Écriture infinie

10 Novembre 2011

Gli esseri umani primitivi entrarono nelle caverne e depositarono sulle pareti i loro magici disegni di animali. Quale fu la spinta interiore che li portò a scivolare nel buio, dentro la montagna, snodando tutto il loro essere attraverso le sue lunghe e pericolose viscere se non un’istintuale ricerca di trasformazione da compiere in un luogo sacro ed eterno? Stanno lì insieme, fa freddo e c’è umido, si chiudono là col lumino e scrivono. Poi la porta si apre, versa quella forza dirompente sull’umanità, e lo fa un’infinità di volte, in un’infinità di modi, per ognuna delle persone nate qui, per ogni mano che, tenendo un semplice strumento, disegna, incide, traccia, dipinge, rende manifesta la sua storia personale. Scrittura. Infinito. Storia. Mano.

 

 

Bili Bidjocka è un artista camerunese che va e viene tra Parigi, Bruxelles e New York, lo si vede con un cappello in testa che si interroga e chiede a sua volta Is handwriting still alive?, la scrittura manuale è ancora viva? Écriture infinie è un’opera monumentale, otto enormi volumi, libri veri e propri dalle pagine bianche, da scrivere a mano “come se fosse l’ultima volta in cui lo puoi fare”. È l’ottimistica aspirazione a comporre la scrittura universale, la sfacciata utopia di riunire il mondo intero, l’arroganza tutta umana di realizzare il libro dei libri per i tempi dei tempi. Bili però è un’artista, non si sofferma sulla morale, indaga il processo. Come ai gatti, a lui interessa il segno, quel fatto estremo e sorprendente di una linea colorata che fila, il gesto trascendentale che trattiene il pensiero spingendolo a proseguire. Écriture infinie ammorbidisce la provocante contraddizione e si dirama anche sul web. In questo modo di stare nel presente riunisce, come suo proposito, persone, scritti, pensieri e immagini della scrittura manuale, in bilico tra l’analogico e il digitale, in un gioco d’armonia che coniuga il futuro col passato.

 

 

Scrivere a mano è la stele di Rosetta, sono le croci sui muri delle prigioni per contare i giorni che passano, sono i tatuaggi dei pescatori thailandesi, le annotazioni sui calendari appesi ai chiodi, sono le note degli scrittori e gli appunti per una costituzione, è il messaggio infilato di nascosto nella tasca di chi se ne va e che trovato più tardi verrà svolto come una caramella e letto con sorpresa, sono quei biglietti lasciati sulla porta sulla quale si è bussato invano, sono i biglietti d’auguri degli inglesi, le lettere, le lunghissime lettere che scrivevamo e che aspettavamo con ansia che arrivassero, sono le grafie incomprensibili dei dottori, sono le firme contraffate, i pizzini di chi si nasconde e comanda, è Dio c’è sull’autostrada, è Macedonia is Greek dipinto in bianco sulle colline di Salonicco, è il torno subito del parrucchiere , è scusi ce l’ha una penna chiesto per favore agli sconosciuti, è la calligrafia delle nostre prime parole, sono le macchie blu nei quaderni dei bambini, è l’orgoglio del direttore del The Musulman, il quotidiano in lingua urdu che rifiuta l’impressione tipografica, sono i prezzi che salgono delle verdure al mercato, è il menu del giorno a Parigi, è invisibile quando si usa l’inchiostro al limone e indelebile con quello al mirtillo, si cancella sulla sabbia, è un indice dell’umore e della stanchezza, è l’imperfezione perfetta perché umana, è la traccia del dubbio e dell’idea che si fa onda, è la leggerezza di non avere bisogno di nient’altro che di sé.

 

 

Gli otto volumi dalla copertina nera e dai fogli bianchi, una volta consegnate le loro pagine ad innumerevoli carezze e fruscii, verranno avvolti in panni di tessuto, sigillati ermeticamente e nascosti in un luogo segreto. In una doppia prospettiva di conservazione della specie e cristallizzazione della memoria riposeranno in un luogo che si immagina buio e forse freddo, in attesa che qualche gigante del futuro li trovi e li sfogli e, volendo riattivare quel rituale magico, s’impegni a tracciare le sue parole sui muri.

 

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