Merano, la cittadina dove il tempo si è fermato
Sono di Merano. Ci abito da sempre. Non sono abituato a vedere la cittadina turistica dove vivo, famosa per l'ippodromo, le terme, l'uva, le mele, lo speck, i würstel e altro, campeggiare sulle prime pagine dei giornali. L'ultima volta mi pare che fosse nel 1996, per via di un efferato serial killer e delle sue sciagurate imprese.
Adesso invece Merano è balzata agli onori (o disonori) delle cronache per via della fascia tricolore che la neoeletta, giovane prima cittadina ha indossato e poi subito allontanato da sé.
Ne sono scaturite accese polemiche di stampo etnico. Ecco, i soliti “tedeschi” del Sudtirolo (anzi: dell'Alto Adige) che non sopportano il tricolore, che non amano l'Italia, che non si sentono italiani, che non sono italiani eccetera.
In genere questo tipo di polemiche è accompagnato dalla frase: siamo ritornati indietro di trent'anni.
In effetti è almeno trent'anni che sento questa frase.
Il fatto è che queste polemiche mi sembrano, e sono, del tutto pretestuose. Come quella, affine e contemporanea, sull'italiano di Sinner (che, detto fra noi, lo parla assai meglio di vari nostri connazionali, se è vero, com'è vero, che spesso certe interviste televisive a persone appartenenti a province e regioni “italianissime” devono esser accompagnate da sottotitoli in lingua corrente).
Per capire la provincia di Bolzano, che è, come direbbe Pasolini “marcia di storia”, bisogna ricordare alcune cose. È un territorio che è stato ininterrottamente absburgico dal 1363 al 1918. Dopo l'annessione all'Italia, i cui primissimi anni non sono stati troppo negativi, c'è stato purtroppo il fascismo. La marcia su Roma, nell' ottobre del 1922, è stata preceduta dalla marcia su Bolzano, cosa che forse pochi ricordano. I fascisti hanno fatto irruzione nel municipio di Bolzano, deposto il borgomastro, cacciato gli alunni sudtirolesi dalle scuole e così via. Successivamente ai cittadini sudtirolesi è stato impedito di parlare la loro lingua, il tedesco. Gli sono stati cambiati i cognomi (un esempio: da Raffeiner è venuto fuori un singolare Dalle Rovine)); i nomi dei paesi, delle città, dei fiumi e dei torrenti hanno conosciuto lo stesso amaro destino.
È chiaro che non l'hanno presa bene. Hanno subito un'atroce ingiustizia.
Certo, la repubblica democratica ha riparato ai torti subiti con un'ampia autonomia, che è di modello al mondo (non è un'iperbole), ma certe cicatrici restano.
Vanno capite, prima di gridare allo scandalo ed essere presi da facili indignazioni.
Naturalmente, a Merano (unico posto della provincia di Bolzano dove il rapporto tra “italiani” e “tedeschi” è più o meno paritario) non si è realizzata la convivenza, bensì un'altra cosa, cioè la coesistenza. Ossia, per riprendere i termini di Martin Buber, non c'è il “miteinander leben” (il vivere l'uno con l'altro), ma il “nebeneinander leben” (il vivere l'uno accanto all'altro). Comunque anche la coesistenza, pacifica, è una cosa piuttosto rara nel vasto mondo. Non dimentichiamocelo mai.
Quanto alla sostanza politica della fascia non accettata, essa è pressoché nulla.
La sindaca entrante è della Svp, un partito che non accetta, secondo il suo statuto, iscritti di madrelingua italiana. Di che stupirsi, allora? Essa è un partito dichiaratamente etnico, e non politico. E il suo statuto, ad oggi, non è stato modificato su questo punto.
La provincia di Bolzano, per questo riguardo, è una democrazia bloccata.
Come l'Italia fino agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso.

In Italia, secondo il noto politologo Ronchey, vigeva il fattore K. Ossia, essendo il maggiore partito d'opposizione quello comunista, per ovvie ragioni geopolitiche (Yalta), l'alternanza al potere non era possibile.
In provincia di Bolzano vige il fattore E. Cioè quello etnico. Anche a Merano il voto è stato etnico, la sindaca entrante è stata votata prevalentemente in quanto “tedesca”. È così. Bisogna rassegnarsi, forse. Del resto localismo, sovranismo, preponderanza degli elementi etnocentrici paiono piuttosto diffusi in Europa, oggi più di ieri.
Inoltre, anche la provincia di Bolzano, come già l'antica repubblica romana, è una democrazia apparente e un'oligarchia reale. Nei cinque secoli della repubblica di Roma i nomi dei consoli erano sempre delle stesse cinque, sei famiglie (si vedano le opere di Ronald Syme). Non diversamente nel Sudtirolo ci sono tre, quattro famiglie che detengono il potere reale. Proprio di una di queste è espressione l'attuale sindaca entrante.
Il dato che dovrebbe suscitare scandalo è che, a Merano, non è andata a votare la maggioranza dei cittadini. E al ballottaggio il numero è calato ancora, se possibile.
Questo avrebbe dovuto essere l'argomento da approfondire, da analizzare, da studiare.
Perché questo plateale disinteresse? Forse perché la politica, anche a Merano, è morta e sepolta. Ciò che resta è l'affarismo. E questo i cittadini lo capiscono, perché non sono stupidi.
Nei Vicerè di Federico de Roberto, romanzo fiume del 1894, che ha per tema il passaggio dalla Sicilia borbonica a quella dei Savoia (lo stesso tema che sarà del Gattopardo) un personaggio minore a un certo punto dice: ora ch'è fatta l'Italia, noi facciamoci gli affari nostri.
È un'evidente parodia del detto attributo al marchese D'Azeglio: fatta l'Italia, facciamo gli Italiani.
In provincia di Bolzano potrebbe tranquillamente esser riformulato così: fatta l'autonomia, facciamoci gli affari nostri.
(Devo ricordare che Marx, già nel 1848, definiva i governi semplicemente “comitati d'affari” della borghesia? Ciò che vale per i governi nazionali e sovranazionali vale anche, mi pare, per quelli locali).
Sindaco uscente e sindaca entrante, tra un po', passata la buriana mediatica (passano molto in fretta queste tempeste in un bicchier d'acqua), si metteranno d'accordo e si spartiranno la torta, come fanno da decenni italiani, tedeschi e ladini, o, se si preferisce cittadini italiani di lingua tedesca, italiana e ladina, nell'ordine. Non senza dimenticare qualche ricco investitore straniero, di dubbia fama. Amen.
