ricercatori: “1. Sii curioso. 2. Più curioso. 3. Ancora più curioso. 4. Lavora con passione, perché la curiosità non basta, bisogna anche amare ciò che si fa!”. E scriverne di conseguenza, con la curiosità e la passione che trasformano qualsiasi argomento, anche quelli delle scienze hard, in un racconto affascinante.

100 microrganismi, non uno di più, ed è facile immaginare la difficoltà che gli autori abbiano affrontato nel doverne escludere… quanti? Quanti sono, quanti siamo? Spesso ci preoccupiamo del sovra-popolamento terrestre, le stime attuali indicano il 2100 come l’anno del picco di homo sapiens: saremo 11 miliardi. Per lungo tempo Pelagibacter ubique è stato considerato l’organismo più diffuso sulla Terra. I batteri, si sa, sono piccoli e numerosi ma non necessariamente sull’ultimo gradino della catena alimentare: anche loro si difendono da microrganismi ancora più piccoli come i virus (che però, vedremo, è discutibile considerare come esseri “viventi”).

Nel 2013 una spedizione lungo la costa dell’Oregon e a largo delle Bermuda ha identificato 4 virus che infettano Pelagibacter ubique. Uno di questi si chiama come un robot di Star Wars, HTVCO10P e, quando si insinua nel batterio e si moltiplica, arriva a 40 copie di se stesso prima che la cellula batterica si rompa: fine di Pelagibacter ubique, al suo posto alcune decine di HTVCO10P (lo trovate al n° 79 dei 100). Ora, in un millilitro di acqua di mare si possono trovare fino a dieci milioni di virus, in totale la stima di virus attualmente circolanti sul nostro pianeta si attesta intorno a 10 alla 32esima… dieci quintilioni, nome inconsueto che suggerisce solo la non immaginabilità del medesimo.

Per fare due conti in proporzione: nella Via Lattea ci sono circa 100 miliardi si stelle, il numero di virus sulla Terra è cento miliardi di volte superiore, “anche supponendo che nell’intero universo osservabile ci siano un quadrilione di galassie come la Via Lattea, ognuna con circa 100 miliardi di stelle, ci sono ancora meno stelle di virus”. 

Il cielo stellato sopra di me…il microbioma dentro di me. Il numero totale dei batteri in un corpo umano è di qualche decina di trilioni, che è pari circa al numero delle sue cellule, anche se questo non significa che siamo metà umani e metà batteri: le dimensioni e il peso contano. Tutti i batteri che vivono in un uomo di 70kg pesano più o meno 200 grammi. D’altra parte, nel microbioma non contiamo i virus, che sono presenti in almeno 140mila specie solo nel nostro intestino, presumibilmente trecento trilioni in tutto il nostro corpo: il viroma, però, ci è ancor più sconosciuto del microbioma: “Dal punto di vista di un microrganismo, l’uomo è un vero e proprio pianeta”. Come raccontare tutto in soli 100 microrganismi? deve’essere stata durissima!

Nel leggere questo straordinario libro – una buona idea-regalo per qualsiasi ricorrenza – si impara chi fu il primo a “vedere” un microrganismo, il naturalista olandese Antoni van Leeuwenhoek, il 24 Aprile del 1676, uomo ossessionato dalla pulizia dei denti, appassionato di microscopi, con i quali scrutava curioso la patina bianca che si formava tra i suoi molari; si apprende che se molti animali fanno bella mostra di sé su altrettante bandiere nazionali, il 10 Maggio 2019 Phil Murphy, governatore del New Jersey, ha firmato la legge che ha reso Streptomyces griseus il microbo ufficiale del quarto stato più piccolo degli Stati Uniti; ma non è solo: l’Oregon ha come simbolo ufficiale Saccharomyces cerevisiae, meglio noto come il lievito della birra… in Oregon un eroe popolare.

Si leggono storie più conosciute, come quella di Helicobacter pylori, piccolo batterio spiraliforme che colonizza lo stomaco umano e non sempre con le modalità di un sublocatario cortese: come dimostrò Barry Marshall, può essere la causa dell’ulcera gastrica e, positivo effetto collaterale per il coraggioso ricercatore, anche dell’assegnazione del Nobel per la Medicina; ancor più nota quella di Yersinia pestis, il nemico numero uno del genere umano, un mostro-batterio di soli due micron che ha flagellato la nostra Storia guadagnandosi l’appellativo di Morte Nera, preso in prestito per la minaccia finale nella saga del futuro di Star Wars… ma tutto era cominciato nel remoto passato di 6000 anni fa, con un relativamente innocuo Yersinia pseudotuberculosis, che l’evoluzione prima ha trasformato in pestis e poi, circa 3000 anni fa, “premiato” dandogli la possibilità di essere trasmesso dalle pulci.

