Pizza e pasta every time

25 Ottobre 2012

Raffaele Liucci ha scritto un pamphlet su Cacciari che nessuno vuole pubblicare, un implacabile j’accuse che fa risalire all’ex sindaco quasi tutti gli attuali mali della città. Ne ribadisce, accalorandosi, le tesi seduti in un bar per gondolieri dietro piazza San Marco. “Fino a venti-venticinque anni fa Venezia era una città che aveva un futuro”. Mah, io qui non sono più d’accordo e ripenso ai fantasiosi piani di De Michelis e, ancora di più, all’alluvione del 1966. Save Venice: fu allora che l’anacronismo divenne stridente e si capì che la città da sola non ce l’avrebbe fatta, consegnandosi così nelle mani del mondo.

 

In realtà la civiltà veneziana è finita nel 1797 e quando guardo la statua di Garibaldi davanti ai Giardini mi pare un abusivo, mentre Ippolito Caffi che ritrova la luce di Venezia in ogni parte del mondo o Carlo Scarpa che la imprigiona e ne restituisce i colori nei vetri di Venini, proseguono dopo di allora la grande civiltà veneziana, difendendola dalle oscurità romantiche e dai presagi decadenti dei forestieri.

 

Però nel frattempo “i veneziani sono diventati imbroglioni” mi dice dei suoi concittadini Bianca Franchetti. “Sono mercanti”, provo a replicare. Bianca Franchetti è una vera gentildonna e certo si indigna quando legge: “Pizza e pasta every time” sulle vetrine di uno dei molti sfamatoi cittadini, ma a cercar bene, oltre ai veneziani, si possono trovare veri camerieri e buoni ristoranti.

 

Nei giorni della Biennali è molto divertente girare per la città, fare incontri casuali sui vaporetti – ad esempio Marco Vallora, in precario equilibrio, che, dopo averla svaligiata, afferma che “La Toletta, non è più quella di una volta”; stiamo parlando di librerie naturalmente – e sperimentare i ristoranti che il passaparola o le consuetudini raccomandano.

 

In quattro serate veneziane, con la città strapiena, sono sempre riuscito a mangiare dal più che dignitoso al buono. C’è naturalmente l’effetto tipico che rimbalza dalle guide internazionali alla tavola del Mascaron, vicino a Santa Maria Formosa, dove gustiamo la tipica cucina veneziana circondati da comitive di giapponesi elettrizzati. C’è da dire che l’effetto positivo delle invasioni sono i contropiede internazionali di tiramisù, spritz, prosecco.

 

Molto buona, e mangi in un grazioso campiello tra Cannaregio e l’Ospedale, per il pesce al crudo e le verdure che crescono sulle isole della Laguna (i tondi di carciofo), l’Osteria di Santa Marina, ma il conto è abbastanza punitivo. Detto del Giardinetto da Severino, che ha un bellissimo déhors, ma è frequentato da troppi turisti, il meglio mi è parso, a Cannaregio, fuori dalla bolgia (ma non è così difficile) l’Osteria ai 40 ladroni, denominazione antifrastica (non sono imbroglioni. Devono essere di Mestre…), dove per spaghetti al nero di seppia, calamari ai ferri, qualche verdura e un dolcetto, si è speso meno dei fatidici 40, mangiando in un bel giardino.

 

Ho lasciato la città, mentre a piazza San Marco stava montando l’acqua alta. Non l’avevo mai vista: Impresionante!

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