"Basta essere cattivi": i 50 anni dello Sconosciuto
Quando arriva nelle edicole, nell’ottobre 1975, Mi ricordo che..., settantaseiesimo numero di “Alan Ford”, è per molti lettori uno shock paragonabile alla notizia dello scioglimento dei Beatles. Perché, per la prima volta da quel maggio 1969 che ne segnò la nascita, le matite dell’albo scritto come sempre da Luciano Secchi alias Max Bunker non sono opera di Roberto Raviola in arte Magnus. A sancire la fine di un sodalizio iniziato undici anni prima, un laconico comunicato di Secchi: «Alanfordissimi: Magnus non se l’è sentita di portare avanti il discorso disegnato a matite».
Per una curiosa coincidenza, quello stesso mese esce in edicola un tascabile per adulti intitolato I cinque gioiellieri. Un quintetto di orefici sulle tracce di un favoloso tesoro trafugato dai nazisti. Un truculento albergatore con un segreto da custodire. E un vagabondo di mezz’età dall’oscuro passato, ex legionario e mercenario dai trascorsi in Algeria e in Indocina, che non sa, né può, sfuggire alla violenza di un mondo senza pietà. È una storia lugubre e brutale, dagli inusitati eccessi violenti e macabri.
Pubblicato dalla milanese Edizioni del Vascello, specializzata in fumetti per adulti, I cinque gioiellieri è il quarto episodio di una nuova serie ideata, sceneggiata e disegnata da Magnus, “Lo Sconosciuto”. Incaricato di creare una nuova serie mensile, Raviola prende spunto da incontri con personaggi reali e poco raccomandabili, in particolare con un ex legionario conosciuto in vacanza a Tangeri. Così racconterà nel 1978 in un’intervista per il “Bollettino del Club Giovani Amici del Fumetto”: «vedendoli al giorno d’oggi un po’ abbacchiati, ho pensato: perché non creare un vecchio guerriero che ha vissuto molte avventure e vedere come si muove e si comporta nel mondo odierno. E non si muove certo bene, visto come va il mondo oggi».

Sono gli anni Settanta del piombo e del sangue quelli in cui si muove Unknow (la “n” finale manca, come ci tiene a precisare lo stesso personaggio: «Suona come “sconosciuto” perché sono pochi a conoscermi»), antieroe di mezz’età taciturno, poco fotogenico e pieno di acciacchi: volto ossuto, sopracciglia e capelli imbiancati, una certa somiglianza – nota Diego De Silva – con Alberto Moravia, fisico asciutto, occhi spesso nascosti dietro un paio di lenti scure, sonni tormentati dagli angosciosi incubi di un passato che ritorna e non vuole svanire. Un ronin avvezzo all’arte della guerra che vaga da un continente all’altro, incappando in conflitti e rivoluzioni, faide e massacri, dal Marocco pullulante di trafficanti d’armi e agenti esteri (il primo numero, Poche ore all’alba, alla cui sceneggiatura collabora, non accreditato, l’amico Francesco Guccini) all’Italia degli anni di piombo, tra neofascisti e serpi vaticane (il dittico Largo delle tre api e Morte a Roma, numeri 2 e 3), dai Caraibi squassati da rigurgiti rivoluzionari che mettono fratelli e sorelle gli uni contro gli altri (il numero 5, Il sequestrato della Sierra) al Libano insanguinato dalla guerra civile, tra raid aerei israeliani su civili inermi e terroristi kamikaze (il sesto episodio, Vacanze a Zahlé). Scenari in cui Unknow si muove sempre ai margini, badando ai fatti propri e impegnandosi unicamente a sopravvivere, salvo attirare i guai su di sé come una calamita, talvolta per pura e semplice jella, talaltra perché, a dispetto di trascorsi che si intuiscono gravidi di violenze e atrocità, sopravvive in lui un lumicino morale.
Nulla a che vedere, sia ben chiaro, con Corto Maltese. In primis, perché Unknow è, e sarà sempre, un perdente, capace di trovarsi invariabilmente dalla parte sbagliata della canna di una pistola, e poi perché al personaggio fa difetto qualsiasi sussulto romantico. In quanto alla violenza, il gioioso cinismo di eroi al nero senza scrupoli come Kriminal e Satanik è solo un ricordo: caduto l’alibi della trasgressione e dello sberleffo all’ordine costituito, resta la piena consapevolezza delle atrocità di cui l’essere umano può macchiarsi. In Il sequestrato della Sierra, lo Sconosciuto ricorda: «C’è stato un tempo in cui ho visto torturare, e ho torturato, molti uomini», e conclude: «I mezzi per torturare un uomo non sono molto importanti... basta essere cattivi!»
