Speciale

Disegnare le mani non è mai stato facile

12 Settembre 2025

Nel disegno si dice che le mani siano una delle cose più difficili da rappresentare.

Sono complesse, piene di linee e capaci di una moltitudine di movimenti e pose. Bisogna dedicarsi a studiarle molto bene per poterle rappresentare.

Del nostro corpo sono la parte che vediamo di più. Si pongono di fronte a noi, alla nostra vista e si muovono in tantissimi movimenti, così tanti che è difficile memorizzarli tutti.

Le vediamo sempre, a meno che non siano a riposo lungo i fianchi del corpo. Quando le alziamo per usarle, possono allontanarsi dal nostro busto per oltre un metro, nei soggetti con le braccia più lunghe. Per tutto il giorno le vediamo lavorare per noi, quando stiamo scrivendo, stiamo saldando, usando la tastiera di un computer o quella di un pianoforte, facendo operazioni chirurgiche o contabili. Le mani agiscono, così ci sembra, su impulso del nostro cervello. Noi pensiamo, ordiniamo, e le mani fanno. Sono le nostre serve fedeli.

Eppure un disegnatore non potrebbe dire la stessa cosa. Per un disegnatore le mani non sono serve fedeli. Se, ad esempio, il disegnatore ha un'immagine mentale che vuole riprodurre in modo dettagliato sulla carta, cercherà di muovere le mani in modo che il disegno risulti aderente all'immagine che si è fatto nella mente. E sarà una lotta inesausta. Inizierà una singolar tenzone con queste mani che non fanno esattamente quello che il disegnatore vorrebbe, perché il disegno si discosterà sempre dall'immagine mentale. Il disegnatore non può fare altro che allenarle queste mani. Renderle sempre più abili e capaci di movimenti fini e di tracciare contorni fedeli all'idea mentale.

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E per esercitarsi, dato che le mani hanno questa particolarità di essere sempre con noi, ma fuori da noi, diventano un soggetto inevitabile. Così la si disegna per esercitare la mano, per l'appunto, ritraendo la mano che non disegna. Per questo troviamo un sacco di esercizi nei taccuini degli artisti: Leonardo, Durer, Rubens, solo per citare alcuni famosi provetti disegnatori che ci hanno lasciato un sacco di mani.

Maurits Cornelis Escher era molto bravo a disegnare e disegnò delle mani che si disegnano. È uno dei disegni di mani più famosi al mondo. Ricordo che quando ero bambino, uscendo di casa, vedevo ogni giorno questo disegno perché nel paesaggio di periferia urbana dove mi muovevo, c'era un cartellone pubblicitario di una scuola serale per il recupero degli anni persi, che aveva il disegno di Escher come immagine promozionale. Mentre aspettavo di attraversare la strada, fermo al semaforo con lo zaino pieno di libri sulle spalle, guardavo queste mani che si inseguivano in un vortice infinito come fossero uno lo ying e l'altro lo yang. E mi colpiva il fatto che fossero disegnate in modo così realistico. Erano più definite e credibili di quanto sarebbe stata la foto di una mano. E non soltanto perché queste mani erano mozzate.

Con l'andare degli anni, studiando l'arte, ho visto che le mani dovevano essere un cruccio notevole per i pittori che si affannavano a rappresentarle in pose spesso innaturali. Ogni volta che entravo in una chiesa, cercavo l'immagine della madonna o di qualche santo e volevo vedere le sue mani, in che posizione fossero; poi cercavo di riprodurre, alle volte mentalmente, a volte nella realtà, quella posizione. Mi colpiva sempre come il mignolo fosse eccentrico in queste pose. I mignoli di santi e di madonne assumevano delle posizioni particolari e tendevano ad essere in qualche modo anarchiche rispetto alla mano. Mi sembravano gesti di cattivo gusto, un po' come quando vedevo le persone al bar che, nel tenere la tazzina del caffè, avevano il mignolo sollevato.

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Non sapevo, allora, delle "mani parlanti", di tutti i gesti che venivano rappresentati nei dipinti: pietà, preghiera, accoglienza, rifiuto, orazione, silenzio, grazia.

Scoprii che non erano gli unici esempi di mani espressive nell'arte: vidi le mani votive, scure e mozzate, degli antichi Etruschi; mi innamorai delle flessuose, ancorché schematiche, mani scolpite sul tempio di Karnak, così simili alle mani scolpite nei templi induisti; lessi le 37 Mudra per capire il linguaggio delle dita del Buddha.

Capii che una mano non va disegnata per come è, che poi nessuno lo sa come è davvero, troppo mutevole la forma, ma per come è fatta.

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Proviamoci.

La mano è basata su di un poligono irregolare a cinque lati più o meno. A seconda delle mani i lati possono diventare sei perché si crea una sorta di punta da dove c'è l'attaccatura del dito medio. Questo pentagono o esagono irregolare è poi sormontato da quattro linee dritte e su uno dei lati lunghi ci sarà una linea obliqua tra i 45 e i 60 gradi. Ho fatto una mano. Un poligono e cinque linee. Cosa ci vuole di più?

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I bambini, che disegnano il corpo umano come insieme di forme, forse comprendendone struttura e funzioni, usano un quadrato o un cerchio su cui fanno crescere cinque linee, come infilando degli stuzzicadenti in una patata.

