L'arte come teoria della mente

22 Settembre 2014

Il freudiano Progetto di una psicologia, delineato nel 1895, contiene un modello biologico della mente che lo stesso Freud si affretta ad abbandonare e a disconoscere, indicandolo come un tentativo confuso e prematuro. Prima di poter studiare i processi mentali da una prospettiva neurofisiologica era necessario passare attraverso la mediazione di una psicologia dinamica della mente. Tuttavia questo episodio della variantisitica freudiana ha una funzione rivelatrice: nello “scarto” c’era l’intuizione di uno sviluppo necessario, dell’esigenza di creare una omologia tra la configurazione cognitiva della psiche e il funzionamento fisiologico del cervello.

 

La separazione tra psicologia e biologia della mente va intesa quindi come una mossa tattica e provvisoria, escogitata da Freud senza mai perdere di vista l’orizzonte di una disciplina unificata, come si legge chiaramente, nel 1920, in Al di là del principio del piacere. Aspettando di trovare i correlati fisiologici dei processi psichici, Freud getta le basi per la nascita della psicologia cognitiva, che sarà poi definita compiutamente da Neisser, nel 1967, come una descrizione complessiva di tutti i processi psichici, e non delle sole anomalie e disfunzioni patologiche.

 

Nel passaggio dal modello biologico al modello dinamico Freud assume metafore archeologiche, e approda all’interpretazione dei sogni come teoria cognitiva animata da una tensione verticale, da un’attrazione verso la profondità: la maggior parte dei processi psichici è inconscia, ha uno sviluppo sotterraneo. La frontiera della leggibilità affonda in una dimensione intracorporea, e le dimensioni dell’irrazionale non sono piú zone amorfe e incomprensibili, ma si rivelano strutturate dal linguaggio degli strati inconsci e profondi della mente umana. Freud fonda l’idea che l’attività psichica possa essere descritta attraverso la formulazione di leggi scientifiche: non ancora derivate da una pratica sperimentale, ma dedotte attraverso l’analisi di alcuni “esperimenti” naturali, quali sono le patologie, ma anche le operazioni creative, la letteratura e l’arte.

 

Studio del cervello e studio delle forme della creatività hanno conosciuto un potenziamento reciproco: le escursioni di neuroscienziati come Eric Kandel, Semir Zeki, Vittorio Gallese nel campo dell’estetica permettono di radicalizzare l’interiorizzazione delle pratiche interpretative, e di studiare le intersezioni biologico-culturali che danno forma alla cognizione umana, riconducendo il logos al bios, secondo il progetto originario di Freud, e viceversa mostrando in che modo le emergenze biologiche della coscienza prendono forma attraverso la mediazione verbale e linguistica.

 

 

Kandel in particolare ha notato che la potenzialità narrativa del caso clinico, il valore euristico della ricostruzione narrativa delle psicopatologie, avvicinano il lavoro di Freud a quello di molte esperienze artistiche a lui contemporanee. Nella stessa Vienna imperialregia uno scrittore e medico di formazione come Arthur Schnitzler accede attraverso la scrittura a una zona liminale, nella quale la rappresentazione sociale degli individui si disgrega, e realtà, fantasie e desideri inconsci si contaminano sabotando la consistenza delle strutture del quotidiano. Il Doppio sogno di Schnitzler è costruito proprio come un resoconto psicoanalitico dell’attività onirica. Ed è forse per rispondere all’insormontabile e fallimentare fraintendimento del caso di Dora, all’accecamento maschilistico e patriarcale che aveva colpito Freud, che Schnitzler scrive La signorina Else, affermando la sua vertiginosa capacità di immedesimazione con le pieghe piú riposte della psicologia sessuale femminile.

 

Schnitzler affida al monologo interiore il sondaggio degli strati profondi della coscienza, l’archeologia di significati interiori che ha corrispondenze precise, corroborate dalla contiguità geografica e intellettuale, con le ricerche di Freud. Già nel 1900, contemporaneamente alla pubblicazione de L’interpretazione dei sogni, Schnitzler con il racconto Il sottotenente Gustl trascrive sulla pagina i processi mentali dei personaggi.

 

Il monologo interiore, la tecnica letteraria che ha segnato forse con maggiore evidenza una frontiera conoscitiva nella letteratura del Novecento, si fonda sulla capacità del cervello di generare ciò che la psicologia cognitiva definisce teoria della mente, descritta in particolare negli studi di Chris e Uta Frith: una proiezione del quadro psicologico di un individuo, una ricostruzione delle idee, dei pensieri, delle intenzioni, dei progetti, dei desideri che strutturano un paesaggio psichico, concepiti come indipendenti dalla situazione dell’osservatore. La teoria della mente è una costruzione di modelli del funzionamento mentale che consentono di prevedere e decifrare i comportamenti, stabilendo relazioni tra fatti esterni e stati interni della mente.

