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Africa: il progresso del sottosviluppo

7 Luglio 2025

È impressionante o forse sarebbe meglio dire inquietante, come un libro scritto oltre cinquant’anni fa risulti tristemente ancora di grande attualità. È il caso di Come l'Europa ha sottosviluppato l'Africa (Mimesis, 2025, p. 582) scritto quando l’autore, lo storico e politico guyanese Walter Rodney, aveva solo trent’anni. Da allora il divario di disuguaglianza tra Africa e Occidente si è ampliato, mentre la povertà in Africa è peggiore oggi rispetto a cinquant'anni fa. Il tempo purtroppo, non ha sminuito le idee proposte da Rodney né la forza delle argomentazioni.

Prima fra tutte quella che individua la natura dell’imperialismo come radicata nel capitalismo, in quanto espressione di potere, dominio ed espansionismo. L'imperialismo, dunque, collega il capitalismo coloniale allo sfruttamento e all'espansionismo.

In particolare, il libro affronta il capitalismo coloniale, impostosi in Africa fino all'inizio del XX secolo, prima che una nuova forma di capitalismo di tipo liberale e globale prendesse il sopravvento, che ha portato in regioni dove non era centrale il concetto di “sviluppo”. Sebbene lo sviluppo sia spesso visto quasi esclusivamente in termini economici, Rodney sostiene che questa concezione ristretta ignori le interconnessioni tra vita economica, socio-culturale e religiosa. Una lettura successivamente ripresa dall'economista premio Nobel Amartya Sen.

Rodney non nega che ogni società umana cerchi di migliorare (sviluppare) se stessa e che questa capacità di progredire non è esclusiva di una singola società, ma sostiene che ogni società si sviluppa al proprio ritmo, a modo proprio e nei propri tempi. Mette inoltre in discussione le espressioni sottosviluppo, in via di sviluppo e sviluppato. Rodney non lo afferma, ma nella sua argomentazione è implicito che il termine "sviluppato", spesso usato per descrivere l'Occidente, implicherebbe il raggiungimento di una fase finale del processo di sviluppo, il che, ovviamente, è un errore, poiché lo sviluppo è un processo continuo, aperto e non concluso. Per quanto riguarda "in via di sviluppo", spesso usato per descrivere luoghi come l'Africa, suona come una presa in giro, dato che è stato l'Occidente a svilupparsi, mentre l'Africa, per molti versi, ha cessato di svilupparsi. Questo ci lascia con il concetto di sottosviluppo, che Rodney ritiene essere il termine più appropriato per descrivere lo stato dell'Africa.

La logica dello sviluppo, per Rodney, è connessa al sottosviluppo, non solo in termini comparativi, ma anche relazionali. Egli sostiene che questa relazione sia dialettica, nel senso che "i due si generano a vicenda attraverso l'interazione", in quanto strettamente legati. L'unico movimento che avviene è unilaterale, così che la parte ricca continua ad arricchirsi mentre quella povera continua ad impoverirsi. Questo è significativo per la tesi principale di Rodney. Un'altalena che funziona correttamente è quella in cui c'è movimento da entrambe le parti, dove a volte potrebbe persino verificarsi un equilibrio, come potrebbe assumere la forma di equità nel commercio. Ma l'equità difficilmente può realizzarsi all'interno di un sistema che è stato truccato fin dall'inizio per produrre un risultato che sia interamente vantaggioso per una delle due parti. Quindi, non solo l'Europa ha impoverito l'Africa, ma nel processo l'Africa ha anche contribuito allo sviluppo dell'Europa. Come afferma Rodney, «l'Europa occidentale e l'Africa avevano una relazione che assicurava il trasferimento di ricchezza dall'Africa all'Europa».

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L’impoverimento coloniale dell'Africa presuppone uno sviluppo africano precedente al colonialismo, che Rodney illustra citando civiltà africane in cui arte e cultura, filosofia, politica ed economia erano altamente sviluppate. Queste società produssero le grandi opere d'arte del Benin, Ile, Ife, non era dunque vero che l'Africa prima del colonialismo fosse sottosviluppata.

