5 per mille

RNA: i segreti profondi della vita

16 Giugno 2025

Il secolo dell’RNA. Forse è un po’ presto per una dichiarazione tanto impegnativa, considerando che dell’attuale XXI abbiamo vissuto solo il primo quarto, e non contando le quotazioni dell’Intelligenza Artificiale, a dir poco in salita.

Pure, per Thomas R. Cech, premio Nobel per la Chimica nel 1989 (sembra un secolo fa), fresco autore di Riscrivere la vita. L’RNA e la ricerca dei segreti dell’esistenza, tradotto da Raffaella Vitangeli per Neri Pozza Editore (l’originale, del 2024, si intitola, The Catalyst. Rna and the quest to unlock life’s deepest secret), “… il XXI secolo si sta già imponendo come l’era dell’RNA, e di strada da fare ne ha ancora molta”. Un entusiasmo comprensibile in chi ha passato una vita a studiare questa sorprendente molecola di cui ancora oggi continua indagare le caratteristiche e le potenzialità esplicative. Un entusiasmo che legge il futuro con gli occhi del più recente passato: il ‘900, la prima metà, fu certamente quello del bang della fisica, dal 1905 di E= mc2 al 1947 del primo transistor nei Bell Labs (e certo, senza dimenticare il bang del Progetto Manhattan), mentre dal 25 Aprile del 1953 si annuncia la liberazione del segreto della vita, con l’articolo su Nature della scoperta della doppia elica del DNA da parte di Francis Crick e James Watson, definitivamente compiuta con il Progetto Genoma (1990-2003), la mappatura dell’intero genoma umano, rivelato congiuntamente (e forzatamente, c’è da aggiungere)  nella East Room della casa Bianca da Francis Collins e Craig Venter, al cospetto di Bill Clinton. Fisica e biologia e spartirsi un secolo.

Quello nuovo, ne è sicuro Cech, si è acceso nel nome dell’RNA, e se il “cosiddetto” grande pubblico poteva ignorare la circostanza, non è stato più così dalla turbolenta primavera del 2020: “Il mio lavoro, come quello di molti altri, si era temporaneamente interrotto. Il mio laboratorio era stato chiuso, le mie lezioni cancellate. In compenso la materia di cui  mi occupavo era improvvisamente sulla bocca di tutti. Il pianeta era distrutto dal Covid-19, causato da un virus a RNA, SARS-CoV-2, e per combatterlo i primi vaccini a mRNA mai esistiti al mondo venivano sviluppati con una rapidità senza precedenti: un risultato sorprendente basato su decenni di cruciali scoperte sull’RNA. Scoperte di cui la maggior parte della popolazione non sapeva nulla”.

Per saperne qualcosa, Riscrivere la vita è sicuramente una guida necessaria e più (ci tornerò)… che sufficiente. Nella prima parte, come Cech introduce, il libro si concentra sulla comprensione di come l’RNA sostenga la vita, la seconda spiega in che modo la può migliorare e prolungare, fin oltre i limiti imposti dalla natura; si parla di come minuscoli RNA che funzionano come interruttori possano essere utilizzati per bloccare le malattie ma anche dell’evidenza per cui l’RNA sia il materiale genetico di molti dei virus più letali della storia, per poi tornare ai vaccini a mRNA e alla “definitiva rivincita sul DNA”, giacché è l’RNA la forza motrice dietro il sistema Crispr, quello che permette la rimodellazione della doppia elica e che è valso un altro, recentissimo Nobel per la chimica a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Dudna.

