5 per mille

Puglia Showcase 2025

11 Luglio 2025

Da Formigoni

C’era un luogo centrale, serale e notturno, nella vetrina del teatro pugliese organizzata da Puglia Culture, il consorzio che cura la distribuzione del teatro e della danza (e molte altre attività) nella regione. Era la casa-masseria di trulli di Carlo Formigoni, milanese, propulsore agli albori degli anni settanta del teatro ragazzi, pedagogo, regista, inventore di teatro. Innamoratosi della regione del tacco d’Italia, aveva contribuito alla nascita del Teatro Kismet a Bari e poi del Cerchio di Gesso a Foggia. Era stata, quella masseria di trulli, un luogo di laboratorio, di riflessione, nel silenzio della campagna piena di stelle e lucciole. Dal 2 al 5 luglio ha accolto, con luminarie da festa di paese, cibi tipici, angoli ristoro, spettacoli e concerti, un centinaio di invitati, operatori nazionali e internazionali, critici, addetti vari ai lavori, riuniti per guardare spettacoli di teatro e danza pugliesi, selezionati tramite avviso pubblico da una commissione di esperti. Per toccare con mano quanto il sistema dello spettacolo della Puglia sia articolato, vario, maturo.

I luoghi di questa vetrina e festa in realtà erano diversi: si partiva, dal 3 al 5, con incontri, nella biblioteca di Martina Franca e presso la Fondazione Paolo Gassi; si vedevano spettacoli, al ritmo di tre al giorno, al teatro Verdi di Martina, al Paolo Grassi di Cisternino, per spostarsi infine “chez Formigoni” nella campagna di ulivi, viti, mandorli e terra rossa tra Cisternino e Ostuni. Diventava febbrile, quel luogo di silenzio, di raccoglimento teatrale e interiore di un autore che, superati i novant’anni, si era inoltrato a piedi nel mare aperto ed era sparito.

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Incontri

Partiamo da quello che non c’è stato. Il 4 luglio si sarebbe dovuto discutere di Nuovi indirizzi della riforma del codice dello spettacolo, con interventi di esponenti della Commissione cultura del Senato e della Camera dei deputati. Poche ore prima della discussione sono arrivate le disdette dei relatori, per cause varie: evidentemente, dopo i tagli selvaggi a molte realtà della scena più innovativa, la materia risultava spinosa. Si è parlato invece di critica a Sud, il 3, con un focus particolare sulla formazione, anche grazie al nuovo ruolo dell’Università di Bari che ha istituito un Dams. Il 5 l’attenzione è stata rivolta alla strategia regionale per teatro e danza.

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Danza

Tra gli spettacoli si è vista molta danza, non tutta di livello. Erano presenti compagnie con numerosi interpreti, in creazioni di impatto collettivo. Da ricordare La sagra della primavera. Il rituale del ritorno, una reinterpretazione del famoso brano di Igor Stravinskij, attraversato con l’elettronica da Benedetto Boccuzzi. Roberta Ferrara ha reso la coreografia una grigia macchina di alienazione che ricorda certe atmosfere di Metropolis, per sfociare in tentativi collettivi di resistenza, di ribellione. La compagnia, Equilibrio Dinamico, nasce a Pezze di Greco (Br) nel 2011 e in seguito si trasferisce a Bari, dove opera.

Un’altra comunità incalzante è quella di Wolf Spider, presentato da ResExtensa – Porta d’Oriente, compagnia nata nel 2004, fondata e diretta da Elisa Barucchieri. Il “wolf spider”, alla lettera “ragno lupo”, è la taranta, il ragno il cui morso nelle estati assolate è ritenuto la causa del tarantismo, analizzato da Ernesto De Martino e da vari altri studiosi, un rituale musicale e coreutico di cura di forme di alienazione femminile. Lo spettacolo mescola tradizione, citando la “danza delle spade”, la pizzica, i veri e propri rituali musicali del tarantismo. Traspone il mondo della Puglia contadina di un passato di povertà in uno scenario nebbioso, distopico, che anche qui fa pensare a uno spossessamento delle sicurezze sempre incombente. Nel muro dell’aria plumbea di futuro pure si cerca di aprire varchi al desiderio di rinascita. Attraverso l’urgere del movimento dei corpi.

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Teatro

Morte e rinascita. Il Salento ne è un esempio continuo. Meta ambita del turismo, è riuscito perfino a trasformare il dolore, la povertà, l’esclusione del tarantismo in (discutibile) evento spettacolare con Le notti della taranta. A percorrerlo oggi, il lembo più meridionale della Puglia si rivela un cimitero di antichi ulivi. La Xylella, un piccolo parassita vorace, ne è la causa. Sul tema sono stati scritti libri approfonditi e appassionati come Il fuoco invisibile di Daniele Rielli (Rizzoli, candidato al premio Strega 2024: leggi qui la recensione). Koreja, teatro storico di Lecce, affronta il tema con X di Xylella, Bibbia e alberi sacri, uno spettacolo recitato, cantato, danzato, anche in questo caso con numerose interpreti e con un cast ideativo che ricorre a molti prestiti ‘forestieri’, con il coordinamento di Salvatore Tramacere. La drammaturgia è firmata da Lucia Raffaella Mariani, Letizia Russo e Gabriele Vacis, la regia è di Vacis, scenofonia e allestimento di un suo collaboratore di antica data, Roberto Tarasco. Lo spettacolo promette molto e mantiene meno. Le spigliate, fresche attrici sono invischiate in una storia che incrocia, senza reale necessità emotiva, troppi piani (la morte degli ulivi, la malattia grave di una madre, la storia dell’olio del Salento, usato tradizionalmente per illuminazione…), in un allestimento basato su grandi veli, che nascondono e rivelano e finiscono per diventare un albero contorto, utilizzando una tecnica cara a Vacis e Tarasco.

