Speciale

Italo Calvino nel mondo

8 Novembre 2023

Italo Calvino non nutriva dubbio alcuno: per lo scrittore italiano il come scrivere precede sempre il che cosa scrivere. E ciò è ancor più manifesto quando ci si confronta con la questione del tradurre o dell’essere tradotto in altra lingua, cosa che ogni volta sembra richiedere quasi uno speciale sortilegio, “un qualche tipo di miracolo” (Saggi, p. 1826). Convinto com’era che, per un autore, leggere se stesso tradotto è il modo migliore per capire le ragioni della propria scrittura. Del resto, per quanto sostenesse di non essere affatto portato per la traduzione, difettandogli a suo dire quella perseveranza di scavo nel testo che è prerogativa essenziale di ogni buon traduttore, ci ha lasciato la scintillante e sorprendente traduzione dell’opera più celebre del suo ultimo maestro, I fiori blu (1967) di Raymond Queneau.

Laddove l’ammessa intraducibilità del romanzo del fondatore dell’Ou.li.po, per la vicinanza e le robuste tangenze, si traduce in una riscrittura non meno ingegnosa e vorticante. Nella doppia veste di editore e di autore, per Calvino, la questione della traducibilità del testo letterario e del tradurre furono dunque centrali. Questi e altri snodi sono oggi messi in luce da un documentato e interessante saggio di Francesca Rubini edito nella collana “Laboratorio Calvino” di Carocci, Italo Calvino nel mondo. Opere, lingue, paesi (1955-2020) (Carocci, Roma 2023, €18,00, pp. 167), in cui, tenendo conto degli esiti della ricerca internazionale, propone una ricognizione complessiva sulle traduzioni delle opere dello scrittore dal 1955, anno della prima pubblicazione straniera, al 2020. L’impostazione diacronica dello studio intende ricostruire il progressivo affermarsi di Italo Calvino “come classico universale” (p. 19); seguire, nei vari contesti geografici e culturali, la fitta trama di rapporti tra lo scrittore e i suoi editori, traduttori e mediatori; così come la diversa fortuna e i diversi itinerari all’estero delle sue opere, rispetto al corpus delle edizioni italiane.

Il vaglio integrale del Catalogo delle traduzioni di Italo Calvino ha permesso, per meglio orientarsi, una tripartizione: da una fase d’esordio (1955-70) alla definitiva affermazione sullo scenario internazionale (1971-1985), in cui si registra l’esponenziale crescita delle traduzioni delle sue opere; dalla sua morte sino a ridosso dei giorni nostri (1986-2020), periodo che ha visto Calvino innalzato da scrittore contemporaneo dal successo planetario al rango di vero e proprio classico internazionale. Tripartizione che ha coinciso con le differenti immagini dello scrittore nel mondo (essenzialmente presentato come fantastico-fiabesco in principio; postmoderno e sperimentale dopo); con l’alterno affermarsi, presso pubblico e critica, di opere diverse nel novero della sua produzione complessiva (soprattutto la trilogia araldica e i romanzi percepiti come più sperimentali, su tutti Le città invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore); la restituzione dell’intreccio di rapporti con editori, traduttori, agenti letterari, amici. Ancora: oltre a confermarci il già noto (l’essere Calvino “l’intellettuale del Novecento che ha avuto il più importante impatto su scala mondiale”, cfr. p. 21), lo studio della Rubini, che tiene conto di una messe sterminata di dati e ricostruisce una composita vicenda trasversale ad ambiti diversi, inevitabilmente impone, entro un virtuoso intreccio di prospettive, la necessità di riconsiderare la figura di Calvino in un contesto allargato, in cui non sempre il Calvino del canone nazionale coincide del tutto come vedremo con quello mondiale.