Magari fa meno impressione della peste, ma sapete che le banane potrebbero sparire dalle nostre tavole? Se siete preoccupati – e anche curiosi – leggete di cosa è capace Fusarium oxysporum f. sp. Cubense tropical race I, ovvero la malattia di Panama. Qualcosa del genere è successo anche ai tulipani, ma in senso positivo: quello più costoso di tutti i tempi fu il Semper Augustus, un cui bulbo ad Amsterdam, nel 1637, veniva scambiato con tre immobili di prestigio. Un esemplare straordinariamente elegante, dai petali bianchi screziati di rosso, ma a causa, come ha scoperto nel 1928 la biologa inglese Dorothy Cayley, di una malattia della pianta scatenata da un virus, TBV, presente nella linfa e che può essere trasmesso dagli afidi.

Il batterio più grande, Thiomargarita namibiensis, misura 0,75 mm di diametro ed è osservabile a occhio nudo, la grandezza equivalendo al punto finale di questa frase. Il più grande organismo unicellulare mai misurato al mondo, per altro, è un fungo mucillaginoso, Physarum polycephalum, un cui esemplare coltivato in laboratorio, nel 1987, ha raggiunto i sei metri quadrati. E il più piccolo? Se i batteri sono piccoli, i virus lo sono ancor di più, ma nel 2020 sono stati scoperti i primi predatori di virus, i picozoi e i coanoflagellati, entrambi organismi unicellulari, considerate le creature più piccole che vivono libere nell’acqua: sono stati trovati la prima volta al largo dell’isola di Helgoland.

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C’è da dire che a Helgoland, fisica o biologia, succedono grandissime cose quando si guarda a quelle piccolissime. E quello più resistente? Lo chiamano Conan il batterio, manco a dirlo, anche se il suo nome all’anagrafe è Deinococcus radiodurans, ed è capace di sopravvivere a esposizioni radioattive mille volte superiori a quelle che ucciderebbero un uomo in pochi giorni. Durante un esperimento sulla Stazione Spaziale Internazionale, Deinococcus radiodurans è stato esposto allo spazio per un anno intero, e poi anche messo in centrifuga per simulare il suo viaggio a bordo di una roccia-asteroide: non ha battuto ciglio.

“Le simulazioni al computer suggeriscono che dalla sua formazione sono atterrati su Marte almeno 100 miliardi di chilogrammi di roccia terrestre. Chissà quali passeggeri hanno portato con sé.” E se fossimo noi “i terrestri”, per i marziani? Il grande Fred Hoyle, il padre dell’astronomia moderna, rimase convinto tutta la vita, a dir poco erroneamente, che l’agente patogeno responsabile dell’influenza spagnola fosse arrivato dallo spazio, adoperandosi insieme a Chandra Wickramasinghe nel tentativo di costruire una connessione tra gli impatti degli asteroidi e la comparsa della mucca pazza e dell’AIDS: secondo la loro teoria, virus e batteri arrivano costantemente dallo spazio e questo spiegherebbe il motivo per cui nel corso dell’evoluzione il nostro naso si è sviluppato con le narici, così che nessun microrganismo cadendo dall’alto possa entrare. Si può essere astronomi sublimi, e prendere lucciole per lanterne. 

Ma in questo libro si legge anche di possibili guerre batteriologiche, di zoo dei microbi, di immunità che potrebbe essere acquisita grazie a un piatto di sushi a base di alghe vaccinali e, per rimanere in cucina, dei microrganismi senza i quali non ci sarebbero cioccolata, birra, pane e formaggi. Di LUCA, the Last Universal Common Ancestor, l’ultimo comune antenato comparso già 3,5 miliardi di anni fa (ma gli Archea potrebbero esistere da quando esiste la Terra, 4,3 miliardi di anni or sono) e di quello o quelli che rimarranno fino al bordo del tempo, che se l’essere umano è creatura delicata, i batteri, gli archea, i virus potrebbero probabilmente sopravvivere anche alla morte di una stella e rimanere sulle rocce nello spazio in attesa di tempi migliori.

Ci sono batteri che si stanno letteralmente mangiando il Titanic nelle buie profondità oceaniche dove giace e altri che si cibano di nylon, ovvero la fibra completamente sintetica inventata nel 1935 dai chimici americani Wallace Hume Carothers e Julian Werner Hill, i cui legami chimici, prima di quella data, non esistevano in natura: ergo quella dei microrganismi è riuscita a selezionare una specie nuova in pochi decenni. Ho rapidamente (!) dato conto, al più, di una quindicina di voci di questo dizionario in 100 microrganismi, e alla tentazione di spendere anche solo qualche parola per le rimanenti ottanta e passa è difficile resistere.

Ma resisto, o meglio: un’ultima curiosità riguarda la famiglia dei Coronavirus… potevano mancare? Comunque, la loro storia inizia nel 1965 nel sudovest dell’Inghilterra, grazie alla ricerca della Common Cold Unit e alla capacità di osservazione della virologa scozzese June Almeida che identificò l’antenato di quello di cui abbiamo fatto recente e sgradevolissima conoscenza: si chiama HCoV-B814. Il resto lo leggete al n° 41.

