Kate Chopin torna a risvegliarsi
«La triste storia di una donna del Sud che voleva fare quel che le pareva». Così la rivista «The Nation» riassumeva Il risveglio nel 1899, l’anno in cui Chopin lo diede alle stampe. È una sinossi che mi fa sorridere, perché la trovo perfetta. È proprio di questo che parla il libro: di una donna del Sud che si mette in testa di fare quel che le pare. La donna di cui si parla è Edna Pontellier, il Sud in cui vive è la Louisiana, e quel che pretende di fare è trovare se stessa. Per riuscirci, dovrà affrancarsi dal torpore delle convenzioni borghesi – matrimoni, figli, repressione sessuale, – e risvegliarsi al «delirio della vita»: così, in capo a un’estate, Edna Pontellier comincia a dipingere, impara a nuotare, allaccia relazioni con altri uomini, seduce e si lascia sedurre, si trasferisce in una «colombaia», si abbandona alle onde del mare e alle note di una donna misteriosa.
Sei anni fa avevo letto The Awakening; oggi ho letto Il risveglio (Einaudi), perché Anna Nadotti lo ha tradotto e ne ha firmato la nota introduttiva. Siccome con Kate Chopin non posso parlare, se non con l’immaginazione, ho deciso di parlare con Anna Nadotti, che di immaginazione, musica e mare s’intende parecchio. E anche di libri, naturalmente.
Nel 1925, mentre scriveva Gita al faro, Virginia Woolf individuò la linea melodica su cui intendeva fondare quel romanzo: «in ogni pagina si deve sentire il mare», annotò sul suo diario.
Ventisei anni prima, nel Risveglio, Kate Chopin tendeva l’orecchio alla «voce del mare», una voce che «parla all’anima».
Lei, Anna, ha tradotto sia Gita al faro che Il risveglio. Perciò le chiedo: che rumore fa il mare sulla pagina? E come si traduce ascoltando il mare?
Il mare ha una caratteristica unica, può starsene completamente silenzioso, muto a farsi guardare, o urlare furiosamente, direi che può perfino singhiozzare. In questo non dissimile dagli esseri umani. Cui qualche volta presta la sua voce o il suo silenzio. Succede in Gita al Faro, succede nel Risveglio, in due contesti completamente diversi, di qua e di là dall'Atlantico. Il mare parla a Edna Pontellier, suona per lei «senza rompersi se non sulla battigia in piccole creste spumose», e si lascia lentamente abbracciare. Ma il mare è un destino anche per il signor Ramsay il quale, pur sapendo che «il mare corrode il terreno su cui poggiamo», deciderà infine di attraversare il breve braccio d'acqua per raggiungere il faro con James, il figlio che lo odiava. E Virginia Woolf approfitta di quel loro andare per raccontarci una violenta, turneriana burrasca. Sembra di vederli, i violenti marosi, sul mare quel giorno immobile. L’antico sentimento di James prende letteralmente il largo e si quieta ormeggiando.

A me sembrava di sentirlo, il mare, una colonna sonora che prendeva suono a poco a poco sulla pagina, riletta a voce alta fino allo sfinimento.
Mi pare che nel Risveglio il mare sia anche il luogo del desiderio. Per Edna Pontellier, «il tocco del mare è sensuale, avvolge il corpo nel suo abbraccio morbido, intimo». Che sia il mare il vero amante di Edna? Non è forse il mare a risvegliarla, ben più di Robert?
È senza dubbio il mare a risvegliarla. Un mare d'acqua che peraltro le ricorda, finalmente, il mare d'erba dell'infanzia. All'amica che la scruta perplessa e l'interroga, risponde: «Quell’infinita distesa d’acqua, quelle vele immobili contro il cielo azzurro, componevano un quadro cosí incantevole che volevo solo star qui seduta a guardare. Il vento caldo che mi sferza il viso mi ha fatto pensare, anche se non ci vedo alcuna connessione, a un giorno d’estate in Kentucky, a un prato che sembrava vasto come l’oceano alla bambina molto piccola che camminava in mezzo all’erba fienarola che le sfiorava il petto. Camminava agitando le braccia come se nuotasse, battendo l’erba alta come si batte l’acqua. Oh! Vedo il nesso ora!» Il mare restituisce alla donna la bambina che è stata, indisciplinata e curiosa, allergica alla cupa religiosità paterna. Tutt'altro che distratta, allora.
