Il Nord Nord dell'amico ritrovato
Antefatto 1
Mille anni fa, quando finalmente, a 45 anni, ho pubblicato il mio primo libro (Clandestinità con Bollati Boringhieri), la prima persona del mondo letterario che mi ha accolto come amico è stata Marco Belpoliti. Ha presentato il mio libro, mi invitava nella sua bella casona di Mondonico (la stessa da cui si dipana Nord Nord). E a me sembrava, dopo una così lunga e terribile solitudine artistica, di essere entrato in una sorta di vita parallela, di avere finalmente incontrato – nel mondo letterario che fino ad allora mi aveva sempre respinto – delle persone abitate da convinzione e passione, magari anche un po’ ingenue e infantili, come sono spesso gli scrittori: Marco, Luigi Grazioli, con il suo simpatico accento bergamasco che a me ricordava gli anni del seminario, e anche gli altri della sua gang saturnina. Mangiavamo insieme, insieme cucivamo a mano libri artigianali nello stanzone col camino. Una bella cricca di amici bambini, come quelli che si incontrano leggendo le vite degli scrittori e le storie della letteratura, un’idea di vivere questa condizione anche come stato di fervore esistenziale, simposio irradiante di amici, perché la letteratura è fatta anche di persone, di corpi che si incrociano nel breve tempo delle loro vite. E’ successo molte volte in passato: con i poeti dello Stilnovo, con gli scrittori, i poeti e i pensatori tedeschi, francesi, inglesi, irlandesi, americani e russi del Settecento, dell’Ottocento, del Novecento…
Poi, all’improvviso, è successa una cosa che ci ha divisi. C’entrava Calvino, certo, ma c’entravano anche molte altre cose: un’idea di letteratura e di mondo, il mio bisogno di precisarmi forzando i possibili artistici dati e lo spirito culturale del tempo, che a me sembrava avvitato su se stesso e bloccato... E io, che ero appena venuto dolorosamente al mondo come scrittore, ho dovuto separarmi dolorosamente anche dai miei primi amici per poter proseguire sulla mia strada, anche se non sapevo se esisteva, né tanto meno dove portava. Certo, un altro magari avrebbe lasciato correre. Ma io, fragile, disperato e intransigente com’ero, non potevo che vivere la mia vocazione come una questione di vita o di morte.
Antefatto 2
Mille anni dopo – cioè pochi mesi fa – ho fatto la pace con Marco. Ci siamo incontrati di persona, siamo andati a mangiare insieme una pizza e abbiamo chiacchierato tranquillamente e amichevolmente, senza neanche accennare alle nostre antiche ferite. Ed è stato per me un piacere e un sollievo, in questo momento delicato e difficile della mia vita, perché in tutti questi mille anni dentro di me ho continuato a provare amicizia e affetto per lui, a leggere quello che scriveva sui giornali, perché mi diletta il suo modo sghembo e spiazzante di illuminare la scena, fin da quando avevo letto un suo vecchio e incantevole libro dove si inventava un’asimmetrica storia dell’Italia attraverso i francobolli (Italo, Sestante, 1995).
Recensione
Bene, adesso, dopo avere inquadrato la situazione, posso cominciare.
Che razza di libro è questo?
Un libro belpolitesco al massimo grado. Un libro pieno di pensieri e spensierato. Un libro pieno di parole sapienti gettate con noncuranza, ma anche di fotografie che fanno emergere un intero mondo e di disegnini infantili. Un libro coltissimo e scanzonato. Un libro che racconta con lo stesso passo cose divertenti e cose terribili, come ad esempio l’Italia futura sommersa dalle acque. Un libro dove l’erudizione fa un tutt’uno col senso poetico, con l’esplorazione e col sogno. Un libro che racconta in tono colloquiale e rivolgendosi a un “tu” che siamo anche noi lettori vicende umane, vegetali, animali. Un libro che accomuna in un solo sguardo e in solo abbraccio tutta la varietà dei terrestri: neandertaliani, cro-magnon, ragni, lombrichi, ghiacciai, Arlecchino, Brighella, lanzichenecchi, corvi, pipistrelli, corona ferrea, querce, merluzzi, Arbasino, fili d’erba, lari, penati, Dondero, Stendhal sorpreso a consumare una “chiavata” a pagamento, Gadda, coccinelle, storia umana, geografia, botanica… Perché chi l’ha detto che un autore debba sempre e solo raccontare una bella e possibilmente edificante storiella, come è consuetudine in questi tempi letterariamente servili? Questo libro è la prova vivente del contrario, cioè che un libro può essere anche un crogiolo, una cornucopia, non qualcosa che ti tiene appiccicato con la carta moschicida della trama (di una trama spesso costruita con ingredienti fissi e a tavolino) ma un vaso dove ti puoi gettare a capofitto prendendo quello che ti interessa.
