Libri e moschetti
Quando, in un’intervista, venne chiesto a Furio Jesi di descrivere che cosa fosse la cultura di destra, lo studioso dei miti e dei materiali mitologici rispose che essa rappresenta «la cultura entro la quale il passato è una sorta di pappa omogeneizzata, che si può modellare e mantenere in forma nel modo più utile». Un luogo innervato di radici letterarie e fantastiche, in cui tuttavia i valori si presentano come indiscutibili, cristallizzati in parole dall’iniziale maiuscola — Tradizione, Giustizia, Rivoluzione. Una sorta di naso di cera, dunque, da volgere e girare a piacimento da parte di un potere pienamente consapevole del proprio radicamento nel presente. Jesi ammoniva chi si scandalizzava nel rintracciare residui di tale cultura nel presente, invitando piuttosto a ricostruirne la genealogia: sapere da dove arrivano certe forme e come riescono a ripresentarsi, anche quando mutano le cornici storiche e i lessici.
Si può partire proprio da qui e chiedersi se questa definizione resti attuale e, soprattutto, a quali fonti della cultura materiale — a partire da quella editoriale — si abbeveri oggi la destra del terzo millennio. Perché la “pappa” di Jesi non è solo una metafora efficace, ma una descrizione di metodo: il passato può essere reso docile, levigato, disponibile, fino a perdere le sue fratture e diventare un alimento identitario che non fa inciampare. È un passato che non interroga, ma conferma; non apre problemi, ma li chiude dentro parole forti, parole-mondo. Quando la memoria assume questa forma, ciò che si perde non è solo la complessità, ma la possibilità stessa di mediazione e interpretazione.
Negli ultimi giorni si è discusso della partecipazione di Passaggio al Bosco — casa editrice d’ispirazione fascista — a Più Libri Più Liberi, generando proteste anche da parte di editori e autori, tra cui Zerocalcare e Corrado Augias. Senza entrare nel merito del caso specifico, l’episodio consente di interrogarsi su tendenze culturali che stanno riemergendo, portando con sé un passato dato per metabolizzato e invece solo rimosso. Perché ciò che emerge non è mai soltanto un editore, ma una forma di legittimazione nel discorso pubblico. Per rintracciare l’aria di famiglia che lega il fascismo, la sua istituzionalizzazione e le sue riformulazioni sociali, occorre guardare all’editoria, ai suoi dispositivi concreti: le case editrici e i cataloghi, immagini di specifici ordini del mondo.
Storicamente, la destra post-Ventennio non si è ricomposta in un unico movimento, ma si è frammentata in correnti differenziate anche per il diverso grado di vocazione esoterica, intesa come concezione della storia in cui verità superiori vengono trasmesse come rivelazioni iniziatiche, alimentando un senso di elezione e appartenenza. Un meccanismo analogo è all’opera nelle teorie del complotto che attraversano la cultura non mainstream. È qui che il riferimento all’Ur-Fascismo di Umberto Eco diventa decisivo. Non si tratta di un regime singolo, ma di un’abitudine mentale: una grammatica simbolica e affettiva che può manifestarsi anche in contesti democratici. La riconosciamo quando la Tradizione si presenta come verità rivelata e sottratta al progresso della conoscenza; quando il dissenso diventa tradimento; quando la differenza è percepita come minaccia. E poi l’ossessione del complotto: la storia come trama occulta; il nemico insieme fortissimo e debolissimo. Da qui la vita come guerra permanente, il disprezzo per i deboli, il popolo ridotto a monolite, il vittimismo come arma politica. Infine, la neolingua: parole che non descrivono, ma comandano e confermano.
L’universo editoriale di destra ed estrema destra conta oggi, solo in Italia, decine di case editrici, diverse per intenti ma accomunate da una medesima vocazione. Quasi tutte condividono infatti uno stesso sentire: una frustrazione nei confronti dello stato attuale della cultura, che si declina poi nelle differenti proposte editoriali rese visibili dai cataloghi. Sarebbe difficile, in questa sede, tracciarne un profilo esaustivo; è però possibile circoscrivere il fenomeno e rintracciare alcune linee di tendenza comuni, delineando un continuum che va dalle posizioni più “moderate” a quelle apertamente estremiste. Esistono editori il cui target non è necessariamente composto da un pubblico di destra, pur presentando nei cataloghi numerosi titoli riconducibili a quell’area. Idrovolante Edizioni ed Eclettica Edizioni (fondata dal deputato di Fratelli d’Italia Alessandro Amorese) si collocano in una zona di transizione, fungendo da “ponte” tra una destra moderata e una più radicale. Qui il presente si intreccia con una proiezione futura che passa attraverso una narrazione ideologica segnata da un complottismo attenuato e da un revisionismo prudente. Le opere commemorative dedicate a figure di riferimento di quel mondo finiscono così per assumere una funzione museale: non strumenti di conflitto, ma oggetti da esposizione, neutralizzati come cimeli.