Naturalmente, quando si risveglia, Edna trova se stessa, si scopre come corpo desiderante e non solo desiderato. Mi pare che sia molto chiaro da cosa Edna si risvegli; meno chiaro, forse, è a cosa e a chi. Ho letto che inizialmente il titolo del romanzo doveva essere A solitary soul. Lei cosa ne pensa? Trova che Edna sia davvero un’anima solitaria?
Tutto sommato direi di sì. Traducendo il libro, che avevo letto solo in originale quasi mezzo secolo fa, un'altra età in ogni senso, avevo la costante percezione della solitudine di Edna, una solitudine che lei difende e in qualche misura radicalizza. I suoi ricordi maturano in solitudine, il suo amore per Robert prende corpo nella distanza. Darebbe la vita per i suoi figli, ma non se stessa. Direi che anche la relazione con un seduttore vanesio come Alcée Arobin è funzionale alla solitudine. Del resto la sua consapevolezza sboccia durante il lungo sonno in cui sprofonda in un caldo pomeriggio estivo nella casa di Madame Antoine alla Chênière, l'isola vicina. E se c'è un luogo in cui viviamo sole, sono certamente i sogni.

E però, come spesso accade, Edna non fa tutto da sola: c’è un incontro che sembra facilitare la consapevolezza di cui parlava, ed è quello con Mademoiselle Reisz. Nel romanzo, Chopin delinea una geometria molto netta, che vede contrapposta la donna-madre, rappresentata da Adéle Ratignolle, e la donna-artista, incarnata da Mademoiselle Reisz: la prima non fa che ricordare a Edna di «pensare ai bambini», la seconda la risveglia al «delirio della vita», facendole da mentore nella scoperta di sé. Trovo interessante che il mezzo attraverso cui Mademoiselle Reisz «raggiunge e libera lo spirito di Edna» sia la musica, che accompagna una delle scene madre del libro, quella in cui Edna legge una lettera di Robert mentre Mademoiselle Reisz suona al pianoforte l’Impromptu di Frédéric Chopin. Mi sembra di scorgere, nel romanzo, un filo che lega la musica, il mare e il desiderio. E mi sembra anche che il risveglio di Edna prenda forma all’interno della relazione con – e a tratti attrazione per – Mademoiselle Reisz. È d’accordo?
Sono d'accordo. Lo snodo della presa di coscienza di Edna sono le relazioni fra donne. Tutt'altro che semplici e piane. Come dev'essere, perché sono gli interrogativi reciproci, le specularità e le contraddizioni a muoverle, come muovono noi, oltre un secolo dopo. Nell'introduzione scrivo che «c’è sempre una fata che fila in soffitta» – una frase di Antonia S. Byatt, a cui dobbiamo, a mio avviso, alcuni dei personaggi femminili più interessanti e complessi della letteratura contemporanea. Kate Chopin non poteva certo privare Edna Pontellier delle sue fate. Anzi, gliene attribuisce più d'una e mi pare significativo che, per quanto diverse tra loro, abbiano in comune la perfetta padronanza di un linguaggio, quello della musica, quello della mitologia nativa e quello del colore.
Ecco, il linguaggio. Credo che Edna si riappropri, oltre che di se stessa, anche di certe parole. Leggendo, ne ho notata soprattutto una: capriccio. Una mattina, il signor Pontellier si rivolge a un amico medico per parlargli di Edna. «Non so cos’abbia … è strana, non è lei … ha in mente certe idee sui diritti delle donne», gli dice. E subito il medico lo rassicura: «Lasci in pace sua moglie per qualche tempo … Le donne, mio caro amico, sono organismi molto particolari e delicati … La maggior parte delle donne è stramba e capricciosa … Non la contraddica. Il capriccio passerà, gliel’assicuro». Anche Madame Lebrun definisce «capricciosa» Edna, che nella prima parte del libro subisce questo attributo. A un certo punto, però, se ne appropria – e lo fa, non a caso, proprio con Mademoiselle Reisz. È la stessa Edna a definire «capriccio» la sua decisione di traslocare in una casa tutta per sé: Edna diventa capricciosa proprio come la brezza che soffia «gagliarda» sul mare.