Il disegno così essenziale della mano è riconoscibilissimo in tutte le culture.

Nel Novecento, i pittori che si allontanavano dalla figurazione, tralasciarono il disegno preciso delle mani, trascurandone anche la gestualità. Al volo, mi viene in mente il ritratto della moglie fatto da Max Beckmann, in cui il viso grazioso contrasta con delle mani dal disegno appena accennato e dalle dita troppo lunghe. La pittura d'avanguardia poteva fare a meno del linguaggio delle mani.

Resistevano alle avanguardie gli illustratori editoriali e commerciali e i fumettisti.

La maggior parte dei comics riusciva a risolvere abbastanza semplicemente la complessità del disegnare mani perché erano rappresentate in piccolo. Ma c'erano tante eccezioni. Quella che forse ci ricordiamo meglio è quella di Walt Disney. Per me, piccolo lettore di Topolino, era quasi insostenibile l'anatomia di questo topo. Le sue mani rigonfie come dei bomboloni, che avevano solo tre dita più il pollice, me lo facevano sembrare mostruoso, come fosse un alieno. Non riuscivo a credere in Topolino, non riuscivo a credere in una creatura che avesse solo quattro dita. Però mi rendevo conto, quando disegnavo, che disegnare un dito in meno era molto comodo.

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E in effetti la fantascienza mostrava mani alquanto strane, perché gli alieni dovevano essere per forza diversi da noi, quando antropomorfi. In genere il numero delle dita delle mani aliene veniva ridotto, fino a tre, se non in quel geniale racconto profetico e apocalittico che è L'eternauta. Uscito a puntate sulla rivista argentina Hora Cero tra il 1957 e il 1959, su soggetto e sceneggiatura di Héctor Oesterheld e disegni di Francisco Solano López anticiperà in modo drammatico la dittatura che verrà.

In L'eternauta gli alieni si chiamano "Mano" – proprio così! – e sulle loro mani germogliano, in fila dal polso, oltre venti dita che servono loro per controllare le menti di grandi insetti e degli umani, usandole come suonassero invisibili theremin.

Quando alla scuola media iniziai a fare letture più "impegnate", mi imbattei nelle Sturmtruppen di Bonvi. Le mani dei personaggi bonviani erano continuamente ciondolanti, interrogative, a riposo rimanevano in una posa innaturale e, direi, vampiresca. Mi ricordavano le mani come le usano i preti quando parlano e che, con mia sorpresa, rivedevo spesso in tv, quando intervistavano l'allora Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. Nelle Sturmtruppen tutte le mani erano uguali, non c'era differenza, ognuno aveva le mani dell'altro.

Ci volle qualche anno perché ritrovassi delle mani realistiche nei fumetti di Breccia o in quelli di Toppi. Fino a che nel novantuno non mi imbattei in quella che era la rappresentazione della mano che più di tutte ha colpito la mia immaginazione di ragazzo. E non era disegnata, ma era capace di catturare l'attenzione e di fermare il tempo.

Andai nel mio negozio di dischi preferito, che era anche l'unico della mia città, e con insistenza chiesi un disco che i negozianti non conoscevano. Io sapevo che esisteva perché l'avevo sentito in radio, ma mi dissero che forse non era ancora arrivato in Italia. Testardo andai a rovistare tra i 45 giri mix, che erano quei dischi di durata inferiore ma grandi quanto un LP, che venivano usati dai DJ. Rovistai nella cesta con la lettera M e finalmente trovai il disco che loro dicevano di non avere. Era il singolo Unfinished Sympathy dei Massive Attack.

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C'era una foto a grandezza naturale, o forse di più, di una mano aperta, di cui si vedeva il palmo, in una posa come di resa, di stop, di pace. Di questa mano si potevano vedere le linee molto marcate sul palmo. L'anulare, al posto di un anello, aveva un cerotto piuttosto spesso, o forse era un pezzo di tessuto, e tutto sporco. Questa mano scura, con la pelle che sembrava così spessa, riusciva a parlarmi di una vita fatta di difficoltà e di strada. E a suo modo mi esaltava, immortalata in quel gesto che non riuscivo a interpretare. È rimasta impressa nella mia memoria per sempre, non sono mai riuscito a togliermela.

Forse era come le mani dei Buddha, forse era un richiamo alla mano di Fatima. Ho provato a leggerla quella mano, come fossi un chiromante, ma non ho mai capito cosa volesse dirmi. E tuttora mi interrogo sul suo significato di quella mano. Ma ho capito che non importava che fosse una foto, la sua potenza derivava dalla sua grandezza. Non puoi non fermarti di fronte a una mano così grande che invoca solo pace.

Il tema di Scarabocchi Festival di quest'anno sono le mani. Un tema più difficile da disegnare non potevano sceglierlo. Anzi sì, ovvero cavalli o biciclette. Non so quante mani disegneremo, ma spero di incontrarne una, tra le mille, che possa fermare ogni pensiero e ci faccia arrendere alla potenza della rappresentazione.

Il 12 settembre 2025 a Novara si terrà il festival Scarabocchi.
Qui tutte le informazioni.

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