Magnus si dedica a “Lo Sconosciuto” con una puntigliosità inusitata per un fumetto popolare, e che anticipa l’ossessiva cura del dettaglio che lo accompagnerà nelle imprese future, su tutte l’ormai leggendaria lavorazione settennale del “Tex” realizzato per Bonelli tra il 1989 e il 1996, anno della scomparsa del disegnatore bolognese. Pur costretto entro i rigidi limiti del formato tascabile, Raviola cerca spesso di evadere dalla griglia delle due vignette per tavola, variandone le proporzioni, suddividendo lo spazio in verticale, concedendosi vignette a pagina intera o doppia, con esiti di straordinaria bellezza come il totale notturno sull’eponima piazza di Largo delle Tre Api, con la veduta del palazzo principesco, la fontana monumentale e il cortile dietro a cui fa capolino un giardino vaticano. E il tratto mostra una sensibile evoluzione rispetto ad “Alan Ford”, con un raffinato e complesso tratteggio che di lì a pochi anni lascerà il posto a uno stile affine alla ligne claire con gli albi di “Necron”, fino ad approdare al segno aperto delle tavole del “Texone”, ideale omaggio ad Aurelio Galeppini, con quelle immagini mirabolanti di foreste ombrose e notturni sotto la pioggia. Raviola, che si dedica alla lavorazione in solitaria con il solo sporadico ausilio della moglie Margherita Fantuzzi alle chine, si avvale anche del retino, che dona al risultato una ricchezza inconsueta nelle ombreggiature e nei chiaroscuri, salvo poi pentirsene per le ulteriori difficoltà che esso comporta. Il ritmo, poi, è caratterizzato da un montaggio che si direbbe cinematografico, tra ellissi, scene d’azione e flashback, con dialoghi secchi e didascalie quasi inesistenti, a beneficio di una tensione narrativa che non cala mai: vedi l’episodio del viaggio sui camion carichi di nitroglicerina in Il sequestrato della Sierra, chiaro omaggio a Vite vendute (1953, Henri-Georges Clouzot).

A ciò si aggiunga l’approccio del disegnatore a mondi di cui è curioso esploratore. Appassionato di oriente e cultura araba, Magnus non si limita alla cura certosina nel riprodurre ambienti e fisionomie, ma recupera inusitati stralci poetici, su tutti i versi del poeta arabo pre-islamico al-Shànfara («Io non sono un morto di sete che fa pascere di sera i suoi cammelli...»), letti da un fedayin a un compagno morente in Vacanze a Zahlé, sequenza che occupa sette (magnifiche) tavole centrali della storia e in cui il lettering riproduce il passaggio nell’originale arabo. A dimostrazione dei suoi vasti e sofisticati (ma mai snobistici) orizzonti intellettuali, e con buona pace di chi liquiderà “Lo Sconosciuto” come un fumettaccio porno.