Questo è ciò che ho notato leggendo, ma lei, che il libro l’ha tradotto, ha sulle parole uno sguardo più profondo. E allora volevo chiederle: cosa ci dice la lingua di Chopin, com’è stato tradurla, e che ruolo ha nel risveglio di Edna?

Osservazione molto sottile: Edna dapprima subisce quell'attributo, ma frequentando il mare e la musica a poco a poco lo fa suo. Dopotutto il mare può essere molto capriccioso ma resta mare, e un capriccio, in musica, è una composizione strumentale libera, fantasiosa. Kate Chopin, che suonava egregiamente il piano, non poteva che affidare a Mademoiselle Reisz il compito di guidare Edna nell'interpretazione dei propri sentimenti. Ho tradotto questo libro avendo negli occhi due film per me di culto, Messaggero d'amore di Joseph Losey e Lezioni di piano di Jane Campion, The Go-between e The Piano. Traducendo alla lettera avremmo «L'intermediaria» e «Il pianoforte», ovvero Mademoiselle Reisz, che quasi non parla, come la protagonista del film di Campion, e come lei «suona una musica strana». In realtà il suo è un consapevole concerto per la giovane amica. Del resto siamo a New Orleans, dove nel giro di pochi anni sarebbero nati Mahalia Jackson, Louis Armstrong, Sidney Bechet... e Kate Chopin era nata a St Louis, come Josephine Baker, e Miles Davis...
Ho perso il filo, scusa, colpa del jazz. O forse no, perché è così viva, liquida e musicale la lingua di Chopin, che mi sono limitata ad ascoltarla e poi ho cercato di riprodurla, fin dalle prime righe, provando a imitare anzi far meglio del pappagallo verde e giallo, chiuso in una gabbia appesa fuori della porta, il quale ripete senza interruzione: «Allez vous-en! Allez vous-en! Sapristi! Va tutto bene!»
Proprio del pappagallo volevo parlare, perché è il primo accenno a un simbolismo – quello legato agli uccelli – che Chopin porta avanti in tutto il romanzo. Il risveglio si apre con quel pappagallo verde e giallo che parla una lingua che nessuno capisce, «a eccezione del tordo beffeggiatore» che «fischietta nella brezza le sue note flautate». Eccole, Edna e Mademoiselle Reisz: già dall’incipit Chopin ci suggerisce da una parte la solitudine e la prigionia di Edna, dall’altra la sua sintonia con un'altra creatura, di cui Edna, da buon pappagallo, cercherà di imitare il canto. C’è una scena bellissima in cui Mademoiselle Reisz abbraccia Edna tastandone le scapole, «per vedere se le mie ali erano abbastanza forti», perché «l’uccello che vuole levarsi al di sopra del comune livello di tradizioni e pregiudizi deve avere ali robuste». Edna come Icaro?
È una delle scene più belle del romanzo. Reisz-Chopin ne controlla la robustezza in quanto dà per scontato che le donne abbiano le ali. Non credi? Certo, levandosi molto in alto verso il sole, le ali potrebbero incendiarsi, ma ciò che in questo romanzo splende perennemente è la luna. E comunque Icaro aveva ali di cera.
E allora qual è, per Edna, il senso di una fine, di quella fine?
Ho la tentazione di rovesciare la tua domanda. Se fosse questo il senso di un inizio?
O, se preferisci, di citare Daniele Del Giudice, quando scrive: «Di un personaggio così, se toccasse a me descriverlo, cercherei di custodire il mistero; è più difficile custodire misteri che svelarli, veniamo formati a svelare misteri. Se mi trovassi un giorno a raccontare un personaggio di questo tipo lo farei sperando che il mistero mantenesse un po' della forza che una volta avevano i misteri. [...] E lo farei solo per colmare una lacuna, per inseguire e custodire attraverso la scrittura qualcosa, qualcuno, che dalla scrittura si è ritratto».
Custodiamo il mistero, dunque. D’altra parte, per Edna «il futuro era un mistero che non cercava mai di penetrare».
Grazie, Anna.
Grazie, Isabella.