 

La necessità di una teoria della mente era già nella situazione psicoanalitica freudiana: l’analista ha bisogno di comprendere per via empatica e proiettiva i conflitti che attraversano la psiche del paziente. Analogamente, la letteratura del Novecento si è configurata come un tentativo di abitare contemporanemante piú mondi mentali. Lo scrittore crea dimensioni psichiche virtuali, e accompagna il lettore nel “teatro privato” di un’altra mente, riproducendo il lavoro che nel cervello è svolto da una rete di strutture cerebrali deputata all’elaborazione delle informazioni contestuali e quindi alla strutturazione delle cognizioni sociali.

 

Seppure conferma di una attitudine “mimetica” e di una tendenza alla simulazione incorporata dei fenomeni esterni, la teoria della mente si dispiega attraverso una rete di strutture cerebrali che non include i neuroni specchio. Il rispecchiamento neuronale descritto dal gruppo di ricerca coordinato da Giacomo Rizzolatti fornisce le premesse per una teoria empatica della mente, che però si compie a un livello di elaborazione superiore rispetto alla semplice risposta e riproduzione del movimento biologico. I neuroni specchio facilitano l’apprendimento attraverso l’imitazione, e trasferiscono le informazioni alla regione teoria-della-mente del cervello, costituendo una premessa, essenziale ma non sufficiente, per la comprensione globale dei fenomeni cognitivi.

 

 

La teoria della mente, quindi, è la riproduzione di un complesso sistema di cognizioni, al quale l’arte ha offerto una decisiva via d’accesso. Si potrebbe dire che la letteratura sia la creazione di dimensioni nelle quali agiscono diverse teorie della mente, e nel caso della letteratura contemporanea spesso scrivere è istallare direttamente il lettore nello spazio nel quale si dispiega una teoria della mente. Il conflitto di prospettive concorrenti, alternative, simultanee è una delle caratteristiche strutturali del romanzo contemporaneo, e in particolare del grande romanzo modernista: da Proust, a Joyce, a Svevo.

 

La penetrazione nelle profondità psichiche, e la compenetrazione di mondi e stati mentali differenti e lontani, è la precondizione cognitiva della possibilità di rappresentare la frammentazione del personaggio, la disgregazione dell’individualità in una galassia di emergenze puntuali, in una costellazione di percezioni e sensazioni, in una rete di intelligenze disincarnate, di sguardi senza occhi, di pulsioni senza corpi, di reazioni chimiche e movimenti biologici.

 

Sezionata dalla lama crudele di una critica che isola e aggrega elementi molecolari, decostruendo le identità, l’esistenza viene come analizzata al microscopio (o osservata telescopicamente) dalla letteratura novecentesca. Come ha suggerito recentemente Paolo Godani, Ulrich, l’uomo senza qualità immaginato da Musil in un ambiente culturale già colonizzato dalla psicoanalisi, è un collettore di segni capace di isolare nel flusso che compone la realtà le qualità senza l’uomo, i “tratti” singolari e ripetibili che contraddicono l’individualità della persona, che non costruiscono identità univoche ma sussistono attraverso la variabilità delle identità.

 

La leggibilità di queste particelle delle cognizione è l’autentica conquista conoscitiva dell’arte novecentesca, profondamente correlata a un percorso che conduce dalla scoperta freudiana di un inframondo nel quale dominano impulsi senza l’uomo, alla frontiera di analisi infraindividuale, nucleare, abilitata dalla ricerca neurocognitiva, che descrivendo il rispecchiamento incorporato come uno dei meccanismi fondamentali di esperienza del mondo, ha confermato la dissoluzione dei rigidi confini tra le identità rappresentata dall’arte, e incubata a partire dal rimbaudiano io è un altro.

 

Testi citati

Sigmund Freud, Progetto di una psicologia e altri scritti, Boringhieri, Torino, 1976.

Sigmund Freud, Al di là del principio del piacere, Boringhieri, Torino, 1975.

Chris Frith, Inventare la mente. Come il cervello crea la nostra vita mentale, Cortina, Milano, 2009.

Uta Frith, L’autismo: spiegazione di un enigma, Laterza, Roma-Bari, 2005.

Vittorio Gallese, Arte, corpo, cervello: per un’estetica sperimentale, “Micromega”, 2, 2014: 49-67.

Paolo Godani, Senza padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo, DeriveApprodi, Roma, 2014.

Eric R. Kandel, L’età dell’inconscio. Arte, mente e cervello dalla grande Vienna ai nostri giorni, Cortina, Milano, 2012.

Ulric Neisser, Psicologia cognitivista, Martello-Giunti, Firenze, 1967.

Giacomo Rizzolatti, Corrado Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano, 2006.

Semir Zeki, La visione dall’interno: arte e cervello, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.

 

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Paolo Gervasi, Letteratura e scienze della mente

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