Se il dato complessivo è impressionante – pubblicato in ben 67 paesi (dall’Albania al Vietnam), tradotto in 16 alfabeti e 56 lingue diverse (dall’afrikaans al vietnamita), con oltre 1500 edizioni nel mondo –, la mappa del delinearsi di una sempre più consolidata fortuna fuori d’Italia, da giovane esponente della nuova letteratura italiana a metà degli anni Cinquanta alla consacrazione, con la creazione di apposite collane o con la pubblicazione tra le più prestigiose raccolte di classici dell’editoria mondiale, consente di scorciare un profilo senz’altro più definito dello scrittore. Nel 1955, all’uscita per l’Albin Michel, del Visconte dimezzato, prima opera in assoluto dello scrittore ad essere tradotta all’estero, inizia il primo amore, difficile, con la Francia: per l’occasione, Calvino ripropone, nella lettera alla traduttrice Juliette Bertrand, un autoritratto ancora una volta incentrato, come quello fornito nel risvolto della terza edizione italiana del Sentiero, sulla polarità tra la sua Liguria, da cui scaturisce il suo mondo poetico e fantastico, e Torino, città da cui ha potuto apprendere una postura morale e civile che emerge anche nelle narrazioni che più si avvicinano all’avventura o al favoloso. Ma la vera svolta è inaugurata dall’uscita, nel 1960, del Barone rampante per Seuil: da questo momento in poi, importantissimo sarà il rapporto che lo scrittore intrattiene con Francois Wahl, figura centrale nella diffusione delle opere di Calvino oltralpe, nonché primo grande interprete dello scrittore che individuerà nell’Avventura di un poeta il modello dei procedimenti narrativi calviniani, riconducibili a un’immagine di partenza che innesca, secondo una logica serratissima, la narrazione.

Inoltre, il lavoro fianco a fianco con Wahl e i traduttori delle sue opere gli fa realizzare quanto l’italiano e il francese siano lingue “inaspettatamente” incompatibili. In Francia, tra entusiasmi e delusioni, dove si assiste al primo coerente progetto editoriale di traduzione della sua opera all’estero, nel corso degli anni Sessanta, Calvino vedrà pubblicati, oltre ai romanzi della trilogia araldica, le Fiabe, i Racconti, lo Scrutatore e le storie cosmicomiche. La fortuna di un libro insieme “originale” e “universale” (cfr. Saggi, p. 1825) come il Barone, oltre a fare da traino agli altri due romanzi della trilogia, mostra il favore riscontrato dal Calvino favolistico e fantastico degli anni Cinquanta, contribuendo a spostare l’attenzione verso novità come Le cosmicomiche, rispetto al recupero del romanzo d’esordio e dei racconti. Nel caso delle edizioni anglofone del Baron in the trees, uscite in contemporanea nel 1959, Calvino si mostra estremamente attento non solo alla cura della resa del testo in traduzione, ma anche ad aspetti non meno importanti come i paratesti (rimprovererà all’inglese Collins di non aver saputo creare il “caso” attorno al suo libro).

In occasione del viaggio negli States (novembre 1959) in cui ha modo di valutare l’impatto commerciale del Baron in the trees, il suo sguardo è sempre “sdoppiato” (p. 66): gli interessi dell’autore s’intrecciano con quelli dell’intellettuale di casa Einaudi, attento al panorama letterario e commerciale statunitense. Da New York, scrivendo a Giulio e Renata Einaudi, conclude che la modalità di guardare alla produzione europea è attuata con “criteri rudimentali”, ad opera di “poveretti quasi sconosciuti” che “per caso parlano l’italiano” (Lettere, pp. 616-617), per nulla toccati dall’idea di ricorrere per la selezione dei testi a dei veri specialisti. La svolta attesa giungerà con il nuovo traduttore americano William Weaver e l’editor Helen Wolff, artefici del nuovo volume, edito da Harcourt Brace, Cosmicomics (1968), e che lo porterà ad esprimersi in termini entusiastici col suo agente Erich Linder: “è la prima volta che posso dirmi soddisfatto di un editore straniero in vent’anni di attività” (Cfr. Lettera di I. Calvino a E. Linder, 9 ottobre 1968, in ALI, 1968, B. 36, fasc. 6). Al pari di quanto accade negli States, anche in Argentina la traduzione nel ’67 delle Cosmicomiche ad opera di Aurora Bernardez (moglie dell’amico scrittore Julio Cortazar) segnerà un’importante svolta, testimoniando quell’attenzione per le narrazioni brevi dello scrittore che si concretizzerà con la traduzione dei Racconti, epperò raccolti secondo un criterio differente rispetto a quello assunto dallo scrittore nell’edizione italiana. Mentre per le prime edizioni in castigliano in Spagna si dovrà attendere il 1970, diversi anni dopo la prima circolazione delle sue opere in Argentina, a causa dell’esterofobia della censura franchista verso l’editore Einaudi. Lo standard che Calvino chiede ai suoi editori è sempre elevatissimo (come si evince da una lettera inviata all’editrice tedesca Brigitte Berman Fischer, il 27 luglio 1960): una promozione adeguata al momento della pubblicazione; una campagna d’interviste e recensioni sulla stampa; la collocazione in collane di prestigio.

