Underworld 6. Tombe etrusche
Tarquinia con le sue torri, simili ad antenne, gli appare di colpo all’orizzonte. È l’aprile del 1927 e D.H. Lawrence è partito da Roma insieme all’amico Earl Brewster dopo aver visitato il museo di Villa Giulia. Il suo scopo è visitare i luoghi etruschi. La città laziale è stata la capitale della lega che univa le città di questo popolo. Morta come le altre dopo la conquista romana, è risorta nel Medioevo con altro nome: Corneto. Lo scrittore sa che lì c’è un importante museo e un’ampia serie di tombe dipinte scoperte nel corso dei secoli precedenti. Non è attratto dall’arte, piuttosto dalla rivelazione di qualcosa che sta cercando in Italia. Per trovarlo s’immerge nel mondo sotterraneo degli Etruschi. Lawrence assolda una guida che l’accompagna con una lampada. Entra nella Tomba della Caccia e della Pesca. I muri sono danneggiati, parti si sono staccate e l’umidità ha corroso i colori, eppure nell’oscurità avverte “voli d’uccelli che fuggono tra le tenebre con un fremito di vita nelle ali”; la camera è “affrescata tutt’intorno con cielo nebbioso e mare (…) e piccoli uomini che cacciano, pescano e vogano in battelli”.
Ci sono molte tombe in quel luogo oggi conosciuto con il nome di Monterozzi, in precedenza “grotte Cornetane”, e i due inglesi entrano ed escono da sottoterra, così il mondo sotterraneo degli Etruschi diventa per loro via via più concreto della sovrastante luce pomeridiana. Lawrence e l’amico iniziano “a vivere coi danzatori, coi convitati e con gli accompagnatori funebri delle pitture e a cercarli con desiderio”. Una delle più belle è la Tomba del Triclinio o del Convito. Nel diario e racconto di quelle visite alle città dei morti, apparso postumo e inconcluso con il titolo di Luoghi etruschi nel 1932, lo scrittore spiega cosa lo attrae in quel territorio tra Lazio e Toscana: “facilità, naturalezza, abbondanza di vita e nessun bisogno di forzare la mente e lo spirito in qualsiasi direzione”, qualità proprie degli Etruschi. Questa civiltà cancellata dai Romani è, a suo dire, l’ultimo germoglio del mondo preistorico mediterraneo. Nelle stanze buie scavate sottoterra, tra le ombre spezzate dalla lampada, vede emergere “le ultime religioni che ancora non hanno inventato gli dèi e le dee, ma vivono del mistero dei poteri elementari dell’universo, delle complesse vitalità di ciò che noi chiamiamo debolmente Natura”. Lawrence sta cercando ciò che testimonia ancora quella vitalità arcaica dissipata nell’apocalisse della Prima guerra mondiale. La civiltà etrusca è conosciuta, allora come oggi, attraverso rari documenti scritti e mediante i resti dell’universo sotterraneo che si manifesta nei suoi fastosi sepolcri.
Poiché le città sono scomparse, inglobate dalla potenza romana trionfante, e i documenti scritti sono giunti sino a noi in forma incompleta o solo funebre, gli Etruschi si presentano attraverso l’evento della morte piuttosto che della vita. Il libro di Lawrence ribalta questa idea mostrandoci un mondo di morti che trabocca di “gaia e ardente vita, spontanea come soltanto la vita giovanile può esserlo”. La profonda fede nel vivere è la prima caratteristica che lo scrittore incontra nel buio delle tombe. Quella dei Leopardi, una delle ventidue visitabili all’epoca a Tarquinia – più o meno lo stesso numero di oggi rispetto alle 112 censite nelle mappe del luogo aperto al pubblico –, gli pare che sia ancora abitata dagli Etruschi del VI secolo avanti Cristo, “un popolo vigoroso che possedeva il senso della vita e che nella concreta pienezza di questa vita deve aver vissuto”. Non sono tanto i dettagli sessuali, sia di tipo etero che omosessuale, che un giovane archeologo tedesco incontrato lì definisce “pornografici”, a colpire Lawrence, ma il senso del tocco che le pitture mostrano. Le mani dei personaggi ritratti, uomini o donne, non afferrano, possiedono piuttosto la facoltà rara del toccare: “Il tocco non proviene dalla parte interiore dell’essere umano: è semplicemente un contatto di superfici e una sovrapposizione di oggetti”.

Qui sui muri dipinti delle tombe “c’è un tocco che fluisce pacato e che unisce l’uomo e la donna sul giaciglio, il timido fanciullo dietro di loro, il cane che solleva il naso e persino le ghirlande che pendono dalla parete”. Quello che il visionario scrittore inglese coglie è proprio questa particolarità della cultura etrusca prima che arrivi a farsi sentire l’influenza della civiltà greca e di quella romana. Lo scrive nella prefazione a Luoghi etruschi Giorgio Agamben che interpreta l’immensa necropoli di questo popolo come il segno del perfetto legame tra vita e morte: per gli Etruschi la terra era unione di Gaia, vita, e Ctonia, morte, dove la prima rappresenta la Terra dalla superficie in su: il Cielo; e la seconda dalla superficie in giù: Underworld, segno di una civiltà che non esclude mai la sfera sotterranea dei morti. Come ha scritto Massimo Pallottino, il maggior studioso degli Etruschi, “La mistica unità del mondo celeste e del mondo terrestre si estende verosimilmente anche al mondo sotterraneo, nel quale è localizzato, secondo le dottrine etrusche più evolute, il reame dei morti”.
Le tombe sono pensate come case, scrive Lawrence, uno spazio dotato di arredi e di oggetti d’uso, in gran parte depredati, con pitture di banchetti, musici, danzatori. Il tutto, spiega l’archeologo italiano, serve ad offrire un incorruttibile “appoggio” allo spirito del morto minacciato dal disfacimento del corpo. Pallottino sottolinea che con l’attenuarsi delle credenze primitive, quelle efficacemente descritte dallo scrittore inglese, entra nella pittura sepolcrale etrusca la visione del regno dei morti di origine greca: soggiorno triste e senza speranza, dominato a volte dallo spavento che include la presenza di mostri e figure infernali, come nella Tomba dei Demoni Azzurri scoperta nel 1984. Compare la figura di Charun, Caronte. Con il mondo greco e romano “il cosmo vivente divenne semplicemente un dio personale”, scrive Lawrence; tramonta la visione del cosmo unico, dotato di un’anima unitaria ma composta di creature: “la più grande creatura era la terra, con la sua anima di fuoco interiore”. Così le anime trasmigrano in un “regno dell’al di là” e l’inferno diventa il destino dei morti. Certo c’è anche il Paradiso, poi arriverà anche il Purgatorio, come ci ha spiegato Jacques Le Goff, ma il mondo vitale degli Etruschi è scomparso da secoli. Restano tuttavia là sottoterra le pitture che fecero palpitare l’autore dell’Amante di Lady Chatterly.
Per approfondire:
D.H. Lawrence, Luoghi etruschi, Neri Pozza; M. Pallottino, Etruscologia, Hoepli; M. Torelli, L’arte degli Etruschi, Laterza.
Leggi anche:
Marco Belpoliti | Underworld 1. Mohole e Palomar
Marco Belpoliti | Underworld 2. Grotte e caverne
Marco Belpoliti | Underworld 3. Vulcani
Marco Belpoliti | Underworld 4. Lombrichi
Marco Belpoliti | Underworld 5. Bunker
Questo articolo è già uscito in forma ridotta su “la Repubblica”, che ringraziamo.