Impossibile dire qualcosa di normativo su un libro di tale varietà, spregiudicatezza e ricchezza, che scappa da tutte le parti e che pure è unificato e abbracciato da una visione indivisa, perché se ne ridurrebbe l’imprevedibilità quantica. Si può solo leggerlo e, mentre lo si legge, imparare e nello stesso tempo godere.
Però posso continuare dicendo che la casa da cui prendono le mosse queste molteplici esplorazioni è la famosa casona di Mondonico di cui parlavo all’inizio, cosa che ha reso per me particolarmente emozionante e tridimensionale questa lettura. E che il primo personaggio che ci viene incontro – in veste di bizzarro e forse farneticante Virgilio – è un barbaro civilizzato soprannominato il Bandana. E che, dopo questo excursus attraverso tutti i regni naturali e anche dello scibile umano, apprendiamo che la Lombardia non esiste, e che ce lo dice addirittura Carlo Cattaneo: “Il nostro popolo, nell’uso domestico e spontaneo, mai non diede a sé medesimo il nome geografico e istorico di lombardo”; e che anche il concetto di Nord (declinato per ben due volte nel titolo del libro stesso) è opinabile, alla faccia delle ideologie e dei deliri politici e antropologici che gli umani ci hanno costruito sopra.

Leggendo questo affascinante e inclassificabile libro dalla voce soave e scattosa – come d’altronde quella del suo autore quando parla – apprendiamo con sbalordimento e divertimento un gran numero di cose, come ad esempio che una delle spiegazioni della propensione dei bergamaschi a contrarre il Covid durante la recente epidemia sarebbe stata determinata dal fatto che molti degli abitanti di quelle valli possiedono geni dei neandertaliani, e che questo li avrebbe resi deboli davanti all’aggressione del virus. E possiamo persino seguire il percorso di uno scarabeo su una tavola disegnata dal gesuita seicentesco Athanasius Kircher, dove è raffigurato “il cammino dello scarabeo, animale sacro, che passa di pianeta in pianeta nella tavola astrologica delineando così una figura composta da un grande cerchio e da uno più piccolo collocato sopra l’altro a formare una specie di protuberanza: insieme compongono una doppia spirale.” Lo studioso seicentesco scrive: “Da colore a colore, e trascolorando. Ascende lentamente ma sistematicamente, la sommità della quale ridiscende lungo la veloce curva degli acromatici, a recuperare l’origine e a riprendere il cammino.” E mi colpisce anche, qualche riga dopo, la riflessione dell’Autore: “Ogni volta che esamino questo foglio rettangolare a distanza di qualche anno mi sembra di poter leggere in questo cammino ricorsivo e tortuoso, ma assolutamente regolare dell’insetto, che transita per i segni zodiacali abbinati ai colori, il medesimo cammino che ho percorso io o che sto ancora percorrendo. Io sono lo scarabeo che compie il suo tragitto senza avere alcuna idea del disegno che traccia nel percorso. Al tempo stesso io sono colui che guarda da fuori questo tragitto di forma geometrica e ne distingue la forma complessiva.”
Ecco, queste parole, ben più della conclusione di ragionevolezza e sobrietà manzoniane poste a suggello del libro, a me paiono la vera conclusione di questo libro e del viaggio compiuto dal suo autore-scarabeo attraverso la vita e il mondo.
Ma c’è da dire che questo libro è pieno anche di ritratti umani, agili e freschi, che ci fanno vedere le persone come se fossero davanti a noi (Alberto Arbasino, Giulia Niccolai, Vincenzo Consolo, Enzo Mari, Lea Vergine, Mario Dondero, cara persona che ho conosciuto anch’io e che mi ha anche fotografato), e poi ci sono delle grandi ombre, come quella di Gadda e della sua casa brianzola...
