5 per mille

Le promesse del farne a meno

3 Giugno 2025

Da tempo, nella sezione di saggistica delle librerie un po' ovunque nel mondo, troviamo volumi dedicati alla storia culturale di una parola o di un concetto. Penso a Histoire de la merde, di Dominique Laporte nel lontano 1978, e poi a ritmo sempre più serrato ben due volumi dal titolo identico Love, A History rispettivamente di Simon May, 2013 e di Rayan Patrick Haney, 2024; Classico. Storia di una parola di Silvia Tatti, 2015; Dio, Una storia umana di Reza Aslan, 2018, e molti altri.

Il digiuno. Storia, scienza e filosofia del fare a meno il Saggiatore 2025, apparentemente appartiene a questo genere, ma con molti distinguo. In primo luogo, l'autore John Oakes non è uno storico, uno psicoanalista, filosofo, antropologo o un "tuttologo", bensì un editore americano — co-fondatore di OR Books e editore della rivista Evergreen Review— con alle spalle una carriera all'insegna della passione politica e della militanza culturale.

La prima cosa che colpisce di questo saggio sono le domande insieme esistenziali e politiche da cui scaturisce. E su tutte: è possibile nel 21esimo secolo, dal centro dell'impero, in epoca di tardo capitalismo fermarsi e considerare alternative al consumismo sfrenato? L'autore vuole indagare cosa può accadere — individualmente e come collettività — se tentiamo di rifiutare l'obbiettivo indotto di mirare a pancia e portafoglio pieno. Da qui ci conduce su un doppio binario in cui interseca la cronaca di un suo digiuno di una settimana (assume solo acqua, tè e brodo vegetale) con un'esplorazione dei significati e delle pratiche di astinenza dal cibo, che accompagna la storia dell'uomo attraverso i secoli. Osservazioni quotidiane sui sette giorni del proprio digiuno, danno inizio a ognuno dei sette capitoli del libro e vi fanno da sottofondo. Quello dell'autore non è un digiuno rituale, salutista o morale, ma direi esploratorio, investigativo.

"Volevo una pulizia profonda, una decorticazione così radicale da arrivare fino alle mie cellule e costringerle a rinnovarsi. Non mi illudevo che il processo potesse essere curativo o permanente, o che avrebbe cambiato il mondo. Volevo semplicemente liberarmi del mio stato mentale corrente per aprirmi a qualcos'altro, qualsiasi altra cosa, anche solo per qualche giorno".

Lasciandosi condurre da Oakes nella sua storia culturale del digiuno, ricca di esempi, aneddoti, curiosità e follie, si scopre via via come il rifiuto di alimenti, da parte di un numero esiguo di individui accompagni da sempre la storia dell'uomo, ma assume a seconda delle intenzioni, valenze diverse e spesso opposte. Se da millenni alcuni uomini e donne si autoimpongono il digiuno in forme più o meno radicali o ritualizzate, altri sono affascinati dall'osservazione del digiunatore. Agli occhi della società il digiuno di chi non segue una pratica codificata da una religione — il Kippur per gli ebrei, Ramadan per i musulmani, Uposatha per i buddisti, Ekadashi per gli induisti, eccetera, diventa “sospetto”. Il digiunatore viene visto alternativamente come santo, asceta, pazzo, fenomeno da baraccone, millantatore, performer o nel caso dello sciopero della fame, resistente. La carrellata di esempi nel tempo e nello spazio va dall'astinenza da cibo nell'antico Egitto e nella Persia, alle scuole filosofiche greche, ai padri della chiesa, all'ascetismo medioevale, al Rinascimento, all'età moderna fino alla contemporaneità. Ci sono molti esempi dalla penisola italiana, tra gli altri: Santa Caterina da Siena, Luigi Cornaro, un nobile veneziano che con il suo Trattato de la vita sobria del 1558 è tra i primi a teorizzare il digiuno come panacea universale e Santorio Sartoro contemporaneo di Galileo, inventore della sedia per pesare, primo osservatore compulsivo del peso corporeo. Merito dell'autore è quello di integrare con intelligenza e quando occorre ironia, storia e religione con medicina e scienza. L'oggetto è l'atteggiamento umano rispetto al digiuno in tutta la sua complessità e contraddittorietà.

La sensibilità letteraria di Oakes viene fuori in tutto il libro, attraverso accenni. Si sofferma specificatamente su due autori: Melville, il cui Bartleby intraprende un "digiuno dalla società" e Kafka di Il digiunatore e Indagini di un cane.