Muovendoci verso una tendenza più marcatamente esoterica e complottista, incontriamo case editrici come Il Cerchio Edizioni — che ha pubblicato la seconda edizione di Il mondo al contrario di Roberto Vannacci — Cinabro Edizioni ed Effedieffe, una delle poche realtà di dichiarata ispirazione cattolica. Le loro proposte editoriali si collocano all’interno di una cornice che, dalla critica al progressismo e alla modernità, conduce in un vero e proprio viaggio a ritroso, fino all’esaltazione del mito o della religione come antidoto alle derive omogeneizzanti della contemporaneità. Nel caso di Effedieffe, l’impronta esoterico-complottista emerge con particolare evidenza nei continui riferimenti all’occultismo e a presunte sottotrame segrete ordite contro la Chiesa e la storia dell’Occidente: il complotto diventa così totalizzante, una lente attraverso cui interpretare la realtà nel suo insieme. In questo quadro si inseriscono anche ricorrenti richiami a un giudaismo costruito in termini cospirazionisti, che riecheggiano in modo inquietante la genealogia dei Protocolli dei Savi di Sion. Per Il Cerchio e Cinabro, invece, la narrazione non si sviluppa principalmente su un piano storico — o perlomeno non solo — ma su basi apertamente metastoriche, che trascendono la cronaca dei fatti per inscriverli in un orizzonte simbolico e archetipico. In particolare, per Cinabro la dimensione cospirazionista si colloca un passo indietro rispetto a quella esoterica, assumendo la funzione di pars destruens all’interno di un progetto più ampio di ricostruzione dell’uomo e dell’umanità nel loro complesso. Anche gli USA e il movimento MAGA diventano attori in questo tentativo di colpo di stato alle istituzioni e alla cultura europea, in un’apparente contro-tendenza rispetto al resto dell’universo di destra, restituendo l’impressione di voler semplicemente gridare all’allarmismo generale.

Esistono poi realtà editoriali in cui la componente esoterica si salda con un universo apertamente estremista, fino a configurarsi come una “verità” alternativa che assume progressivamente i tratti del negazionismo. È il caso di Thule Italia Editrice, delle Edizioni Settimo Sigillo e, soprattutto, delle Edizioni di Ar. Quest’ultima, oltre a essere una delle esperienze più longeve del settore — fondata negli anni Sessanta — rappresenta in molti sensi il capostipite dell’editoria di destra radicale. Il suo fondatore ed editore, Franco Freda, figura centrale e notissima della storia politica e giudiziaria italiana, imprime infatti al catalogo un orientamento che ne “certifica” senza ambiguità le posizioni.
In Ar non si tratta più soltanto di cospirazionismo o di suggestioni esoteriche: l’asticella si alza fino ad accogliere in modo esplicito autori provenienti dall’universo negazionista — tra cui, in Italia, il nome più noto è quello di Carlo Mattogno — insieme a figure come Corneliu Zelea Codreanu, Léon Degrelle o Maurice Bardèche, appartenenti a pieno titolo all’orizzonte fascista, nazista e antisemita del Novecento. Se è vero che questi nomi compaiono anche nei cataloghi di altri editori della medesima area politica, è altrettanto evidente come, nel caso di Ar, essi trovino spazio in modo sistematico: non come oggetti di studio o di contestualizzazione critica, ma come riferimenti ideologici di cui si condivide l’impianto teorico e di cui si promuove attivamente la diffusione.
Thule e Settimo Sigillo si differenziano, inoltre, perché la prima si occupa principalmente di nazionalsocialismo nei suoi toni più spiccatamente antisemiti e razziali, con svariati volumi che riprendono anche il discorso sul mito, essenziale nella narrazione nazista; la seconda invece conta numerosi volumi che spaziano dal paganesimo romano agli anni di piombo, dal revisionismo storico di Serrano e Irving al fascismo italiano. Il problema, qui come in altre case editrici, non sta tanto nei temi trattati, quanto nella totale assenza di un apparato critico che riesca a contestualizzare gli eventi raccontati e restituire al fenomeno la complessità che merita.
Passando da una destra dai tratti più marcatamente razzisti ed esoterici a una destra “del nuovo millennio” incontriamo case editrici differenti per proposta editoriale, ma molto simili per il pubblico di riferimento che intendono intercettare. Altaforte Edizioni nasce all’interno degli ambienti di CasaPound e si rivolge in primo luogo a un target più giovane. I riferimenti storici della destra vengono qui rielaborati in chiave contemporanea: i richiami al mito o ai cosiddetti “padri nobili” — come lo stesso Evola — funzionano soprattutto come un substrato culturale condiviso, quasi un’etichetta capace di garantire una continuità di marketing più che funzionare da categoria culturale in grado di fornire solidi fondamenti teorici. I modelli culturali e identitari sembrano quasi figure-testimone, elementi intergenerazionali che tengono insieme passato e presente senza costituire un vero impianto dottrinario.
