Fine dello Stato di Palestina?
La domanda intorno alla natura di E1, il progetto di costruzione di nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata dal giugno 1967, presentato dal ministro Bezalel Smotrich, è che cosa sia uno Stato. Non astrattamente, ma quali elementi minimi consentano di definire uno Stato. Quando il ministro dice che la realizzazione del progetto E1 eliminerà la possibilità della nascita dello Stato palestinese, a mio avviso dice il vero.
L'area delle colonie israeliane attraverserà la Cisgiordania centrale, interromperà di fatto il collegamento diretto tra le comunità palestinesi del nord (Ramallah–Nablus) e del sud (Betlemme–Hebron) isolando definitivamente i 370mila palestinesi residenti a Gerusalemme Est dal resto dei territori occupati. La realtà palestinese diventerà un arcipelago composto da tre isole senza relazioni reciproche. Ovvero tre insediamenti chiusi.
La mappa della Cisgiordania che riprendo dalle pagine on line dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) è una fotografia della situazione attuale. Come tutte le fotografie vale nel momento dello scatto, ma non ci racconta una storia nel tempo.

Quella storia è fatta non solo di tappe diverse, ma anche di attori diversi. Risponde a un progetto che presenta varie cause: ideologiche, teologiche, ma è, anche, l’indicatore di un profilo di sviluppo.
Sono quattro le questioni che intendo proporre. Per la precisione: 1) che cosa caratterizziamo con il termine «stato indipendente»; 2) un profilo, e insieme una mappa, degli insediamenti nei territori occupati in Cisgiordania a partire dal 1970; 3) la trasformazione sociale di quelle tipologie di insediamenti; 4) il modello di sviluppo a cui rispondono.
Prima questione. Il dato fondamentale che consente a uno Stato di esistere è la sua continuità geografica.
Uno Stato indipendente possiede quattro elementi costitutivi fondamentali: un popolo permanente; un territorio proprio delimitato (terraferma, acque interne e spazio aereo); un governo effettivo; infine, la sovranità, che è l'autorità suprema e indipendente di esercitare il potere sia all'interno (sovranità interna) che all'esterno (indipendenza e capacità di entrare in relazione con altri Stati).
Il Progetto E1 intende prima di tutto segnare una cesura intorno al principio della continuità geografica. Per questo è inibente della possibilità di uno Stato palestinese autonomo.
Seconda questione. Geografia storica degli insediamenti. All’inizio l’insediamento ebraico in Cisgiordania aveva un valore identitario. Quando, nel 1970, i rabbini Moshe Levinger e Eliezer Waldman fondano Kiryat Arba, nella periferia orientale di Hebron [mappa_hebron] il messaggio è: torniamo lì dove siamo stati cacciati (significativamente quell’insediamento nasce occupando una casa alla vigilia della Pasqua ebraica, festa che celebra l’idea di “liberazione” che Lewinger e Waldman interpretano come «riconquista» secondo un modello che richiama , implicitamente, quello proprio della limpieza de sangre ispanica del XV-XVI secolo, come ci ha spiegato con precisione Adriano Prosperi).

Non è importate solo la data, ma anche il luogo. Il riferimento è al luogo dove si dice siano sepolti i patriarchi. Ma Hebron è anche il luogo del massacro del 24 agosto 1929 compiuto da una parte della popolazione araba locale nei confronti della popolazione ebraica locale (67 ebrei morti, 135 feriti). Scrivo “da una parte” perché gli ebrei che si salvano, si salvano perché vengono nascosti da alcune famiglie arabe locali.
Gli insediamenti iniziano a moltiplicarsi nella seconda metà degli anni ’70 (quando la destra di Menachem Begin va al governo) secondo tre direttrici geografiche.
