5 per mille

Narratori delle pianure compie 40 anni

22 Giugno 2025

Giugno 1985. Sui banchi delle librerie italiane è arrivato un nuovo libro di Gianni Celati: Narratori delle pianure. L’ultimo titolo che i lettori avevano scorto tra gli scaffali sette anni prima era stato Il lunario del paradiso, uscito nell’anno 1978 a poca distanza dal ritrovamento del corpo dell’onorevole Aldo Moro in via Caetani a Roma. Qualche affezionato lettore, per lo più bolognese, o reduce dal recente movimento del Settantasette, aveva forse incrociato e acquistato Alice disambientata, pubblicato nel medesimo anno dalle edizioni dell’Erba Voglio di Elvio Fachinelli.

La fotografia che campeggia sulla copertina del nuovo volume è di un fotografo emiliano ancora poco conosciuto ai più, Luigi Ghirri: un uomo di spalle in mezzo a una strada di campagna coperta dalla neve. Chi conosceva Celati di persona, avendolo incontrato nelle aule del DAMS, guardando lo scatto avrà sicuramente ipotizzato che la persona ritratta di schiena fosse lui, il professore della nuova facoltà bolognese, autore d’una passata trilogia comica amata da molti. Come è nato questo nuovo libro che finirà per collocare Celati tra gli scrittori più importanti della letteratura italiana nella seconda metà del Novecento?

Per capirlo bisogna mettere mano alla corrispondenza tra Celati e Italo Calvino, suo mentore e amico che l’aveva incoraggiato e sostenuto negli anni che vanno dal 1968 sino a quel 1985, in cui morì improvvisamente nel mese di settembre, non senza aver scritto un breve ma efficace articolo sulla nuova e sorprendete opera dell’amico apparsa il 30 giugno sulle pagine del settimanale “L’Espresso”. Lo scambio epistolare sarà presto leggibile in un volume della collana “Riga” intitolato Alì Babà e altri discorsi, ristampa rinnovata e assai ampliata della raccolta di testi, lettere, documenti, protocolli, già apparsa vent’anni fa, dedicata alla rivista che Celati e Calvino, con Guido Neri, Carlo Ginzburg e altri amici avevano pensato di pubblicare.

Il 1° novembre 1983 Italo scrive a Gianni una lettera per dirgli che nel corso dell’estate ha letto un suo racconto, ma che poi non gli ha scritto perché sapeva che era partito per la Scozia.  Il testo gli è molto piaciuto, e anche Chichita, sua moglie ne è era entusiasta: “C’è una furiosa musica interiore e si ritrova il divertimento tuo d’una volta ma qui le smorfie hanno uno spessore dietro come ambiente e come situazione, il fluttuare tra realtà assurda e realtà ragionata diventa dramma, e come sempre ci sono le tue soluzioni felicissime, tipo: “Non ho risposto, stava piovendo”. Il problema è che una cosa così dovrebbe essere l’inizio di un romanzo – ma come continuarlo? – oppure un racconto di una serie – e capisco che è difficile trovargli una compagnia perché mica puoi metterti ad allineare stati d’animo e visioni del mondo che abbiano l’intensità di questo”.

Difficile dire di quale racconto stiano parlando, forse si tratta di uno di quelli che saranno inclusi in Quattro novelle sulle apparenze di qualche anno dopo? Possibile. Provo tuttavia a ipotizzare, senza nessuna prova naturalmente, che sia la prima stesura di L’isola in mezzo all’Atlantico con cui si apre Narratori delle pianure, ricordando che nel 1982 Celati è stato con la futura moglie Gillian Haley sull’isola di Colonsay proprio in Scozia. Con questo attacco d’inizio e il passaggio dalla prima alla terza persona, questo racconto è entrato nel volume del 1985, con questa frase: “Ho sentito raccontare la storia di un radioamatore di Gallarate, provincia di Varese…”. Un incipit di libro davvero sorprendente, perché con quella prima riga, forse aggiunta dopo la prima versione, Celati effettua uno spiazzamento rispetto alla carta geografica posta all’inizio del volume, unica e vera cornice dell’opera. Oltre a usare un testo già scritto, anche bello, Celati voleva probabilmente dirci che, nonostante quella mappa, tutto confina con tutto. Anche le pianure del titolo sono al plurale. Del resto, il secondo racconto del libro, Ragazza giapponese, prima di incentrarsi su una località dell’hinterland di Milano, forse Bollate, comincia a Los Angeles. Questo perché la geografia variabile di Celati spazia dall’America a Borgoforte, dalla Scozia a Sermide: va là dove c’è qualcosa da raccontare.

