Il primo libro di uno scrittore geniale / Stig Dagerman, Il serpente

30 Aprile 2021

Stig Dagerman è anarchico, kafkiano, pungente, irriverente; è uno scrittore geniale, di culto, morto giovanissimo, suicida a soli trentuno anni, nel 1954. In così poco tempo ha scritto quattro romanzi, drammi, racconti, poesie e numerosi articoli. Diverse sue opere sono pubblicate da Iperborea, come Il serpente, il suo primo libro (considerato, tra i suoi, il più rilevante), edito nel 2021, con la traduzione e la cura di Fulvio Ferrari (che firma anche una raffinata postfazione).

«Il serpente, il serpente, il serpente: questo gli passò per la testa, un pensiero infuocato, oppressivo, e tutto il resto sparì, esisteva solo il corpo del serpente, che andava sempre più ingrossandosi».

La Seconda Guerra Mondiale, il grande conflitto, è un mosaico fatto di dolore e morte; è composta da vicende principali eclatanti e da altre minori perché distanti dalle battaglie, dai bombardamenti e dai campi di concentramento, eppure non meno importanti.

 

Ogni dettaglio, ogni storia qualunque è rilevante perché sta nel disegno. È nella mappa di quei sei anni terribili: a volte è un frammento a raccontare una speranza come una famiglia che nasconde degli ebrei in cantina e li salva, altre è una minuzia, un soffio spinto da tante paure, respiro di chi si attende il peggio, si prepara, ma non lo vede mai arrivare. E poi, ancora, tante faccende normali, persone che si muovono nel quotidiano, in una sorte di sospensione: sanno che da qualche parte si combatte, ma non proprio nei pressi. Allora in qualche modo la vita continua, i treni fanno i loro percorsi, i garzoni consegnano le merci, i bar attendono gli avventori. In campagna, in una zona qualunque della Svezia, c’è un campo d’addestramento. Soldati annoiati, esercitazioni oziose e senza costrutto. Azioni che ricordano più i nostri servizi di leva che la preparazione a una guerra. A Stoccolma in un’altra caserma regna l’inoperosità totale. Tutto in mezzo a un’estate calda e polverosa.

 

«Dall’altra parte qualcuno si mise a camminare, qualcuno diede un calcio a una sedia, qualcuno spostò un tavolo, qualcuno tossì, qualcuno lasciò cadere una moneta».

Questi i due scenari nei quali si dipanano le vicende di Il serpente, un libro particolare e, senza dubbio, bello e convincente. Non un romanzo, non una raccolta di racconti, ma entrambe le cose. Storie legate da un serpente che le attraversa e le condiziona. L’ambientazione rispecchia la Svezia di quei giorni che si prepara a una possibile invasione tedesca, ma l’ironia e l’acume sintattico di Dagerman la mostrano (all’apparenza) poco convinta. 

 

Eppure la paura salta fuori da ogni angolo: prima da un bacio rubato, durante un addestramento, su un treno in viaggio, nei discorsi che si fanno in camerata, nell’incapacità dei soldati di dormire, durante quella che prima è una festa, poi è una scena violenta, poi è una donna che ne salva un’altra, poi è di nuovo festa, e dopo ancora è un’altra paura sovrapposta. Intanto il serpente striscia e vigila, dapprima sfiorando un sergente che viene colto da un crampo, poi finendo nello zaino di Bill – soldato che lo cattura forse per sfizio – condizionandone i sogni, scandendone le angosce prima piccole e poi sempre più grandi e insostenibili.

 

 

Il serpente che si nasconde, che appare e scompare. Che passa misteriosamente da uno zaino all’altro, da una camerata all’altra. Il serpente è il confine tra realtà e fantasia e strisciando le confonde. Più avanti diventa odore, quello pregnante della paura, che affligge otto reclute che non riescono a dormire. Dapprima temono di rivelare agli altri la pena dell’insonnia e poi si svelano, decidendo di affrontare la cupezza delle notti in branda raccontandosi storie di vita vissuta.

«E allora ci siamo disperati un pochino, almeno un pochino, siamo impazziti, anche se non proprio subito».

 

La costruzione del libro è particolare ed è per questo motivo che è stato definito a volte un romanzo, altre una raccolta di racconti tra loro collegati. La prima parte si intitola “Irene” ed è quella in cui il soldato Bill, un tipo affascinante e arrogante, cattura il serpente e lo nasconde nel proprio zaino. Irene lavora al campo d’addestramento, è innamorata di lui e, allo stesso tempo, lo detesta, lo teme, ma non sa rinunciarvi. Bill è attratto anche da un’altra donna, ma più che altro adora il potere che esercita su entrambe. La psicologia dei personaggi è interessante e la dinamica dei loro comportamenti è in continua trasformazione. Attrazione e repulsione, avvicinamento e fuga, strategia e ingenuità, menzogna e verità.

«Poi, all’improvviso, ci separiamo come se fino a quel momento fossimo tenuti uniti da un nastro sottile che ora qualcuno ha spezzato. Con aria indifferente e muti saluti prendiamo direzioni diverse, a piccoli gruppi o da soli, come ci spinge l’angoscia».

La seconda parte dal titolo “Non riusciamo a dormire” è divisa in sei racconti. Le storie degli otto commilitoni si sovrappongono e questo coro di voci accompagna e tiene viva l’attenzione del lettore, costringendolo a guardare sotto i letti insieme a loro, o tra le coperte, e a individuare il punto in cui si nasconde il serpente.

 

L’unico personaggio che pare non subire l’angoscia derivata dal serpente è Scriver (alter ego di Dagerman); lui ne ammette la presenza, il serpente è un simbolo, che salti fuori da uno zaino o da un incubo, sta lì, non bisogna sottrarsi, ma prenderne atto. È responsabilità di ogni personaggio misurarne la presenza fino alle logiche più estreme.

«Si rannicchiò sotto la coperta come in un sacco, se l’avvolse intorno così stretta che la paura non avrebbe mai potuto insinuarsi tra la coperta e il corpo».

 

Dagerman usa un linguaggio decisamente metaforico e ricco, che attinge al parlato (il traduttore Ferrari spiega bene come sia impossibile da rendere perfettamente), una trasformazione in registro letterario delle parole di tutti i giorni, e poi presenta una particolare abilità nella tessitura dei dialoghi. Lo scrittore svedese è innovativo per i quei tempi, ha il coraggio di impiantare una struttura narrativa non comune, di alzare il livello della trama e della sintassi senza perdere mai in efficacia comunicativa, per questi motivi il successo di critica e pubblico fu immediato e si è mantenuto in tutti questi anni.

Il serpente striscia realmente in ogni capitolo e poi regge ogni allegoria e dissemina indizi che il lettore deve tentare di mettere insieme, di ricercare, correndo il rischio  di perdere qualcosa per strada ma per ritrovarla cinquanta pagine più avanti. Dagerman ci presenta la paura, ce la consegna, prova a mostrarci che l’unica via di scampo è di non temerla. La paura rimane anche se la si chiude in uno zaino, la paura c’è anche se sotto il letto scorgiamo soltanto la polvere.

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