Tra i consigli di lettura con i quali gli autori congedano il lettore, c’è Brock. Biologia dei microrganismi, 1390 pagine per i quasi tre chili della 15° edizione, alla fine del quale una mezza laurea in microbiologia è rivendicabile. Ma che non necessariamente chiarisce le idee, fornendo la seguente definizione dei microrganismi: “tutti gli organismi microscopici e unicellulari, compresi i virus che sono di dimensioni microscopiche ma acellualri”.

Riassumendo: i microrganismi sono quindi invisibili a occhio nudo (tranne alcuni che lo sono), sono organismi unicellulari (tranne alcuni che sono formati da più cellule) e sono anche esseri viventi (tranne i virus che non possiamo definirli tali, giacché hanno bisogno di una cellula ospite per replicare il proprio materiale genetico). “È comprensibile il desiderio della scienza di mettere ordine, sfortunatamente il mondo reale non lo rende sempre possibile”.

È infatti, sono millenni che l’umanità cerca di classificare la vita sulla Terra. Fra i primi c’aveva provato Aristotele, ovviamente, che nella sua “scala della natura” ci mette sullo scalino più alto. Nel XVIII secolo con la classificazione di Linneo tutto è sembrato andare al suo posto: ci sono i due regni dei vegetali e degli animali, più un terzo composto dalle pietre che però non sono esseri viventi. Chiaro, ma non troppo utile anche questo.

Con le scoperte di Darwin e l’invenzione dei microscopi abbiamo aggiunto conoscenza e nuovi sistemi di classificazione: agli animali e ai vegetali si è aggiunto il regno dei protisti suddivisi in eucarioti, organismi con un nucleo cellulare, e procarioti, sprovvisti di nucleo. A partire dagli anni ’70 del secolo scorso, ulteriori scoperte, specialmente quelle del microbiologo statunitense Carl Woese che analizzando più da vicino i batteri, a quel tempo collocati ancora nel regno dei procarioti, ha scoperto che potevano e si dovevano suddividere in due gruppi ben distinti: che anche se a prima vista hanno un aspetto simile, un’analisi genetica mostra che sono tutt’altro che affini tra loro. Woese ha identificato una nuova struttura aggiungendo sopra ai regni il livello più alto di classificazione, quello dei domini, suddividendo la vita sulla Terra in eucarioti, batteri e… qui la novità: gli archea.

Una novità che ricorre ed emerge spesso nelle pagine di Freistetter e Jungwirth, giacché la differenza tra batteri e archea è difficile da comprendere se non si conosce a fondo la microbiologia. E un ulteriore consiglio di lettura, nelle finali “Altre storie sui microrganismi”, è quello d L’albero intricato di David Quammen (di cui Francesco Guglieri ha parlato anche qui) che si occupa in particolare proprio della scoperta degli archea. Sicché è almeno importante annotare che se l’uomo appartiene agli eucarioti come tutti gli altri animali, lo studio genetico su batteri e archea ha fatto comprendere che uomini, animali e vegetali, tutti eucarioti, sono probabilmente più affini agli archea di quanto non lo siano i batteri.

Gli archea, in altre parole, non sono batteri ma una forma di vita completamente indipendente. “Estremofila”, capace di resistere negli ambienti più ostili per noi immaginabili: Metallosphaera sedula, scoperto nel 2019 nel cratere di un vulcano vicino a Napoli, tollera molto bene gli ambienti acidi e i metalli pesanti e può trarre energia dalla conversione del ferro in ruggine. Dieta tutto meno che mediterranea, all’ombra del Vesuvio. Gli archea sarebbero tra le prime creature viventi nella storia della Terra: gli eucarioti, e quindi anche l’uomo, potrebbero essersi separati da essi solo molto più tardi nel corso dell’evoluzione e da essi sembrano essersi sviluppati.

Ne è testimone Lokiarchaeum, forse l’anello mancante tra archea e eucarioti, rinvenuto nel 2010 in alcuni campioni di acqua marina a più di due chilometri di profondità tra la Groenlandia e la Scandinavia, nelle vicinanze di una regione vulcanica attiva: una parte dei geni di Lokiarchaeum assomiglia, come previsto, a quelli di altri procarioti ma una parte anche a quella degli eucarioti e precisamente ai geni che formano la complessa struttura delle cellule eucaristiche. In verità, “la questione di come sia nata la vita sulla Terra, se all’inizio ci fossero archea o batteri, non è ancora risolta, ma pare che noi eucarioti umani abbiamo molto più affinità con gli archea di quanto si pensasse in precedenza […] Come spesso accade, anche in questo caso la scienza ci ha mostrato che non siamo così unici come vorremmo essere”.

Quanto alla pretesa che la vita sulla Terra scomparirà per nostra dabbenaggine… una risata ci seppellirà: magari non quella fragorosa del gufo Anacleto, ma il coro indifferente degli infiniti batteri, archea e virus che ci circondano per ogni dove.

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