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Oltre la cortina di ferro trovano, in maniera diseguale, traduzione le Fiabe e la trilogia degli Antenati. Si segnala il caso dell’Unione Sovietica in cui ci si impegna a offrire il profilo d’intellettuale, comunista, militante, impegnato; non a caso, accanto a una selezione delle fiabe italiane, trovano pubblicazione una silloge dei suoi racconti, specie tra quelli usciti sulla stampa di sinistra, a confermare l’interesse per le narrazioni brevi. Ritratto ricettivo dello scrittore che non muterà nemmeno quando, rispettivamente nel ’65 e nel ’68, verranno tradotti il Barone rampante e le Cosmicomiche. Emblematico il caso delle storie che hanno come protagonista il personaggio-funzione Qfwfq, delle quali, nella Prefazione alla prima edizione in lingua russa, viene rimosso ogni elemento di originalità e novità sperimentale, declassate e normalizzate a meri racconti di fantascienza. Tra i paesi asiatici è il Giappone quello in cui la presenza dello scrittore è costruita con maggiore costanza e impegno traduttivo (Barone, 1964; Cosmicomiche, 1968; Marcovaldo, 1969). Appare evidente come, anche in termini di traduzione della sua opera all’estero, si deve tranquillamente distinguere tra un primo Calvino e un secondo Calvino: quello favolistico-fantastico-allegorico e quello postmoderno scoperto dalla critica statunitense e acclamato dal pubblico negli Usa, autore delle Città invisibili, del Castello dei destini incrociati e di Se una notte d’inverno un viaggiatore.

Nel decennio successivo (1971-1985), in virtù anche dell’enorme fortuna registrata negli States, e a fronte dell’imprendibile favore riscosso dal Barone, le Città e il Viaggiatore rappresentano i più solidi successi internazionali. L’iper-romanzo acquista così un ruolo centrale nella ricezione mondiale di Calvino, in quanto finisce per tematizzare narrativamente la riflessione intorno al rapporto tra autore e opere, oggetto di uno dei saggi più eloquenti degli anni Settanta: I livelli di realtà in letteratura (poi confluito in Una pietra sopra, 1980). Analoghe considerazioni svolgerà, all’interno della storia, il traduttore e antagonista del romanzo, Ermes Marana, artefice delle macchinazioni che innescano lo sviluppo della cornice dell’opera, che crede fermamente nella teoria secondo la quale “l’autore di ciascun libro è un personaggio fittizio” (Romanzi e racconti, vol.2, p. 788). Altro testo decisivo per la comprensione dell’orientamento di Calvino, del rapporto con le sue opere all’estero, sono le Lezioni americane, scritte non a caso per il pubblico del mercato statunitense che per la prima volta, insieme alla Francia, lo hanno fatto sentire un autore davvero di caratura internazionale. Nell’autoritratto che propone di sé nelle Lezioni si presenta infatti come autore italiano, ma soprattutto cosmopolita. In Francia, alla pubblicazione del Viaggiatore, negli anni Ottanta assistiamo all’uscita dei saggi dello scrittore, radunati sotto altro titolo (La machine littérature, 1984) e soprattutto con una struttura e una selezione differenti rispetto a Una pietra sopra (1980), con l’esclusione dei saggi più politici e la centralità assegnata agli scritti degli anni Settanta e al rapporto con i classici.

La sistematica attenzione che editoria, critica e pubblico tributano a Italo Calvino tra gli anni Settanta e Ottanta, la pubblicazione per Seuil delle opere più recenti accanto al recupero di quelle del passato, la presenza dei suoi titoli nelle principali raccolte di libri tascabili francesi (“Le livre de poche”), fanno sì che lo scrittore veda nella Francia la sua seconda patria d’elezione. La diffusione dell’opera di Calvino in lingua inglese conoscerà invece una vera e propria riscoperta o seconda fortuna con la pubblicazione in contemporanea delle Invisibile cities (1974) in ambito britannico e statunitense, accompagnate in quarta di copertina dal celebre articolo di Gore Vidal (Fabulous Calvino, uscito sulla «New York Times Book Review») che decreta la fortuna del libro e acquista il valore di un “secondo lancio dell’autore”. Apprezzato perlopiù da un pubblico colto e accademico, Calvino viene per la prima volta percepito come “scrittore difficile”. Nel 1985 quando viene invitato a tenere le Charles Eliot Norton Lectures, Calvino è riconosciuto come lo scrittore italiano contemporaneo più celebre negli Stati Uniti. Nell’Europa centro-settentrionale, oltre al dato dell’indiscusso successo planetario di opere come le Città e il Viaggiatore, sulla scia dei successi francesi e americani, il passaggio agli anni Ottanta fa registrare una diversa ricezione: se, nel contesto scandinavo, Calvino era stato rubricato come autore d’ispirazione fantastica per il grande pubblico, adesso s’inizia a pensare a lui come autore complesso, scrittore raffinato, il suo nome essendo associato a quello di Cortàzar, Perec, Borges… Sancendo quella netta cesura, cui s’è già fatto cenno, tra un “prima” (lo scrittore fantastico-fiabesco degli esordi) e un “dopo” (l’autore sofisticato, amato da critici, scrittori ed editori).

