Speciale

Camminare / La rivoluzione in due passi

2 Ottobre 2016

 

Continua l’intervento di doppiozero a sostegno del Progetto Jazzi, un programma di valorizzazione e narrazione del patrimonio culturale e ambientale, materiale e immateriale, del Parco Nazionale del Cilento (SA). Il concorso termina l'11 ottobre.


Gli Jazzi (da iacere, giacere) erano dimore temporanee, giacigli per il ricovero di animali da pascolo, punto di connessione tra tratturi e paesi: luoghi dell’indugio, della presa di contatto con le cose. Il progetto intende recuperare questo modo di abitare la natura, raccontando percorsi da attraversare con lentezza, riappropriandosi di spazi e luoghi e della loro storia, rinnovando esperienze – come l’osservare le stelle o il nascere del giorno – capaci di ripristinare il contatto con la natura, con il ciclo delle cose e delle stagioni. La sfida è anche quella di produrre innovazione e rigenerazione sociale, recuperando strutture e architetture rurali, mettendo in moto un circolo virtuoso di ospitalità diffusa che si nutra delle realtà esistenti e delle reti di relazione con i ‘nuovi viaggiatori'.

 

Due passi non potrò mai ricordare. Il primo, e l’ultimo.

Due passi, il mio organismo non potrà mai evitare di fare. Il primo, e l’ultimo.

Due passi, servono per essere liberi. Il primo e il secondo.

Due passi, possono salvarci. Quelli che danno il via al Camminare quotidiano.

Il primo passo io l’ho compiuto nel secolo scorso. Era la metà degli anni Sessanta. Non lo ricordo, ovviamente, se non per i racconti fatti dai miei genitori. Eppure, quel primo passo ha cambiato la mia vita. Il corpo se lo ricorda. Se no, come avrei potuto fare il secondo, il terzo, il quarto e poi gli altri milioni di passi, sino a oggi? Se la mente e l’anima non conoscessero bene l’immensa potenza contenuta in quel passo di mezzo secolo fa, come avrei potuto riconnettermi al Cammino dopo anni incerti e sedentari? Grazie a quel passo, il mio corpo ha capito che l’orizzonte si allargava e che stavo prendendo coscienza di essere parte di una lunga catena di esseri viventi, una storia antica migliaia di anni. Ha capito che io ero pronto per proseguire il Cammino. Quel passo ha posto le basi della comprensione di quanto sia forte e irrinunciabile il senso di libertà che la vita ci dona nel corredo genetico. Con quel passo, ho proseguito la mia strada e senza voltarmi indietro, semplicemente seguendo l’istinto, per seguire la via verso l’interezza di un essere umano che vive in relazione con ciò che fa parte della Terra. Perché Camminare mi rende membro della Comunità Terra e attore delle sue relazioni complesse e inscindibili.

 

L’ultimo passo ancora non so dove, quando, né come lo compirò. Ci sono stati momenti in cui ho temuto di non potere più camminare. Problemi “meccanici” del corpo, nati da problemi più profondi, interiori. Quando dieci anni fa, per ri-camminare ho dovuto ri-fare il primo passo con un altro atteggiamento, ho scoperto una Terra Incognita senza pari. Ma ricordo quella sensazione brutta, la paura di poter essere fermato da un “guasto meccanico” del mio scheletro, portato con me per tanti anni. Era come avere la sensazione di poter morire da un istante all’altro, di potermi trasformare e passare nell’invisibile mondo dove, sono sicuro, ci sono tante creature ancora in cammino.

Penso che l’ultimo passo potrebbe essere descritto come Jack London dipinge magistralmente la fine di Martin Eden nell’omonimo capolavoro del 1909: “e nel momento in cui lo seppe, cessò di saperlo.” Martin si lascia annegare nel mare. Torna nel Profondo. È la Psiche, o anche l’inconscio: quel luogo immateriale dove tutto scorre e il Cammino non numera i passi, ma semplicemente, scorre. In fondo, il punto è tutto qui.

 

Cosa sappiamo? E cosa cesseremo di sapere? Camminare non solo è l’istinto attivato da un impulso. Camminare è una conoscenza, una vera scienza che si è sviluppata per tentativi ed errori sino a perfezionarsi in quel magnifico sistema di trasporto del corpo umano. Noi diamo per scontato che camminare sia un fatto normale. Ma non possiamo dimenticare che da quadrupedi siamo diventati bipedi e quindi sedentari a quattro o due ruote. La morte culturale di questa società è la sua sedentarietà; credere che salire su un mezzo meccanico e percorrere trecento metri per spostarci sia una conquista che ci piace definire “comodità”, evita il problema: la realtà è che abbiamo abdicato dando mandato alla tecnologia di sostituire l’intelligenza dei piedi. Henry David Thoreau è Walden o Disobbedienza Civile, ma soprattutto, nel nostro caso, Camminare. Era il 1989 quando acquistai questo piccolo libretto di 78 pagine, a 11.000 lire. Nel cuore dell’America ci sono sempre stati i Thoreau, gli Emerson, i Melville, i Whitman, i Leopold, i Lopez: perché il cuore delle Americhe è indigeno e anche se questo Cammino hanno provato a nasconderlo sotto l’asfalto e il cemento, lo spirito della Terra ha sempre ritrovato e indicato il sentiero.