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Digiunare diventa metafora e esempio limite dell'auto privazione sensoriale. L'autore, esamina forme di digiuno non alimentare come il digiuno da sesso e altre forme di privazione sensoriale. In un'occasione si reca a Minneapolis agli Orfield Labs che ospitano una "camera aneoica" forse il luogo più silenzioso al mondo, con un livello sonoro negativo di -13 decibel: "Al buio, senza alcun meccanismo per misurare lo scorrere del tempo, sono disancorato. Mi stacco dal fondo del mare e nuoto in profondità fino a un punto in cui il fondale si perde. Allora rimango sospeso su un abisso buio e senza fondo, dove vedo solo sfumature di buio in ogni direzione e sento il suono del mio stesso respiro". Dopo quasi due ore, un suono: "Eccolo. Un lieve rumore impetuoso che, come mi diranno più tardi, è prodotto dal flusso del sangue nelle mie vene. Giro la testa e le ossa del collo scricchiolano udibilmente. Faccio una smorfia, un sorriso, e sento il crepitio della pelle. Avverto un fruscio come di carta da regalo: è il suono delle mie palpebre che si aprono e si chiudono". Come dire, la privazione sensoriale come preludio a un sentire alternativo più profondo, similmente alle tradizioni mistiche dove lo svuotamento permette nuovi livelli di percezione.

Tra le principali religioni, tutte prescrivono il digiuno a scopo purificatorio o di espiazione a vari gradi di intensità salvo il Sikhismo, che evolutosi in tempi di persecuzione religiosa secondo Oakes ha voluto differenziarsi sia dall'Induismo che dall'Islam, e lo Zoroastrismo. In India, come maggior parte delle civiltà umane il digiuno ha avuto anche aspetti del tutto slegati dalla pratica spirituale. L'autore ci illustra la pratica del "praya" in cui chi ha subito un torto e non si sente difeso dalla legge, digiuna sulla porta della casa di chi ha commesso il torto fino a che la sua istanza viene accolta e esaminata giuridicamente.

Il libro descrive e categorizza la varietà di impulsi, intenzioni e credenze alla base delle diverse forme di digiuno, soffermandosi sulle principali: la purificazione religiosa/spirituale, i benefici reali o presunti sul piano della salute, disfunzioni fisiche o psicologiche come l'anoressia, e infine quella che all'autore interessa di più, la protesta politica.

Quando il digiuno, spiega Oakes, viene usato. come mezzo di protesta, cambia nome e diventa sciopero della fame. "Questa forma di digiuno è un modo per forzare la discussione quando chi detiene l'autorità ha dichiarato concluso il dialogo. Sul piano dell'immaginario, per i manifestanti lo sciopero della fame è uno strumento potente: attraverso la fame, i dissidenti rendono manifesta la mancanza di giustizia, traducendo una nozione astratta ("siete ingiusti") in una sfera concreta". Oakes nota che come l'ascetismo anche lo sciopero della fame ci accompagna dagli inizi delle società umane organizzate, ripercorrendo, per quanto ce ne siano tracce, questa storia e illustrandone l'efficacia e la potenza. All'interno di una ricca panoramica scopriamo che nella battaglia per la rappresentanza costituzionale nella Russia zarista, lo sciopero della fame era uno degli strumenti principali. Tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento Londra divenne uno dei rifugi principali per i rivoluzionari e anarchici russi. È ipotizzabile che furono loro a importare in Inghilterra lo sciopero della fame, che "si rivelò un'arma trasformativa nella lotta per il diritto di voto delle donne". Le attiviste inglesi furono rapide a percepire l'efficacia dello sciopero della fame e decisero di applicarlo il più spesso possibile sia in libertà che quando incarcerate. L'Irlanda è un altro dei luoghi dove lo sciopero della fame ha ottenuto successi politici e disarmato l'autorità: "Tra il 1913 e il 1923, circa diecimila prigionieri irlandesi praticarono lo sciopero della fame. Gli unici ricorsi dell’autorità contro chi sciopera sono accettare le richieste, l’alimentazione forzata o l’assunzione di responsabilità per l’eventuale morte.

Naturalmente astenersi dal mangiare può portare a danni fisici notevoli e anche alla morte, come nel caso del sindaco di Cork, Terence MacSwiney, condannato per sedizione, che morì dopo settantaquattro giorni senza cibo in prigione. La sua morte, fu la prima a essere riportata in grande rilievo dai media fuori dall'Irlanda, suscitando simpatia per la causa irlandese, tra gli altri da parte di Gandhi e di Ho Chi Minh.

Lo sciopero della fame ha avuto praticanti celebri da Gandhi a Angela Davis e al sindacalista César Chàvez. Oaks include anche molti casi meno noti, come alcuni detenuti— senza processo— a Guantanamo dopo l'11 settembre o altri finiti tragicamente, come quello di Khader Adnan, un panettiere della Cisgiordania, arrestato dal governo israeliano dodici volte nell’arco di diciannove anni senza essere mai accusato di atti violenti. Al tredicesimo arresto inizia uno sciopero della fame e dopo tre mesi, nel maggio 2023 muore di fame nel carcere di massima sicurezza di Ramla.

Oakes non intende né può arrivare a conclusioni definitive sul digiuno. Piuttosto, invita il lettore a esaminare l’ipotesi che privandoci del tanto a cui siamo assuefatti, facciamo spazio a qualcosa di nuovo e di diverso. Perché riempiamo il più possibile il piatto al buffet e abbiamo difficoltà a contenere i nostri acquisti on line e consumiamo senza ritegno risorse che sappiamo non rinnovabili? E se autolimitassimo la scelta?

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