In “Lo Sconosciuto”, in realtà, sesso ed erotismo sono centellinati rispetto ai fumetti per adulti coevi, e soprattutto hanno ben altra funzione. In Poche ore all’alba, a fronte della cospicua violenza a base di proiettili che trapassano crani e corpi dilaniati da esplosioni, appena cinque tavole sono dedicate allo spogliarello (con un unico nudo frontale) della provocante Eliza Gonçalves, i cui tentativi di sedurre il protagonista vanno però a vuoto di fronte all’ostentato disinteresse di quest’ultimo, immerso nella lettura di un quotidiano («Vedo che sapete leggere il giornale…» «Sì, ho imparato pian piano…»). Nel secondo numero Largo delle Tre Api, uscito nell’agosto 1975, i lettori hanno una sorpresa non da poco. Quando la giovane principessa Barbara Quiriti della Lupa – trascurata consorte di un maturo principe romano dalle simpatie neofasciste e dalla predilezione per efebi e marinai – si reca nottetempo nella stanza dell’autista Gianni, suo amante, fa capolino, per la prima volta in un fumetto italiano, la visione dell’organo maschile eretto, bissata nella storia successiva dalla rappresentazione dello stupro di cui è vittima Barbara a opera di due trucidi teppistelli ingaggiati dal marito per vendicare l’onta del suo tradimento con un proletario. Solo pochi mesi prima, nel numero della rivista “OV – Ora Verità” datato primo maggio 1975, l’hardcore aveva fatto la sua apparizione sulle pagine di un periodico per adulti. Ma il Rubicone varcato da Magnus è ancora più gravido di implicazioni: un atto rivoluzionario, un simbolico guanto di sfida a chi pensa al fumetto come arte deteriore e al fumetto erotico come pattume. In seguito, Magnus si spingerà ben oltre nel campo del fumetto per adulti, con “Necron”, “Le 110 pillole” e “Le Femmine Incantate”. Ma quelle poche tavole furono uno spartiacque, tanto più forte pensando al contesto, una storia ambientata a Roma (e in pieno Anno Santo) e dalle esplicite implicazioni politiche.

Largo delle Tre Api e Morte a Roma sono uno shock ancora maggiore di Poche ore all’alba, e mostrano la raggiunta maturità di Magnus sceneggiatore. Il dittico è un vero e proprio congegno a incastro, mirabilmente costruito fin dalle tavole iniziali, con Unknow che si risveglia dall’ennesimo incubo in una squallida pensioncina romana, urina nel lavandino guardandosi allo specchio, fa la conta dei lividi e delle ferite ed esce nell’Urbe albeggiante («Ho dormito abbastanza… 4 ore filate… son contento!»). È qui che ha inizio l’avventura, con l’incontro fortuito con un ex commilitone che procura allo squattrinato Sconosciuto un lavoro: autista di un vescovo antiguano seguace della teologia della liberazione e inviso alle alte sfere vaticane, di cui Unknow dovrà riferire le mosse. Pian piano si chiarisce il quadro d’insieme, con le varie pedine sulla scacchiera: un avvocato che manovra squadracce neofasciste e gestisce omicidi e sequestri; le summenzionate scappatelle della principessina Quiriti della Lupa cui il consorte decide di mettere fine una volta per tutte; il piano di Gianni per ripulire la cassaforte del principe con l’aiuto di un non più giovane scassinatore e fuggire all’estero con Barbara; e l’arrivo a Roma di un trio di sicari cubani incaricati dall’ambasciatore antiguano di uccidere lo scomodo religioso. I vari fili del plot convergono implacabilmente fino a un climax di inusitata violenza (arti mozzati, volti maciullati da fucilate a bruciapelo, budella esposte) che, mutatis mutandis, evoca certe pagine di Manchette.
Se “Lo Sconosciuto” è rigorosamente realistico nella descrizione di luoghi e intrighi, e iperrealistico nelle esplosioni splatter, nondimeno vi si ritrova il gusto di Magnus per le atmosfere horror che già caratterizzava certi albi neri degli anni ’60. Né viene meno la predilezione per il grottesco e la deformazione fisiognomica, cifra sempre presente nella resa delle figure di contorno, si tratti di sussiegosi maggiordomi, infidi trafficanti, laidi grassoni o nasuti sicari dai baffi spioventi in cui Raviola riproduce in chiave caricaturale le proprie fattezze. Ma qui l’artista non ha bisogno di nascondersi dietro all’ironia, né vuole farlo, e lascia che la sua disperazione e la rabbia nei confronti di un mondo da cui finirà per sentirsi estraneo, rifugiandosi nei tardi anni ’80 nella quiete dell’appennino bolognese, tracimino senza più argini. È come se il mondo spietato ma ameno di “Alan Ford”, con quelle improbabili periferie newyorchesi disseminate di catapecchie e staccionate malconce che ricordano piuttosto certe borgate della Capitale, si mostrasse sotto il suo vero volto, gelando in gola il riso.