 

Thoreau, in Camminare creò un sentiero la cui eco non ha fine: “in wildness is the preservation of the world”, significa che lì risuona il richiamo primordiale. Camminando, lo sento come se fosse adesso: “in ciò che è selvatico, risiede la conservazione del mondo”... Già. L’uomo un tempo camminava, senza la necessità di esserne consapevole. Camminare era la sua tecnologia, ci si spostava così. Grazie ai piedi ci si sentiva padroni di se stessi per esplorare le vie del mondo. E se qualcuno ostruiva quelle vie, quel tipo di uomo poteva provare a camminarle e riconquistarle: il suo strumento era l’interezza dell’esperienza di vivere. Pulsioni interiori, desideri e realizzazioni abitavano nello stesso corpo.

L’uomo di oggi, trova spesso cemento e recinti che non lasciano neppure dieci centimetri di spazio per lasciare passare i piedi e le gambe per andare da un punto all’altro. Nei paesi scandinavi esiste l’allemansrett, il diritto di ogni uomo, il diritto di passaggio. È un diritto naturale, sancito dalla legislazione di nazioni come la Norvegia. Io non amo disturbare le altre persone: ma se trovo una via ostruita in montagna, io avanzo, perché ho il diritto di ogni uomo. Il mondo è mio tanto quanto lo è di tutte le altre creature. Il mondo è un diritto di tutti, e prima ancora il dovere di tutti di accogliere l’Altro.

 

Al mattino accompagniamo i bambini a scuola, possibilmente in auto. Oppure prendono un mezzo pubblico, anche quando vivono vicini all’istituto dove studiano. Invece di farli camminare, li chiudiamo dentro otto ore, poi escono, fanno i compiti, mangiano e infine vanno a dormire. E camminare? I più illuminati lo fanno durante le vacanze, ma prima i compiti!, per carità. Invece il compito del bambino è quello di muoversi e camminare. Non abbiamo molto da insegnare, solo esperienza da trasmettere. Il bambino è la Vita che ci viene incontro per ricordarci che la Libertà è un valore imprescindibile. Seguo i passi di mio figlio nei boschi e lungo le vie. Vedo cose che non credevo di potere rivedere: sono cose che esistono, sono un etere poetico. Ma quando percorro le vie delle città e dei paesi, non di rado mi sento privato dell’essenza che fa della democrazia del camminare un vero snodo verso il futuro.

Penso al caso limite, a L’Aquila, ancora oggi “città non camminabile”. Lì, il gesto più naturale che un cittadino può fare è impedito da follie politiche incapaci di dare ciò che dicono di garantire: la Democrazia. Per questo dobbiamo camminare. Per affermare la Terra, per ricordare che è di tutti e non di chi “la compera”. Finita la Terra, non servirà a niente possedere. Non riusciremo a creare l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo. Il Cammino che immaginiamo ogni giorno per vivere una vita consapevole e degna di essere vissuta.

 

Recintare nostra madre Terra ha significato dirle che preferivamo andare a divertirci, invece che impegnarci a preservarla e a onorarla. Abbiamo perduto il legame con il diritto del wild di essere ciò che è. Quel diritto include anche i nostri. Il dramma della perdita della democrazia del camminare sta nel fatto che alcuni nostri simili sentono questa situazione come una condizione ideale, anzi un’aspirazione. La società che tutti insieme abbiamo creato manda un messaggio chiaro: se non ti sottoponi alla produzione di massa, sei fuori. L’unica via di uscita è tornare a vivere secondo il diritto selvatico, recuperare le gambe, riconoscere che i nostri piedi sono più intelligenti di tanti cervelli riuniti in un Parlamento o a un vertice mondiale della sostenibilità: in quei luoghi, nessuno sa cosa sia il Cammino di una civiltà.

Come cambia la percezione del muoverci a piedi negli spazi della quotidianità?

Come cambia il paesaggio mentale e interiore, in relazione al mutamento di quello esteriore? Questa è la metafora che dobbiamo rimettere al centro della discussione.

 

Il Cammino prevede una visione. Una visione prevede un legame. Un legame prevede di scegliere un rapporto di intimità. Un rapporto di intimità ci fa sentire vivi. Sentirsi vivi significa respirare, camminare, sentire la forza della vita percorrere muscoli vene e articolazioni: significa non avere paura, la vera arma letale per lo spirito umano. Il luogo della libertà è lì fuori: per trovarlo serve un gesto semplice, il primo e l’ultimo che faremo nell’età della consapevolezza: camminare. Perché camminando, sento l’intimità con la Vita.

 

Tratto da Camminando, ebook, collana ZOOM wide, 2015, Feltrinelli, p. 120, € 4,99. Ed. in brossura Lubrina-LEB, p. 120, € 12.

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