Rodney individua due tra i fattori responsabili del sottosviluppo africano: «In primo luogo" – scrive, "la ricchezza creata dal lavoro e dalle risorse africane è stata accaparrata dai paesi capitalisti europei; e in secondo luogo, sono state imposte restrizioni alla capacità africana di sfruttare al massimo il potenziale economico – che è ciò che caratterizza lo sviluppo». Il duplice sfruttamento dell'Africa ruotava attorno alle due L, ovvero: land e labour e l’impedimento nello sfruttare in pieno il suo potenziale economico è centrale nel pensiero dell’autore.

Il capitalismo coloniale, dopo avere distrutto una economia di sussistenza, non ha neppure lasciato un'eredità di capitalismo o una cultura di produttività e innovazione in Africa: «il capitalismo nella forma del colonialismo non è riuscito a svolgere in Africa il compito che aveva svolto in Europa nel cambiare le relazioni sociali e liberare le forze di produzione». Piuttosto, l'eredità del capitalismo coloniale è stata la creazione di una cultura di dipendenza in cui l'Africa è diventata dipendente da attori esterni anche per i mezzi di sussistenza di base che era solita produrre per sé stessa. Un caso disperato con la mentalità del mendicante.

Altro importante fattore fu la tratta degli schiavi, che privò l’Africa dei suoi giovani uomini e donne più capaci, proprio la manodopera necessaria per lo sviluppo. E la fine della tratta non pose fine alla schiavitù degli africani. Il capitalismo coloniale si limitò a spostare il sistema dal lavoro alla terra, attraverso la conquista territoriale e il controllo sovrano. Se la schiavitù era l'estrazione forzata di manodopera dall'Africa, il colonialismo fu l'appropriazione di territorio e la sottomissione di un popolo al suo interno.

«Finché gli stranieri possiedono terra, miniere, fabbriche, banche... allora per tutto il tempo la ricchezza dell'Africa fluirà verso l'esterno nelle mani di quegli elementi» scrive Rodney. Oggi il fenomeno è noto come "fuga di capitali". Ma c'è anche la fuga di esseri umani. Il concetto di "fuga di cervelli", ormai familiare nel discorso africanista e che descrive il modo in cui i più brillanti e i migliori africani vengono attratti verso l'Occidente, sembra essere un fenomeno recente. Rodney affronta questo concetto nel suo libro. Ma in realtà, il fenomeno della fuga dei cervelli in Africa è iniziato con la schiavitù. Se i migliori africani continuano ad abbandonare l'Africa, dove sono le menti che contribuirebbero allo sviluppo dell'Africa?

Ciò che è indiscutibile è che l'Africa è più povera nel 2022 rispetto al 1972. Il debito che ha con il mondo sviluppato è quadruplicato in quel periodo, mentre la sua capacità produttiva è stata decimata. Il solo interesse che paga per il servizio dei debiti è pari alla metà del suo reddito annuo, il che significa che si trova in una perpetua schiavitù del debito da cui non ha via di fuga. Dal colonialismo in poi, l'Africa non ha quasi mai registrato un surplus commerciale con il resto del mondo, solo deficit e un debito che continua ad aumentare di anno in anno. Le sue materie prime più preziose vengono estratte e vendute al di sotto del valore di mercato, mentre i profitti astronomici vanno a investitori esterni. L'Africa di oggi è a malapena in grado di sfamarsi, mentre importa i prodotti agricoli di base che un tempo produceva. Il suo sistema sanitario è sull'orlo del collasso, mentre le sue varie istituzioni e settori come l'istruzione funzionano a malapena. Ma Rodney non assolve gli africani dalla responsabilità dello sviluppo del loro continente. Incolpa in particolare la borghesia africana di essere complice del malessere socio-economico dell'Africa, un fatto che è stato aggravato dalla corruzione.

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In copertina, Dogon (Mali), fotografia di Marco Aime.

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