Dopo i Caraibi di Il sequestrato della Sierra, da dove era fuggito rocambolescamente in elicottero lasciandosi dietro morte e distruzione, nel sesto albo (gennaio 1976), ritroviamo Unknow a bordo di un taxi nel centro di Beirut. L’autista è morto, preso in fronte da una pallottola vagante, il veicolo è nel bel mezzo del fuoco incrociato tra esercito e fedayin, e sul palazzo di fronte è appostato un cecchino. Vacanze a Zahlé immerge il lettore nel dramma libanese con una franchezza inaudita: il raid aereo israeliano sui civili inermi è una delle scene più potenti messe nero su bianco dal fumettista. Che mostra una dolente comprensione per la causa palestinese e lancia strali al cinismo occidentale nei confronti del conflitto in atto, dai loghi delle multinazionali che spiccano sui grattacieli e nelle strade insanguinate alla raffigurazione dei personaggi di contorno, come i Roatta, famiglia milanese giunta nella Svizzera del Medio Oriente per una lussuosa vacanza salvo trovarsi faccia a faccia con un orrore rimosso dalle cronache dell’epoca.
Vacanze a Zahlé segna la fine delle avventure dello Sconosciuto. I tempi eccessivi di lavorazione impongono la sospensione della testata. E Raviola non si fa problemi a uccidere il suo eroe. A modo suo: è un giovane fedayin a piantargli due proiettili in corpo a bruciapelo quando Unknow, in un isolato quanto inutile soprassalto eroico, cerca invano di impedirgli di compiere un attentato nella sala da pranzo di un hotel di lusso, zeppa di turisti inermi. Nelle ultime tavole, Unknow, accasciato al suolo, si aggrappa a un piccolo rimpianto («Adesso che ci penso... forse sono stato scortese con quella ragazza... a Marrakech... io... avrei voluto... non ho potu...») prima di perdere conoscenza (memorabile la soluzione grafica di una dissolvenza in bianco, lo sfondo e le ombre che scompaiono e i tratti del volto che si fanno via via più sbiaditi), mentre il terrorista è linciato da una folla inferocita.

È un sacrificio non voluto, una catarsi che esula dalle abituali distinzioni tra bene e male, e che fa calare sulla serie un sipario che più nero non si potrebbe. Inizialmente, l’albo avrebbe dovuto concludersi con una vignetta raffigurante un telegramma che comunicava la morte di uno sconosciuto in un albergo libanese. Su richiesta dell’editore, Magnus decide però di eliminare la chiusa originaria, optando per una più vaga didascalia: «Questo numero conclude il primo ciclo delle avventure de “Lo Sconosciuto”». Inizialmente accarezza il progetto di una nuova miniserie, “La Figlia dello Sconosciuto”, dai toni meno foschi. Infine, capitola. Dapprima rispolvera il personaggio in un paio di storie brevi apparse nel 1981 sul “Resto del Carlino” e “La Nazione” sotto la dicitura “Lo Sconosciuto racconta” (Una partita impegnativa e Il volo del “Lac Leman”; una terza, Socco Chico, resta allo stadio di sceneggiatura), in cui Unknow è solo il narratore. Infine, si decide a resuscitare il personaggio. Ancora una volta, alla sua maniera.
L’amico chirurgo cui Raviola si rivolge si sente chiedere se quel “ragazzo” che s’è beccato due proiettili in pancia ha qualche possibilità di salvare la pelle. Per la diagnosi, il luminare deve basarsi sulle tavole finali di Vacanze a Zahlé. Niente resurrezioni miracolose: se Unknow sopravviverà, sarà perché la medicina è in grado di salvarlo. E così, Magnus realizza La fata dell’improvviso risveglio, le cui scioccanti tavole iniziali descrivono con dovizia di particolari il complesso intervento chirurgico che salva la vita al moribondo Unknow, cui l’equipe medica della clinica “Maria Adolescente” di Nazareth asporta il rene sinistro compromesso per una lesione al parenchima e un tratto di colon. «Una fortuna sfacciata... veramente una fortuna sfacciata!», commenta il primario che lo opera. Poche settimane dopo, Unknow è di nuovo in piedi, malmesso ma vivo.
Il breve episodio (dieci tavole) appare sul numero 10 di “Orient Express”, nel maggio 1983, alcuni mesi dopo Full Moon in Dendera (a puntate su “Orient Express”, numeri 1-4, giugno-settembre 1982), che già vedeva Unknow dimesso dall’ospedale e al soldo di un’organizzazione che lo spedisce in Egitto per una missione tra terroristi e trafficanti di reperti archeologici. Seguirà L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara (“Orient Express”, numeri 12-18 e 20-21, luglio-dicembre 1983, aprile-maggio 1984), d’ambientazione boliviana, in cui Unknow ritrova Eliza Gonçalves.