j

Il rapporto con Calvino, ora sappiamo dalle nuove lettere ritrovate e inserite nel volume di “Riga”, non si è mai interrotto e continua nel corso degli Ottanta fino alla scomparsa dell’amico. Celati continua a inviargli i racconti che scrive e a scambiare idee con lui. È interessato ai cambi di passo di Calvino: da Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), nato anche dalle riflessioni sul tema della lettura per rivista Alì Baba mai uscite, come spiega Calvino in una lettera a Guido Neri; ma anche Palomar (1983), per cui l’autore di Narratori ha scritto un articolo importante, e in precedenza Le città invisibili (1972), che Celati ha letto e discusso con Calvino prima della pubblicazione, anzi Italo gli scrive: devo pubblicare Palomar perché hai scritto il tuo saggio.

Nel 1981 è accaduta una cosa nuova: Celati ha conosciuto Luigi Ghirri. E questo ha cambiato l’orientamento nella sua scrittura. Ghirri ha catalizzato una serie di idee e riflessioni che gli frullavano nella testa da un po’. Non accade subito, come testimoniano anche i taccuini oggi custoditi a Reggio Emilia alla Biblioteca Panizzi. Ci sono state due anticipazioni, se così le possiamo chiamare. La frequentazione di Giuliano Scabia al DAMS, il quale sta lavorando con gli studenti del suo corso di Drammaturgia 2, come testimonia una lettera in cui parla di lui. Scabia ha introdotto il tema del “cammino teatrale” che Celati ha subito fatto suo e ha in fase di realizzazione un viaggio lungo il Po. Titolo: I giganti del Po, un progetto di teatro di strada e di fiume del 1972. Non lo realizzerà mai, ma restano progetti, scritti, disegni e idee. Poi c’è Carlo Gajani, amico fotografo e artista bolognese, con cui ha realizzato almeno due libri accompagnando le sue immagini con testi propri. L’ha anche presentato a Calvino per una serie di ritratti che Gajani sta realizzando. L’artista bolognese ha iniziato a occuparsi del Po; lo testimonia una sua mostra del 1984 per cui Celati contribuisce scrivendo.

Ma è Ghirri a catturare l’attenzione di Celati proprio mentre sta preparando la mostra e il libro diventato in seguito notissimi: Viaggio in Italia del 1984. In quel volume figurerà anche un testo di Celati, Verso la foce, prima versione del futuro libro del 1989. Si apre con un brano che diventerà un capitolo del volume: Esplorazioni sugli argini (maggio 1983). La mostra viene inaugurata a Bari il 15 gennaio 1984. I fotografi presenti nei viaggi verso la foce del Po, raccontati per la prima volta nel libro curato da Ghirri sono due: Luciano Capelli e Reinhard Dellit. Ghirri non c’è neppure nel successivo reportage; figurerà solo nella Notizia con cui si aprirà il volume del 1989. In questa prima versione di Verso la foce ci sono due racconti che compariranno in Narratori delle pianure, inclusi senza titolo (Traversata delle pianure e Allo scoperto). Il primo è dedicato alla madre di Celati, e il secondo, come ha suggerito Nunzia Palmieri, si riferisce probabilmente anch’esso a una storia della famiglia di Celati. Un’altra versione di Verso la foce, che reca come sottotitolo: (estratti da un diario di viaggio), la legge a Sassuolo nel febbraio del 1986 in occasione di un simposio dedicato a Calvino a cui partecipano molti degli amici dello scrittore ligure; sarà poi incluso in Narratori dell’invisibile curato da Maurizio Magri e Beppe Cottafavi.