Questa impostazione è coerente con l’autodefinizione di “fascisti del terzo millennio” adottata dagli stessi militanti, che orientano lo sguardo non più esclusivamente verso il passato, ma in modo sempre più esplicito verso l’attualità e i suoi conflitti.
Sullo stesso registro, pur con differenze significative, si colloca anche la vera pietra dello scandalo della mostra romana: Passaggio al Bosco. L’ambiguità di questo editore risiede nel suo presentarsi attraverso un linguaggio dal sapore tradizionalista, a fronte però di un catalogo che dà l’impressione di un uso puramente strumentale della tradizione, ormai privo di un reale aggancio con il passato e di una prospettiva ideologica strutturata. Il risultato è un dispositivo editoriale proiettato interamente nel presente, quasi un social cartaceo, in cui i riferimenti alla tradizione funzionano come contenitori vuoti, pronti a essere riempiti dai temi e dalle ossessioni delle nuove destre globali. I richiami formali non mancano — il linguaggio è riconoscibile, le allusioni sono tutte al loro posto — ma emerge con chiarezza come questa proposta sia figlia del proprio tempo. Non a caso l’editore ha tradotto, nel 2024, il volume Trumpismo Esoterico, che mira a esplorare la leadership del presidente USA guardando da vicino il suo percorso politico, e pubblicato recentemente un pamphlet sull’attivista statunitense Charlie Kirk, fondatore dell’organizzazione conservatrice Turning Point USA.
Il discorso esoterico, se presente, non regge più come impianto autonomo: diventa piuttosto una componente funzionale all’edificazione di un immaginario condiviso, uno spazio simbolico entro cui i nuovi “adepti” possano riconoscersi e collocarsi in un presente à la Musk, cioè un tempo senza memoria che non sia quella artificiale generata dall’addestramento dei propri modelli linguistici su larga scala. È dunque corretto porsi sul chi vive di fronte alla proposta editoriale di Passaggio al Bosco, ma non — o non soltanto — per il rischio legato ai singoli titoli che propone. Il punto critico risiede piuttosto nella sua capacità di presentarsi come una sintesi tra “vecchio” e “nuovo”: un dispositivo in cui il passato viene utilizzato come sfondo mitico, mentre uomini e fonti sono messi al servizio di una nuova ideologia palingenetica, priva di mediazioni. In questo modo, la complessità del presente viene disarticolata e ricondotta a un meccanismo di semplificazione e di appiattimento prospettico, nel quale Eco, e noi con lui, avrebbe con ogni probabilità riconosciuto alcuni tratti di quel fascismo eterno da lui descritto. L’ideologia della nuova destra è così pronta per rappresentare quello spazio di frizione che si è aperto tra la percezione di un cambiamento tecnologico che appare estraneo al “noi”, la promessa di una stabilità economica e la rabbia verso un mondo avvertito come indecifrabile. Il passato viene inizialmente mobilitato come strumento di riconoscimento identitario, ma finisce per ridursi a un feticcio, mentre mutano radicalmente i presupposti del confronto politico e democratico. In questo scenario, l’indicibile diventa enunciabile, giustificato, legittimato in nome proprio di quella complessità democratica che si vuole abbattere e cancellare. Si aprono le porte delle esposizioni di libri e, con esse, convive tranquillamente la ricerca di capri espiatori: ai più deboli si attribuisce la responsabilità del disordine, si invoca la dittatura del politicamente corretto, mentre il fascismo continua a produrre vittime reali. Cambiano i nomi e i bersagli — non Evola ma Musk, non gli ebrei ma i migranti, le femministe, l’Europa — ma il meccanismo resta riconoscibile.
La pretesa di presentarsi come prima immagine coerente del nuovo mondo, fondata su un annichilimento dell’Europa e delle istituzioni condivise conduce a una conseguenza precisa: l’eliminazione della memoria e della storia come pratiche collettive di selezione, filtraggio e revisione culturale e identitaria. Al loro posto si impone un automatismo proprietario, univoco, che non interpreta né discute, ma accumula credenze. E qui la sinistra — e, in generale, chiunque si definisca antifascista — dovrebbe leggere il pericolo della destra attraverso gli occhiacci di legno della sua editoria: pericolosa innanzitutto a se stessa nel rendere visibili e praticabili gli spazi di emersione di una nuova escatologia — quella incarnata, emblematicamente, da Musk — che rischia di sfuggire di mano agli stessi apprendisti stregoni che la alimentano. È per questo motivo che occorre guardare alla nuova destra con occhi diversi, per coglierne il fenomeno nella sua interezza: non per legittimarlo, ma per riconoscerne le forme, la grammatica, e il rischio di trasformare il passato in impasto e l’impasto in destino.