Speciale

La partita di giro della spending review

27 Aprile 2015

Ma chi è il freelance? Che fa? Io lo sono e ho una sola certezza. Quando devo pagare l’IVA tutti si prodigano a spiegarmi che si tratta solamente di una partita di giro. Ma quando sono io a staccare una fattura e scrivo l’importo “+ IVA”, provoco reazioni scomposte, alcuni cominciano a negarsi al telefono, altri mi guardano male e qualcuno mi insulta pesantemente. Non è per buttarla sempre sulle differenze tra Nord e Sud Italia, ma fare il freelance da queste parti non è cosa semplice. Da queste parti è il Sud.

 

In una regione che ha fatto delle sovvenzioni pubbliche la fonte di sostentamento di milioni dei suoi abitanti, è inevitabile che il freelance si rivolga al settore pubblico per sottoporre progetti e sbarcare il lunario. L’impresa privata, sebbene sia più dinamica e smart, con le idee chiare e orientate al profitto e che si definisce 2.0 (anche se ne ignora il significato) rappresenta un'esigua fetta di mercato che tende a difendere la convinzione che il freelance debba lavorare gratis, solo per farsi pubblicità. Il sistema clientelare che ha dominato quest’isola ha inevitabilmente inculcato nella testa di molti freelance la convinzione che si possa sopravvivere solo bussando alle porte degli assessorati, facendo affidamento su un sistema fondato sul così detto “finanziamento a pioggia”. Nel bene o nel male, ma sempre in percentuale al partito o al politico di riferimento, tutti potevano essere rinfrescati da una spruzzata di fondo pubblico. Quelli fuori dal sistema agognavano qualche goccia come i gerani sui balconi degli studenti del Dams. Come dimenticare gli anni dei tavoli tecnici su qualsiasi argomento, delle consulenze d’oro sullo stato di salute della lattuga iceberg, dei direttori creativi che proponevano la compagnia di teatro del lontano parente di Johnny Dorelli o una cover band dei New Trolls con cachet che neanche i New Trolls di Aldebaran?

 

Nel frattempo la rivoluzione crocettiana ha lasciato dietro di sé tre rimpasti di governo e miliardi di consonanti sbagliate; quella renziana sembra impegnata nel rimpolpare le sue fila con quelli che dovrebbe rottamare; del centrodestra del 61 a 0 è rimasto solo lo 0,8 e i Cinque Stelle continuano a invitare a cliccare su un link che rimanda a un blog che apre un sito dove è caricato un video che denuncia qualcosa ma non propone alcuna soluzione. Senza contare che l’autonomia dello statuto siciliano continua a essere una disgrazia per tutti quelli che sognano una Sicilia commissariata da un paese scandinavo che ne prenda il potere e cominci una lenta opera di moralizzazione e civilizzazione delle amministrazioni e dei cittadini, anche a costo di vietare il pusillanime cannolo, la vile cassata e di sostituirli con la virtuosa aringa affumicata.

 

Grazie ai rimbrotti dell’Unione Europea, che implorava di spendere correttamente i fondi europei che erano stati stanziati, il freelance ha creduto in un cambiamento proficuo, in una nuova era di giustizia e meritocrazia, ma non aveva fatto i conti con la spending review. Un’espressione che, prima di essere metabolizzata, ha subito qualsiasi tipo di maltrattamento fonetico e linguistico: dalla sostituzione stocastica delle consonanti d, t, g, c allo scivolamento estremo degli accenti. In un bar l’ho sentito confondere con un'agenzia di rating: la Spending & Review. Per il freelance abituato a sopravvivere in una terra di sprechi evidenti come le crepe dei viadotti della Palermo-Catania, questo concetto assumeva un significato di pulizia, bellezza e innovazione. Un’idea forte che faceva presagire un brusco stop agli sperperi, un oculato riordino della spesa e una prospettiva di cambiamento. In poco tempo, come accade da queste parti, quando il fragore si placa e tutto tende a tornare com’era, la spending review si è trasformata in qualcosa di diverso, di subdolo, diventando la scusa per eccellenza, la maledizione per il freelance che sviluppa progetti per l’amministrazione pubblica.

 

– Buongiorno, sono passato dopo circa 137 tentativi andati a vuoto di mettermi in contatto con voi telefonicamente.

– Il giovedì non riceviamo per telefono!

– Sì, lo so, infatti avevo chiamato venerdì e poi martedì e mercoledì.

– Ma venerdì era venerdì santo. Prima di Pasqua.

– Perché, eravate chiusi?

– No però…

– Comunque. Senta, volevo sapere se l’assessore si è poi espresso in merito alla mia proposta sul ciclo estivo delle Sinfonie mahleriane.

– Mi dispiace ma la risposta è no. Non ci sono i soldi.

– Ma il mio ciclo di sinfonie è praticamente a costo zero tranne che per alcune spese veramente basilari che riguardano aspetti della produzione.

– Mi dispiace ma proprio quei costi non li possiamo supportare.

– Lo capisco, ma sono dieci sinfonie di Mahler più il Das Lied von der Erde… io non so, ma, meno di così…

– Quest’anno i fondi sono andati su cose più tradizionali: il mercatino di Natale, la casa di Babbo Natale, la notte della Befana… cose così. Se ne faccia una ragione, c’è la spending rewiew non ha sentito? Noi le mani legate abbiamo.

– Che peccato, il lavoro di un anno intero… Senta, per liquidare la mia fattura come facciamo? Erano cinquecento più iva.

– No! Cinquecento iva inclusa.

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