Speciale

Ghermandi di padre in figlia

7 Settembre 2025

Per Babbo dove sei? (Canicola edizioni, 2025) Francesca Ghermandi ha sfoderato tutta la grande capacità stilistica che la contraddistingue fatta di bravura e originalità nel disegno, verve, ironia e profondità nella scrittura con in più tutta la quantità di affetto che la lega alla figura gigante di suo padre, Quinto Ghermandi. Non a caso l’appellativo di “elefante”, con cui veniva affettuosamente e scherzosamente chiamato in famiglia, è il modo con cui compare tratteggiato in un formidabile ritratto. Un ritratto a tutto tondo, in cui convergono in una piacevolissima struttura narrativa a tavole autoconclusive, le storie e gli aneddoti familiari, quelle della famiglia paterna, quella dell’ambiente artistico bolognese, l’Accademia di Belle Arti, di cui è stato direttore dal 1981 al 1984, ma anche i rapporti più intimi interpersonali di una bambina, ragazzina, poi donna che cresce in un periodo fervido, quello dalla seconda metà degli anni Sessanta agli inizi degli anni Novanta, ma intriso di situazioni complesse e anche tragiche.

Non svelerò la trama che lascio al gusto della scoperta ai lettori, ma davvero ci sono molte sovrapposizioni di livelli di racconto che ci fanno immergere completamente nel suo sviluppo. Il protagonista è Quinto Ottavio Ghermandi, ottavo figlio di una famiglia di coltivatori che si trasferisce a Bologna, dove dopo la guerra intraprenderà la sua carriera artistica che lo fa emergere tra gli scultori italiani dell’informale. Presenta le sue opere alla Biennale di Venezia e in altre importanti mostre in Italia e all’estero. Questa carriera artistica viene raccontata attraverso gli occhi di sua figlia che vive il rapporto con un padre singolare da cui capiamo che ha imparato molto, in particolare il modo di guardare se stessi e gli altri, che diventano personaggi che si animano in storie con cui ama divertirsi fin da piccola. Infatti è chiara fin da subito la dimensione della finzione, della teatralità, un codice che si deve per forza condividere come un patto implicito tra scrittore e lettore, ma anche tra attore e spettatore.

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Il mondo dell’arte a Bologna, dagli artisti, da Giorgio Morandi a Pirro Cuniberti, ai critici milanesi come Giuseppe Marchiori, traspare in sintesi precise se pure concentrate in vignette ed episodi apparentemente marginali, ma proprio per questo verissimi. Bellissimo il riferimento al libro sul Kitsch. Antologia del cattivo gusto di Gillo Dorfles e la comune passione alla ricerca di oggetti “brutti ma belli” in giro per negozietti e mercatini… Così, è interessante il coinvolgimento di Quinto Ghermandi nelle creazioni dei carri allegorici del carnevale di San Giovanni in Persiceto, paese vicino a Bologna, e del suo divertimento in quel clima goliardico e fantasioso.

Arte e poesia ad un tempo circolano in tutta la narrazione e ci portano via via a conoscere dal di dentro anche un periodo che, visto con gli occhi di una ragazzina, pare ritrovare una forma reale, scevra da connotazioni politiche o ideologiche, come quando in un incontro scolastico con dei partigiani parla dell’azione da paracadutista del padre a El Alamein e poi della sua prigionia in un campo di internamento inglese. Quanto in seguito esprima il suo dissenso per ogni forma di guerra e la realizzazione dei monumenti per la Resistenza. Il suo stesso stupore da ragazzino davanti a un monumento ai caduti della Grande Guerra e la nascita di un desiderio di diventare con le sue parole di allora “statuario”.

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Poi c’è la questione del disegno, un modo di guardare alle cose che casualmente passa dal padre di Quinto, Smeraldo, e più consapevolmente da Quinto a Francesca. Un modo di vedere le forme e i loro rapporti nello spazio, che verranno sviluppati nella scultura e nella “Statuaria” da Quinto, e nella composizione, fatta di pesi e misure, nelle tavole a fumetti di Francesca. Inoltre è similare la capacità di immaginare e trasfigurare il reale anche nel paradosso e nella caricatura. Quinto porta con sé spesso la piccola Francesca anche in Accademia: molto significativo l’episodio in cui lei elabora un bosco di ceramica e lui lo cuoce nel forno e lo porta come esempio ai suoi studenti “fricchettoni”. Siamo negli anni Settanta e tutto sta cambiando rapidamente, ma, effettivamente, seguendo il filo di una storia che ha un punto di vista privilegiato, artistico, sembra tutto coincidente in una visione sopra le righe per un verso, ma assolutamente dentro, anzi che scava sotto la superficie più di ogni altro.

Seguiamo la narrazione attraverso fotografie, disegni appuntati in fogli a quadretti e poi le riviste a fumetti e seguiamo nel contempo anche la crescita di Francesca Ghermandi come artista lei stessa, incline verso quella che ora definiamo letteratura disegnata. Difficile per un artista come Quinto, concepire negli anni ’80 questo tipo di disciplina artistica, che, invece, era proprio la più distintiva in quegli anni, specie a Bologna dove Francesca frequenterà la scuola dello Zio Feininger. La distanza di comprensione di quello che era concepito come il Nuovo Fumetto Italiano la si coglie tutta nella esclamazione di Quinto davanti a una tavola a fumetti disegnata, ma incompleta dei testi: “Sì, questi spazi vuoti, sono bellissimi!”. Una frase che racchiude in poche righe la distanza a questo punto generazionale e il passaggio di Francesca all’età adulta, che segna il suo distacco dal padre e dalla famiglia.

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Ma rimane molto forte il legame affettivo che smussa le asperità e riporta in primo piano le passioni comuni, come quella per il cinema e l’identico atteggiamento antiretorico.

Un ritratto di un padre e di un’epoca, che se pure non di famiglia, ho rivissuto personalmente, ritrovando un pezzo di Bologna e di molti artisti e fumettisti che ne facevano parte. Credo che comunque, alla fine, ci si possa tutti ritrovare nella storia e nella domanda, rimasta sospesa, che apre il libro in copertina “Babbo, dove sei?”.

Il 12 settembre 2025 a Novara si terrà il festival Scarabocchi.
Qui tutte le informazioni.

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