Senza entrare nel merito delle differenze tra le varie versioni e anche di un altro racconto lì presente (poi conosciuto con il titolo Le popolazioni invisibili) è interessante notare che lo scrittore sta già lavorando non solo ai reportage di viaggio, ma anche a queste brevi narrazioni. Come hanno mostrato Nunzia Palmieri e Cecilia Monina, nei taccuini conservati alla Panizzi ci sono abbozzi di vari racconti interrotti e di altri finiti che poi non entreranno nell’opera edita da Feltrinelli nel 1985. Quello che voglio far notare è una cosa che già altri lettori di Celati hanno ben visto: è attraverso Verso la foce che è nato l’altro libro, poi uscito per primo. Come e perché? Ce lo dicono in parte le lettere scambiate con Calvino.

Il 14 marzo 1984 Calvino risponde di aver avuto il volume Viaggio in Italia: “Caro Gianni, ho ricevuto finalmente ieri Viaggio in Italia e ho letto Verso la foce. Sì, mi piace, fa effetto, comunica questo senso di fine del mondo, tutto prende un senso, soprattutto più si avvicina alla fine, ha uno stile, un rapporto col mondo che non assomiglia a niente. È molto tuo, anche, pur non essendo diverso da quello che scrivevi prima. Non so quale sviluppo potrai cercare, dopo, ma credo che puntare sul racconto il più possibile partendo da lì possa essere una strada. Bene bravo sono contento”.

Il 24 marzo Celati gli risponde: “Caro Italo, grazie per la lettera e per l’apprezzamento che mi ha molto confortato. Ho scritto 15 dei 30 raccontini che voglio inserire in Verso la foce, per farne un novelliere di viaggio alla maniera di Chaucer e Goethe (Lehrjahre)”. L’allusione è al libro Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister, scritto dal poeta tedesco dopo il ritorno dal suo celebre viaggio in Italia. Il 18 maggio Celati riscrive a Calvino: “In questi mesi ho lavorato davvero molto, prima di tutto sulla storia delle frasi narrate e delle forme sintattiche per raccontare. Ne è venuto fuori finalmente un lavoro abbastanza ordinato e decente, qualcosa come una osservazione naturalistica: ma appena ci sono arrivato in fondo, dopo 3 anni ho capito che dovrò ricominciare da capo ed ampliare il campo di osservazione. Ho un gruppo di lavoro con cui studiamo queste cose, abbastanza fuori da queste questioni teoriche, ma molto empiricamente osservando dove e quando e perché la sintassi è usata in un certo modo, e l’anno prossimo spero che riusciremo a completare certe descrizioni, che per ora sono solo abbozzate”.

j

Da chi fosse composto questo gruppo non è facile da dire. In quel periodo Celati frequenta la casa di Ghirri a Formigine con Giorgio Messori e altri fotografi; poi ci sarà l’esperienza fotografica e narrativa sulla via Emilia, gli incontri a Reggio con scrittori e fotografi, da cui nasceranno altri due libri: uno collettivo di racconti e uno di fotografie. Certamente qualcuno del “gruppo di lavoro” è stato coinvolto in queste esperienze editoriali ed espositive. Sempre nella medesima lettera Celati aggiunge: “Infine. Ho scritto ventidue raccontini che dovrei inserire nella cornice di Verso la foce. I raccontini, semplici, un po’ sul tipo dell’apologo o del mimo (quelli siciliani), mi sembra stiano in piedi, perché li ho letti variamente in giro, e vedo che la gente è contenta. Adesso alla fine di questo mese mi rimetto in viaggio per completare l’osservazione dei luoghi e mettere a posto la cornice. Si vedrà”.

Dunque, il libro a cui lavora da tempo è uno solo: Verso la foce, composto di racconti osservazione e di raccontini, come li chiama. Anche se poi si separeranno, come sappiamo, dividendo le due diverse forme di scrittura. Eppure, qualcosa di comune c’è e resta. I raccontini quando entrano in Narratori delle pianure saranno definiti da lui stesso “novelle che danno sollievo”, diventando altro rispetto alle pagine connotate da quel senso di “fine del mondo” di Verso la foce, come ha inteso Calvino. Com’è arrivato alla decisione di separare le novelle dai diari di osservazione nella Valle del Po?