Forse a certi lettori saranno proprio queste le parti che interesseranno di più, e anch’io, se è per quello, le ho lette con curiosità e interesse. Però ciò che mi affascina maggiormente di questo libro sono le presenze non umane: vegetali, animali, insetti, tutto un mondo semi-invisibile e liminare che raramente ha una tale presenza epifanica in un’opera che è anche un excursus personale ed esistenziale. Creature e presenze che sono avvicinate con grande delicatezza spirituale e linguistica, come ad esempio i pipistrelli, le coccinelle, oppure i due corvi che vanno a beccare le immondizie: “Scendono a volte fino alla casa, soprattutto nei giorni in cui esponiamo l’immondizia, il cosiddetto ‘umido’, prima dell’arrivo del camioncino che le raccoglie. Per i corvi è un cibo prelibato. Becchettano i sacchetti con quella specie di rostro che possiedono, ben più grande di un semplice becco, dopo aver sollevato con facilità il coperchio dei cestini dove riponiamo gli avanzi dei nostri pasti. Quando li vedo venire con le loro ali nere spiegate, mi fanno impressione, sebbene sia sufficiente un forte rumore con le mani per farli scappare: si rintanano nella boscaglia, oppure si spostano nell’orto qui di fronte, vicino al torrente, dove trovano sempre qualcosa da mangiare. Il pattume costituisce tuttavia un’attrattiva unica. L’altro giorno, poi, c’era un po’ di immondizia sparsa, gusci di vongole, probabile resto di una pasta allo scoglio di uno dei miei vicini. Un corvo teneva nella bocca una conchiglia come un trofeo, poi si è levato in aria e l’ha lasciata cadere.”
Mi sono soffermato, invece che su qualcuno dei bei ritratti umani, su un paio di brani che parlano di scarabei e di corvi non solo per far sentire la particolare voce avvolgente e intima dell’Autore ma anche per far intendere la natura non antropocentrica della sua attenzione a ogni forma vivente, in questo libro che ha zone di concentrazione e zone pulviscolari e che riesce ad arrivare anche a zone aeree, invisibili, intercettate con l’amorevolezza e lo stupore di uno sguardo perennemente curioso e con l’ausilio della sua vasta e tentacolare cultura. Sono a mio parere l’anima di questo libro e ciò che ne costituisce l’originalità e la bellezza. Perché non ci sono solo i romanzi, declinati e reiterati spesso in romanzetti seriali, ci sono anche – e ci sono stati – nella nostra e in altre letterature, nel corso del tempo, scritture irregolari che non vanno a sondare come solo e unico tema la psicologia o la presunta psicologia dei viventi umani, ma che vanno a illuminare anche altre forme o maschere chimiche della vita, e che lo fanno attraverso medium che non sono solo quelli della narrazione letteraria lineare e autoriferita. Troviamo di queste forme negli scrittori antichi, greci e latini, in certi autori del Cinquecento, del Seicento e del Settecento e anche dopo, in autori come Leopardi, Gadda, Ortese, Primo Levi e in diversi altri autori come (perché no?) Calvino. E le troviamo anche in opere di grandi poeti e scienziati dei secoli passati, da Lucrezio fino a Galileo e a Darwin… E anche oggi, a volte, le troviamo dove meno ce le aspetteremmo, in certi bei libri scritti da scienziati e divulgatori, con la loro lingua proporzionale dove forma e contenuto sono una cosa sola, che parlano di ciò che avviene negli abissi della materia, nel nostro ambiente cosmico, nel mondo delle più oscure profondità oceaniche, degli insetti, delle formiche… e che spesso sono superiori non solo come portato di conoscenza ma anche linguisticamente rispetto a libri di scrittori ripiegati su piccole storie edificanti o stilizzazioni, perché nei primi c’è un cammino di conoscenza e scoperta che trova il modo di rendersi dicibile attraverso le parole e la lingua e perciò ci arricchiscono e nello stesso tempo ci riempiono di stupore, ci scaraventano dentro un’avventura, come quando leggevamo per la prima volta l’Iliade, La divina commedia, Don Chisciotte, I viaggi di Gulliver, Moby Dick, I fratelli Karamazov, La Metamorfosi, Vaggio al termine della notte… anche se gli eroi omerici che combattono sotto le mura di Troia, i dannati e i salvati, i cavalieri erranti, i viaggiatori in mondi sproporzionati e spiazzanti, gli ossessi, i disperati, gli indemoniati, i trasognati… sono diventati polipi, pipistrelli, molecole, doppie eliche, buchi neri, formiche alate, corpi celesti…
Conclusione
Caro Marco, ho saputo che questo tuo ricchissimo libro è arrivato ultimo al Premio Campiello.
“Forza e coraggio!” come diceva mia mamma.
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In copertina, fotografia di ©Luigi Ghirri.