Si parte dalla proposta di collaborazione di George Gamov, “il nuovo Heisenberg” come lo aveva definito niente meno che Niels Bohr, fisico di formazione e primi interessi ma che fin dagli anni ’50 si era convinto che le questioni irrisolte e più affascinanti avessero a che fare con le scienze della vita piuttosto che con la fisica. Detto fatto, e letto l’articolo su Nature, nemmeno due mesi dopo, l’8 giugno di quello stesso 1953, Gamov scriveva a Crick e Watson, congratulandosi per aver portato la biologia nel campo delle scienze esatte (era pur sempre un fisico) e offrendosi di aiutarli a usare la matematica e la fisica per decifrare il codice genetico, ovvero come quel DNA appena scoperto codificasse per le proteine: chi fosse il “messaggero” del repertorio di combinazioni della doppia elica. La storia di questa collaborazione è emblematica anche della difficoltà che fisici come Gamow potevano, e possono ancora oggi incontrare al cospetto dei fatti della biologia: “In fisica gli eventi sono per lo più prevedibili. Basta conoscere le equazioni di Maxwell per risolvere un problema di fisica classica. Nel caso della biologia, invece, l’unica regola è: perché funzioni. Una volta che un sistema, per quanto complicato possa sembrare, inizia a funzionare bene, l’evoluzione lo blocca al suo posto e diventa difficile da modificare”. Una riflessione da tenere a mente quando pensiamo e magari proviamo a comprendere – non sia mai risolvere! – le nostre umane faccende, facendo conto su un illusorio “universo/corpo-orologio”. Man mano che i capitoli avanzano, veniamo a conoscenza dello “splicing” dell’mRNA e degli “introni”, i tratti di DNA non codificante, il lato misterioso e “privo di senso” del genoma umano. Il “montaggio della vita”, capiremo, è tutto! Scopriremo che l’RNA è anche un catalizzatore, funzionando come gli enzimi, e in ciò sovvertendo uno dei dogmi  della metà del secolo scorso, quello del chimico Nobel del 1946 James Sumner per il quale “tutti gli enzimi sono proteine”: e come conseguenza non secondaria, il fatto che l’RNA si sia rivelata una molecola in grado non solo di trasportare le informazioni dal DNA alle proteine ma di essere un elemento attivo nelle reazioni cellulari, ha comportato l’assegnazione del Nobel per la Chimica a Sid Altman e allo stesso Thomas Cech, come già ricordavamo ,nel 1989. Nel 5° capitolo dal titolo “La nave madre” si ricostruisce la storia della scoperta della struttura del Ribosoma di cui abbiamo scritto recensendo il bel volume di Venki Ramakrishnan dal titolo La macchina del gene; nel 6° si portano prove a sostegno della tesi per la quale all’origine della vita ci possa essere la molecola di RNA: “… la madre di tutti gli enigmi dell’uovo e della gallina. 

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Gli scienziati non sono mai riusciti a stabilire che cosa sia venuto prima, se la molecola informazionale, il DNA, o la proteina che lo riproduce”. Ma l’uovo e la gallina devono essere una cosa sola “… e l’ipotesi che la vita abbia origine in un mondo primordiale di RNA sembra quanto meno plausibile”. Plausibile ma, sottolinea Cech, non dimostrato e forse non dimostrabile. Se dunque l’RNA può immagazzinare informazioni, può agire come enzima, può fornire una spiegazione “plausibile” dell’origine della vita, ancor più interessante è quello che può fare in funzione di “cura”, mantenendo attive le cellule staminali e ritardando il processo di invecchiamento aggiungendo sequenze di DNA alle estremità dei cromosomi, guidando il sistema di editing genetico Crispr: non è un caso che dal 2000 le scoperte relative all’RNA hanno portato all’assegnazione di undici premi Nobel, che nello stesso periodo il numero di articoli e brevetti si sia più che quadruplicato, che esitano oltre 400 farmaci basati sull’RNA attualmente in fase di sviluppo, senza contare quelli già sul mercato. “E solo nel 2022 oltre un miliardo di fondi di capitale privato è stato investito in startup biotecnologiche che spostino un po’ più in là la frontiera nella ricerca sull’RNA”. In RNA contro RNA, anticipavamo, si racconta anche la storia più recente del vaccino contro SARS-CoV-2.

Il futuro, come quello dell’astronomia, è legato al mistero che avvolge il moltissimo che ancora non conosciamo. Dell’universo vediamo solo il 5%, il 27 è materia oscura, il 68 è energia oscura. Allo stesso modo, in biologia, circa tre quarti del genoma è qualificato come materia oscura (per decenni si è parlato di DNA spazzatura… il 75%!): “È solo sommando gli RNA prodotti da tessuti del corpo che possiamo apprezzare la reale diversità degli RNA umani. Si stima che il numero complessivo di RNA derivati da materia oscura del DNA ammonti a diverse centinaia di migliaia. Non si tratta di RNA messaggeri, ma di RNA non codificanti, che appartengono alla stessa categoria dell’RNA ribosomiale, dell’RNA transfer, dell’RNA telomerasi e dei microRNA.  Tuttavia, il loro ruolo è perlopiù misterioso”. Come a dire che, davanti a noi, c’è un futuro di meraviglie scientifiche ancora da scoprire.