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Teatro neo-borghese?

Un vero e proprio filone di teatro, definibile neo-borghese – che ha al centro storie di famiglie, o di individui di una società benestante in cerca di succedanei della famiglia – si può individuare in Il dio del massacro e in Il grande spavento. Il primo è un testo di Yasmine Reza, portato in scena da Areté Ensemble e CiprianiGambaccini, compagnia che si nutre di apporti differenti e opera tra Giovinazzo (Ba), Milano e Biella. Il secondo è una creazione del salentino Principio Attivo Teatro di Uggiano La Chiesa (le); il testo porta la firma di Valentina Diana, la regia è di Giuseppe Semeraro, attore che abbiamo apprezzato con Danio Manfredini.

La storia di due famiglie che si incontrano per discutere dell’atto di bullismo del figlio di una di esse contro quello dell’altra, nel testo di Reza, diventa una discesa nella ferinità, un crudele gioco senza esclusione di colpi, con ritorni di tanto in tanto a un’urbanità di facciata. Lo spettacolo fila via liscio, grazie alla caratura della drammaturgia e all’esperienza degli interpreti.

La seconda pièce mette in scena vuoti, che cinque personaggi cercano di riempire in vari modi, riunendosi in sedute di meditazione olistica e di ascolto dei messaggi delle piante. Presto esplodono le idiosincrasie e le lacerazioni di ognuno, che nessuna ricerca di trascendenza riesce a colmare, con un ritmo registico troppo frammentato che – se pure ben corrisponde alle frustrazioni e alle solitudini dei personaggi – lascia lo spettatore distante per il continuo “stop and go”. Con un finale diverso da quello presentato al debutto a Castrovillari, più aperto, con un disperato ballo di gruppo e un tentativo di ognuno di volare da qualche parte, verso qualche oscura o luminosa possibilità, o verso una inesorabile reiterazione del grigio presente.

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Altre tracce. Altre storie

Ricordo innanzitutto un omaggio a Carlo Formigoni, il primo giorno, il 2 luglio, con La nostra città di Thornton Wilder, che però non ho visto. Era uno spettacolo con la riduzione scenica e la regia di Formigoni stesso.

Il leccese Ura Teatro, di e con Fabrizio Pugliese e Fabrizio Saccomanno, racconta la vita di un geniale emarginato, il matematico Ennio De Giorgi, tra episodi biografici e scoperte geniali, in una scena in cui le formule matematiche, scritte su una lavagna che fa da fondale, si innestano su atti quotidiani, leggermente goffi, inadeguati a un mondo visto da De Giorgi principalmente nei suoi puri principi. I due attori, bravi, si dilungano lievemente, perdendo, in certi momenti, la relazione di elettricità con lo spettatore.

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Con la carabina di Pauline Peyrade ha fatto vincere a Licia Lanera il premio Ubu per la migliore regia nel 2022. A rivederlo, in quella che era la sala prove di Formigoni, uno spazio con volta a botte di tufo e pavimentazione di ‘chianche’ (lastroni di pietra pugliese), stretto, soprattutto per il numero di persone accalcate, rivela la sua forza drammaturgica, la bravura degli attori, la mano felice della regista. Una ragazzina era stata stuprata, in un luna park, dall’amico cui il fratello l’aveva affidata. Cresciuta, si fa giustizia da sola. L’esecuzione gioca sulle sospensioni, le pause, i sottintesi, gli sguardi, i lievi spostamenti e cambi di posizione dei due interpreti che evocano una densa rete di relazioni, ambiguità, rifiuti, forzature. Gli interpreti non fanno nulla per nascondere i loro spiccati accenti pugliesi, portando la storia dalla Francia in una nostra provincia. Danilo Giuva ed Ermelinda Nasuto discendono, con i loro personaggi, nei mari più profondi del sopruso contro i più piccoli e indifesi e della violenza di genere.

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Festa di confine è una creazione di un’altra compagnia ben accreditata, Teatro dei Borgia con Artisti Associati di Gorizia. Il testo è di Mateï Visniec, che ha raccontato variamente gli orrori delle metamorfosi del mondo ex comunista. Qui siamo nella Romania di Ceausescu, ma anche tra Olanda e Belgio, o tra Messico e Stati Uniti, in posti dove si è un po’ di qua e un po’ di là. Alcune figure vogliono uscire dai confini segnati. Ma come si varcano le dogane, reali e mentali, e cosa vuol dire oltrepassarle, superarle? Pensato per Gorizia - Nova Gorica Capitale della cultura europea 2025, rassegna di eventi vari dedicata alla tensione transfrontaliera, presenta situazioni viste e sentite molte volte, senza incidere con personaggi memorabili, tenendosi al di sotto, allo stesso tempo, dell’epico e del quotidiano, dell’emblematico e del vissuto risonante. Risulta una dimostrazione, senza profondità e palpitazione.

La fotografia di X di Xylella sono di Eduardo De Matteis – Archivio Koreja; le altre di Puglia Culture.

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