Ma va anche segnalato che testi sperimentali come Cosmicomiche e Città in alcuni casi vengono ancora recepiti, così accade in taluni paesi dell’Est europeo, come afferenti al mare magno del genere fantastico o fantascientifico, niente di più lontano e diverso dall’ispirazione e dalle ragioni che hanno nutrito quelle esperienze letterarie. Permanendo centrale e trainante il ruolo di alcuni paesi come Francia, Stati Uniti, Regno Unito e Germania che senza discontinuità assicurano ai lettori vecchi e giovani la fruizione dell’opera integrale di Italo Calvino, dopo la sua scomparsa, saranno ben 24 i nuovi paesi che contribuiranno ad accrescere la sua fama (tra questi Turchia, Cina, Egitto, Siria e Iraq). Le opere più diffuse dopo la sua morte rimarranno quelle già tradotte tra il 1971 e il 1985 (Antenati, Città, Viaggiatore e Fiabe). Mentre tra le opere postume soltanto le Lezioni americane riusciranno a ottenere un notevole impatto a livello internazionale. A conferma che quanto maturato tra gli anni Settanta e Ottanta ha in definitiva consolidato il canone dello scrittore e la sua percezione all’estero come classico della letteratura contemporanea mondiale. 

Il dato macroscopico che il critico può ricavare dalla messa a sistema di una mole così cospicua di dati è senz’altro la conferma della discontinuità forte, avvertita da editori e pubblico, tra il Calvino prima maniera degli anni Cinquanta e il Calvino rubricato come paladino del postmoderno, non cogliendo appieno, al contrario, quanto, per esempio, il fantastico razionale annidato nei Nostri antenati preluda alla svolta della letteratura cosmica o alla riflessione teorica e narrativa circa il rapporto tra mondo scritto e mondo non scritto, pagina e vita; o come l’aspirazione alla geometricità e al nitore di dettato dei Racconti abbiano costituito invero l’indispensabile palestra da cui, con l’intensificarsi di un’idea di racconto che si dipana sovente come “ragionamento”, sono scaturiti le storie cosmicomiche, i racconti deduttivi di Ti con zero, il catalogo delle Città invisibili e le macchine narrative del Castello, della Taverna e del Viaggiatore. E ciò spiega anche la scarsa risonanza internazionale di testi che invece riescono centrali nel cogliere l’evoluzione della parabola scrittoria di Calvino, come La formica argentina, La nuvola di smog o La giornata d’uno scrutatore.

Opere in cui, per dirne una, fa capolino quel principio di reciprocità nella descrizione/percezione d’una realtà già presentita come labirintica e complessa, via via lievitato fino ad assurgere a caposaldo concettuale e diciamo pure speculativo che ha finito per innervare di sé tutte le sue future prove: tentativi di esperire, criticamente, la messa alla prova di modelli, sistemi, metodi, lanciati con lucida disperazione sulla pagina – eterna partita di poker in cui Calvino, con i nervi a fior di pelle, ha tentato ogni volta il suo disperato all-in. Così come, ma per questo basterebbe sottrarre il suo libro postumo divenuto subito bestseller mondiale, le Lezioni americane, al per niente innocuo fraintendimento d’un Calvino icona pop, per un libro nel quale lo scrittore, tra nevrosi e metodo – declinando la sua utopia etico-gnoseologica –, per una volta ancora non chiude, ma apre: alla ricerca di simboli, immagini, emblemi, non conoscendo altro modo che quello di scommettere su quel “fragile ponte” tra visibile e invisibile che è la parola scritta. 

giovedì 9 novembre ore 11 
Biblioteca Franco Basaglia

Le Cosmicomiche
con Francesca Rubini

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