A oltre un lustro dalle storie edite dalle Edizioni del Vascello, quelle di “Orient Express” mostrano un approccio ancora diverso al personaggio. Lontano dai ritmi seriali del decennio precedente, e fedele al motto per cui «disegnare i fumetti e scriverli non è facile, ma non è neanche difficile, purché si scriva con squadra e compasso e si disegni con il vocabolario», Magnus ha imparato a prendersi tempo e a curare ogni particolare con rigore ascetico. Il tratto è minuzioso, le tavole di grande formato densissime, le vignette spesso straboccano di dettagli (ché sono i dettagli, per Magnus, a fare emergere i personaggi), le soluzioni grafiche sono audaci, dall’uso delle silhouette (su sfondi non solo illuminati ma anche neri) a quello della ripetizione (la doppia pagina di L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara occupata da ventiquattro vignette raffiguranti lo schermo di un computer su cui scorrono dati), la laconica secchezza delle sceneggiature precedenti lascia il passo a un fiume di parole e didascalie. E se emergono altri, poco raccomandabili sosia del disegnatore (come l’egittologo Philippe Champollion di Full Moon in Dendera), Unknow è sempre più relegato ai margini, spettatore quando non addirittura comparsa, ininfluente e dimenticabile ingranaggio in narrazioni complesse che toccano la Storia nel suo svolgersi. Come L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara, dove Raviola mescola finzione e documento, rievocando la guerriglia boliviana attraverso estratti dai diari del “Che” e reinventando la fine di quest’ultimo attraverso i flashback del misterioso El Lugubre, l’uomo che, con licenza poetica, Magnus trasforma nel vero assassino del rivoluzionario lasciato moribondo dal suo giustiziere ufficiale, Mario Terán.

Non è finita, sembra: a metà degli anni ’90 Magnus mette ancora mano al personaggio. Dopo la ristampa delle precedenti avventure in formato tascabile per Granata Press nella collana “Schegge”, tra il 1991 e il 1992, Unknow vive una terza giovinezza, e la rivista “Comix” commissiona al fumettista nuove avventure. Storie brevi, ficcanti, di sei tavole l’una. Il trait d’union tra il vecchio e il nuovo, Riassunto, è un rimaneggiamento del finale di L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara, mentre il primo episodio vero e proprio, Nel frattempo (“Comix” n. 3, marzo 1996), è una specie di pit-stop analogo a La fata dell’improvviso risveglio, con Unknow sotto i ferri di un dentista per rifarsi la dentatura perduta sotto le torture dei boliviani. L’episodio si conclude col mercenario intento a ritirare un lauto assegno e ben deciso, d’ora in avanti, a lavorare in proprio. Per la prima volta lo vediamo sorridere – più che un sorriso, un ghigno da squalo – rimirando allo specchio la dentatura nuova di zecca («Ringiovanito? ... è proprio così! Vent’anni di meno!»), per poi allontanarsi di notte, di corsa, nella neve, per una volta felice. D’essere vivo.
Riassunto viene pubblicato sul numero di febbraio 1996 di “Comix”, in quello successivo è la volta di Nel frattempo. Titolo, quest’ultimo, amaramente ironico, ché nel frattempo il tumore al pancreas si è portato via Roberto Raviola nel suo eremo di Castel Del Rio. Ha fatto in tempo a consegnare le ultime tavole del “Texone” e ha lasciato sul tavolo di lavoro bozze e progetti incompiuti, come Il Conte Notte e gli storyboard di una terza storia dello Sconosciuto, Lo spettro di Tezca, ambientata in Messico e dedicata, come le due precedenti, all’amico Bonvi, morto solo due mesi prima.
Magnus firmò l’ultima tavola di Poche ore all’alba con un esagramma dell’I Ching, che significa “il viandante”. Scelta emblematica per un disegnatore che non ha mai smesso di viaggiare, incuriosirsi, sperimentare, e per un antieroe errabondo quant’altri mai, e per il quale «voltar le spalle vuol dire rinunciare ma “procedere” ... significa soltanto riuscire ad andare avanti...» (da Full Moon in Dendera).