Non lo sappiamo con certezza. Certo deve aver giocato un ruolo significativo Franco Occhetto. Davanti a quel libro, il direttore della Feltrinelli ha intuito che poteva essere composto anche solo dai “raccontini”. Nel maggio del 1984 Celati scrive a Calvino che è stato ricontattato da Occhetto e si riferisce al lavoro in corso come “questo libro”, cioè uno solo. Ancora l’11 luglio 1984 scrive a Calvino: “L’altro lavoro, Verso la foce, è più o meno completo come materiale raccolto. Ma non ho ancora il distacco giusto per montarlo speditamente e mi invischio nelle frasi e i passaggi sbagliati”. Tutto nasce da quei viaggi di osservazione, dai quaderni di appunti, dai taccuini, che sono come uno zibaldone d’idee e di forme narrative. Lì c’è anche l’origine di uno dei racconti lunghi incluso poi in Quattro novelle sulle apparenze (1987), intitolato Condizioni di luce sulla via Emilia, apparso poi nel volume sulla Via Emilia pensato dal gruppo intorno a Luigi Ghirri, e presente nei testi letti a Sassuolo in occasione dell’incontro per Calvino. L’unico fotografo amico a comparire qui come nella versione finale di Verso la foce è sempre Luciano Cappelli. Il ruolo di questo amico, che è stato anche uno degli animatori di Radio Alice, nonché fotografo e musicologo, è importante prima di tutto dal punto di vista narrativo: è un personaggio del racconto, cosa che non capiterà a Luigi Ghirri, almeno sino a quando, dopo la sua scomparsa, Celati girerà un film-documentario a lui dedicato.

Ma cos’è allora Narratori delle pianure, il libro che apre la nuova stagione narrativa di Celati? Lo spiega Alfredo Giuliani in una recensione apparsa su “La Repubblica”, due mesi dopo l’uscita (Il Trentanovelle). Il critico e poeta coglie immediatamente il senso di novità della raccolta. Comincia con una sorta di critica, per poi approdare invece a un pieno elogio: “Prima, forse per troppa spavalderia e ingegnoso compiacimento, l’ingenuità faceva l’impressione di un travestimento. Qui, nelle trenta novelle che costituiscono il libro, l’ingenuità è tutt’altra cosa: è un campo di sorprese, di conoscenza, di avventure del pensare”. Come c’è riuscito? Rifacendosi alla tradizione della novella italiana senza tuttavia usare la corda moraleggiante. Le storie che racconta non insegnano nulla, se non un modo d’essere nella vita dei suoi personaggi.

Gli occorreranno altri quattro anni per risistemare il libro di partenza, Verso la foce, dopo l’immediato successo editoriale e di critica di Narratori. Quattro anni di rifacimenti, riscritture, sistemazioni, per rendere quella immediatezza cui aspira, un lavoro lungo e certosino su quanto ha appuntato e già sviluppato nelle agende e nei taccuini, cambiando date, e a volte persino i toponimi dei luoghi e mescolando parti di episodi buttati giù di getto. Cos’è Verso la foce senza le novelle inserite nella cornice del viaggio? Calvino lo aveva intravisto bene: “comunica questo senso di fine del mondo, tutto prende un senso soprattutto più ci si avvicina alla fine” (14 marzo 1984). Scrivendo del secondo libro sempre sulle pagine di “La Repubblica”, Alfredo Giuliani coglie l’altra faccia della medaglia: “Per quanto possa sembrare strano dico che Verso la foce è un libro d’amore” (Celati contrabbandiere d’immagini, “La Repubblica”, 5 maggio 1989). Lo si potrebbe dire di entrambi i libri? Probabilmente sì. Pur scindendosi in due parti differenti, dando vita a due opere diverse, come due gemelli omozigoti queste due opere, così originali nella letteratura della seconda metà del Novecento, mantengono la stessa identità pur nell’apparente diversità, sono, come si dice, il risultato d’un embrione che si è diviso a metà, conservando il medesimo DNA.

Questo testo riassume parte dell’intervento al convegno: Quarant’anni di Narratori delle pianure di Gianni Celati: eredità e nuovi sguardi, Università di Bergamo 3 e 4 aprile 2025.

In copertina, Luigi Ghirri, La Pianura padana, Valli Grandi Veronesi, 1989-1990. 

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO