Luci sull’attore / Emma Dante e Antonio Latella al Piccolo Teatro

9 Marzo 2017

È segno di apertura o piuttosto di ripiegamento, quando l’arte comincia a riflettere con insistenza su se stessa? A giudicare dalle proposte che hanno segnato questa stagione teatrale, per il teatro l’esigenza di meta-interrogarsi sulla propria funzione è urgente più che mai. 

Limitiamoci al cartellone milanese: è approdato proprio in questi giorni in Triennale L’arte del teatro di Pascal Rambert che – dopo il fortunato La prova prodotto da Ert – torna a chiedersi cosa significhi essere un attore, rivolgendo un fulminante monologo a un cane-primo spettatore.

 

Paolo Musio in L’arte del teatro di Pascal Rambert, ph. Luca del Pia. 

 

Al Piccolo Teatro, l’argomento sembra essere quasi un sotterraneo fil rouge della stagione: ha cominciato in autunno Toni Servillo con Elvira di Louis Jouvet, ha proseguito Antonio Latella con il suo Pinocchio, e ora è il turno di Emma Dante con Bestie di scena

Rambert e Jouvet si collocano in quella linea che prosegue ininterrotta dal celebre monologo dell’Amleto shakespeariano: i due testi scandagliano le attitudini e le prassi del mestiere, aprono discussioni sulle tecniche, si domandano quasi ossessivamente dove risieda quel nucleo segreto di verità a cui un attore dovrebbe sempre anelare. Il pubblico viene messo nelle condizioni di guardare dentro i meccanismi, quasi potesse idealmente sbirciare all’interno delle discussioni durante e a margine delle prove, e potesse poi trarne conclusioni di carattere teorico. 

Qualcosa di ben più radicale accade invece nelle partiture sceniche di Antonio Latella e di Emma Dante: qui l’interrogativo sull’arte dell’attore investe le fondamenta stesse del fare teatro, ne trasforma i linguaggi, ne smangia i contorni. Le due ricerche si muovono, per la verità, in direzioni estetiche e artistiche molto differenti tra loro; ma tanto Dante quanto Latella hanno scelto, fin dagli esordi, di allontanarsi con decisione da ogni forma di ‘rappresentazione’, di racconto lineare, di semplice esposizione di un testo. Nelle loro regie non c’è patto di finzione con il pubblico che venga rispettato, non c’è trucco che non venga svelato, non c’è filtro di mediazione che non venga sondato e messo in crisi. E in questo contesto, cosa resta dell’‘interprete’ tradizionalmente inteso?

 

Christian La Rosa in Pinocchio di Antonio Latella, ph. Brunella Giolivo. 

 

Gli attori, nei loro spettacoli, risultano per lo più straordinariamente efficaci, paiono capaci di superare ogni possibile limite fisico o vocale, e riescono immancabilmente a conquistare lo spettatore con la loro intensità e credibilità. Ma a uno sguardo attento ci si accorge di qualcosa di più profondo: che la stessa definizione di ‘bravo attore’ non è più adeguata o sufficiente per descrivere quello che stiamo vedendo, e che richiederebbe di essere rielaborata e rivista alla luce del codice espressivo al quale è prestata (di questo tema ha parlato di recente anche Rossella Menna, su queste pagine). La visione sull’attore si inscrive così pienamente nel linguaggio scenico, al punto che non è più possibile considerare la prima senza tenere conto del secondo, e che risulta spesso difficile concentrarsi sulla bravura del singolo performer (“mi interessa davvero poco lavorare con quelli che non guardano allo spettacolo di cui fanno parte come a un insieme unico”, dichiara apertis verbis Latella, in La misura dell’errore curato da Emanuele Tirelli per Caracò). Non stupisce, dunque, che i premi agli attori, per gli spettacoli di Dante e Latella, siano di frequente rivolti all’intero cast (il gruppo di Sorelle Macaluso arriva in ballottaggio all’Ubu 2014; gli attori di Santa Estasi vincono l’Ubu 2016): è il modo di concepire il lavoro attorale, prima ancora che l’esito performativo, a venire riconosciuto. 

 

Bestie di scena di Emma Dante, ph. Masiar Pasquali. 

 

I due spettacoli in scena al Piccolo Teatro parlano di tutto questo. Pinocchio declina i temi della favola in senso teatrale, forzando i limiti dell’opposizione dialettica verità/finzione; e il teatro dei burattini di collodiana memoria diventa allora il luogo in cui ridefinire i contorni di una nuova possibile arte scenica (all’illusorietà dell’idea di personaggio, e ai limiti della concezione di ‘battuta’ come di un testo semplicemente mandato a memoria è dedicato un lungo brano di Massimiliano Speziani, re-improvvisato ogni sera). Bestie di scena, dalla sua, offre uno scorcio sul laboratorio creativo della regista: lo spettatore viene invitato – fin dai primissimi istanti dello spettacolo – a guardare e a condividere la preparazione fisica a cui sono sottoposti quotidianamente gli attori, per poi riflettere sul loro contributo nel processo creativo, e infine sulle valenze quasi metafisiche di un così radicale lavoro sul corpo.

 

Bestie di scena di Emma Dante, ph. Masiar Pasquali. 

 

Si tratta di due spettacoli senza dubbio significativi e a cui, ben al di là dell’esito spettacolare più o meno convincente, dovrà guardare chi vuole sapere dove sta andando il teatro di oggi, e come sta cambiando pelle anche nell’ascolto delle altre arti in costante trasformazione.

Niente che non sapessimo, beninteso. Ma le due proposte acquistano una particolare rilevanza – al contrario di quello che è stato scritto – proprio poiché inserite, a stretta distanza l'una dall'altra, nel cartellone del Piccolo Teatro (che si è fatto carico in ambo i casi anche della produzione) e offerte a un pubblico ampio e non pre-targettizzato. E ben vengano quindi le reazioni di rifiuto (che speriamo non spaventino programmatori e produttori): le sedie lasciate vuote dopo l’intervallo in Pinocchio, gli articoli che prendono le distanze dall’‘abuso’ degli attori in Bestie di scena, i commenti facebook che in questi giorni rimbalzano con virtuale aggressività da bacheca a bacheca.

Ben vengano perché ci confermano che chiedersi chi sia, oggi, l’attore, non è solo un’attività autoreferenziale e accademica, da lasciare a pochi tavoli di discussione tra addetti ai lavori. Ma che è piuttosto uno stimolo alle domande che possiamo e dobbiamo porci, come spettatori: cosa scegliamo di vedere a teatro? Quale linguaggio scenico e attorale è in grado di raccontare la metamorfica realtà che ci circonda? Cosa ci smuove, cosa ci emoziona, cosa ci annoia? 

E di prassi attorali e sceniche che sollecitino al dubbio abbiamo più che mai bisogno, di questi tempi.

 

 

L’arte del teatro di Pascal Rambert si può vedere al teatro delle Moline di Bologna dal 14 al 31 marzo; Elvira di Toni Servillo da Louis Jouvet al teatro Niccolini di Firenze fino al 12 marzo; Bestie di scena di Emma Dante fino al 19 marzo al Piccolo Teatro Strehler di Milano.

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