Utilissimo, in chiusura il lettore troverà anche un glossario che da solo vale l’acquisto del volume. Che però, accennavamo all’inizio, è più – un po’ troppo – che sufficiente. Cosa vogliamo dire? La saggistica di divulgazione scientifica è un genere oramai codificato e qualsiasi tentativo di portare i contenuti della ricerca a pubblici diversi dagli addetti più stretti è da salutare con compiacimento. Sicché tre riflessioni. La prima. Volutamente scriviamo “a pubblici diversi dagli addetti più stretti” invece che “al grande pubblico”, perché questa supposta, “cosiddetta” entità generalista non esiste, quanto meno non esiste più dai tempi di Domenica in di Corrado e Pippo Baudo e del Tg del primo canale. Oggi l’offerta di comunicazione (e ovviamente, a monte, quello delle merci) seleziona segmenti di pubblico sempre più specifici, fino alla visione di Jeff Bezos di un negozio per ogni cliente: l’idea di un testo di biochimica che sia accessibile al “grande pubblico” è un’ambizione e un’astrazione priva di senso. Seconda riflessione: definito il segmento di pubblico al quale ci si vuole rivolgere, bisogna disegnare il perimetro di quello che si vuole raccontare, che non può essere una mappa 1:1 del campo di ricerca. Abbiamo indicato come, al capitolo 6°, Cech ripercorra la storia della scoperta della struttura del “ribosoma”, ricordando che è l’oggetto di La macchina del gene di Venki Ramakrishnan, alla stessa maniera il capitolo 10, RNA contro RNA, riassume la recente avventura di ricerca dei vaccini a mRNA. Ma, appunto, il libro di Ramakrishnan sviluppa in circa 340 pagine quello che Cech sintetizza in 11; e a Katalin Kariko’ servono 280 pagine, in Nonostante tutto, per raccontare quello che Riscrivere la vita compendia in 25. Ognuno degli 11 capitoli di Cech (più l’introduzione e un epilogo) potrebbe diventare un libro a sé: c’è tutto, ma c’è un po’ troppo, forzatamente sintetizzato, ristretto, a parere del recensore a volte strozzato. Fare una scelta, limitare l’oggetto del racconto, farne emblema del campo di indagine, può essere una strategia più efficace per arrivare a un pubblico diverso da chi, tutta la storia, la conosce già. Infine, ancor più utile risulta la selezione di un genere di discorso, di un unico campo metaforico: Ramakrishnan scrive La macchina (del gene) per raccontare il ribosoma come una macchina, discorsivamente facendoci salire, quasi in ogni capitolo, sulla macchina con la quale ha girato buona parte degli Stati Uniti, da un laboratorio all’altro, insieme alla sua famiglia. Cech scrive (a pag. 90), “comprendere la struttura di un RNA è un po’ come scomporre una frase. Anche se fossimo i migliori grammatici del mondo non saremmo in grado di scomporre una frase senza averla letta”; ma dieci pagine prima, per illustrare un esperimento, usa una metafora culinaria, “è ciò che fanno molti cuochi dopo aver letto una ricetta, la modificano un po’ per vedere se il dolce può venire meglio con un paio di uova in più o con una quantità inferiore di zucchero”; a pagina 82, invece, è il turno dei sarti, “in caso di successo, avrebbe contribuito a svelare il meccanismo nascosto dietro le reazioni di taglio e cucito che rendono possibile lo splicing dell’mRNA”. Grammatici, cuochi, sarti… tutti convocati: l’impressione è di un caleidoscopio di generi discorsivi e di metafore che può confondere e disorientare, invece che guidare il lettore alla comprensione.

La nascita della scienza moderna in Europa, argomentava Paolo Rossi, va di pari passo con l’adozione del genere di viaggio; nel tempo, specialmente per illustrare i progressi delle scienze biologiche e della medicina, si è imposta la detective story; Umberto Eco, in Opera aperta, ricordava come la grande arte del primo novecento, Musil, Kafka, Joyce, Picasso, Calder, Schoenberg provava a rendere conto dell’irruzione dell’Indeterminato, del Relativo, del Caso, del Complesso, dell’Ambiguo, del Probabile, che le rotture della scienza di inizio secolo avevano permesso. Per comunicare la scienza bisogna certamente conoscere la materia in oggetto, ma è necessario selezionare “un” pubblico, “uno” specifico oggetto di ricerca e possibilmente “un” efficace genere di discorso. Comunicare tutto a tutti con ogni possibile genere discorsivo è forse di una generosità eccessiva, anche per un meritatissimo premio Nobel.

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