Prima direttrice: collocarsi all’estremo punto orientale e settentrionale dei territori occupati, ovvero lungo la linea del Giordano e lungo il Golan. Insediamenti che hanno due caratteristiche culturali e politiche: da un lato coinvolgono appartenenti a movimenti religiosi (sono gli anni in cui inizia a definirsi il movimento Gush Emunim (lett.: “Blocco dei fedeli) di cui Lewinger è uno dei punti di riferimento; dall’altro una parte numericamente minoritaria, ma culturalmente significativa del movimento kibbutzistico intende ripetere e dare nuova forza all’esperienza dei nuclei insediativi di controllo quali quelli costruiti immediatamente dopo la guerra del 1948 (tra 1949 e 1953, per esempio nell’area intorno a Ashkelon, ovvero a fronte di Gaza);
Seconda direttrice: collocarsi nel territorio meridionale ovvero nell’enclave che sottostà a Hebron; Terza direttrice: avvio, a partire dalla fine degli anni ’70, dell’espansione suburbana verso Est della città di Gerusalemme prefigurando quell’area metropolitana a cui allude il progetto E1
Il terzo modello – quello dell’espansione soprattutto edilizia verso Est, lungo l’asse che dal centro di Gerusalemme va verso Betlemme – avviene parallelamente alla trasformazione profonda dell’economia israeliana secondo la linea della “scuola economica di Chicago”. Significa: tramonto del modello laburista, e trasformazione della fisionomia antropologica dell’israeliano medio. Inizia a cambiare, lentamente, ma radicalmente e profondamente, il rapporto tra laici e religiosi. Quella trasformazione diventa rilevante a partire dagli anni ’90.
Qui inizia a configurarsi in forma strutturale la terza questione. Sono gli anni in cui arretra il modello dello Stato sociale che ha definito le politiche di accoglienza dei flussi migratori tra anni ’40 e anni ’60 e inizia a definirsi una diversa economia. In questa diversa economia lo sviluppo urbano e edilizio non è più rivolto esclusivamente sulle periferie o nei punti di snodo interni dell’Israele pre-“Guerra di 6 giorni”. Ora l’economia è in gran parte urbana, ma la residenza è in gran parte nelle periferie lontane dove le case al metro quadro costano meno, molto meno, rispetto alle aree urbane dell’Israele pre-“Guerra di 6 giorni”. Un dato da non sottovalutare è che nel costume israeliano la casa è di proprietà e il contratto in affitto è una pratica di minoranza. Quel modello insediativo innalza numericamente la presenza di israeliani nelle aree dei territori occupati dopo la “Guerra dei sei giorni” e i governi di destra hanno tutto l’interesse a spingere verso questo modello insediativo.
A partire da questo momento (siamo nei primi anni ’80) lo sviluppo insediativo inizia a diffondersi disegnando lentamente una mappa in cui la presenza di palestinesi e di israeliani nella Cisgiordania occupata definisce arcipelaghi sparsi.
Qui si definisce la quarta questione: il modello di sviluppo a cui quelle due diverse configurazioni di territorio rinviano e alludono (e che ci riguarderà anche domani). Nel caso palestinese aumenta il tasso di dipendenza e dunque la classe politica che avrebbe dovuto rappresentare il passaggio verso l’autonomia politica ora opta per un’ideologia che fa dell’identità religiosa un cardine. Un misto di fedeltà alla propria origine e rifiuto dell’occidentalizzazione.
Processo non locale, ma generale.
Processo che riguarda tutte le esperienze di liberazione e di autonomia di seconda generazione: l’India di Narendra Damodardas Modi, la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, la Russia di Vladimir Vladimirovič Putin. Un processo che legge le classi dirigenti che storicamente hanno rappresentato la prima generazione di riscossa come corrotte, e perciò inaffidabili, prive di un vero interesse per il “bene del popolo”. Anche in questo caso il codice culturale implicito è il ritorno della limpieza de sangre.
Processo che coinvolge anche Israele.
La cultura o i valori della generazione fondativa non sono più da tenersi per cari. Ora la parte egemone, ancora non numericamente maggioritaria ma in crescita, (dal punto di vista demografico nei prossimi venti anni destinata a divenire maggioranza, se non si invertono i fattori di natalità), è l’area ortodossa. Scrivo egemone perché in politica se è vero che sono importanti i numeri, ancora più importante è il costrutto culturale su cui si fonda una politica praticata. A oggi la componente laica progressista o quella ortodossa non integralista non hanno rilevanza dal punto di vista della costruzione dell’opinione pubblica. Per quella parte che esprime l’egemonia culturale e politica il progetto E1 prima ancora che una possibilità di casa a basso costo, è la realizzazione del proprio sogno sovranista.
In questo, un tratto proprio di questo nostro tempo politico. Ovunque.
