Gaza: la morte dell’Occidente
Prima di affrontare direttamente l’argomento delle due storie di Joe Sacco Palestina. Special Edition, (edizione Mondadori, 2025) e War on Gaza, (ed. Fantagraphics, 2024), è forse opportuno delineare brevemente alcuni suoi dati biografici perché ci danno la misura della sua personalità di giornalista e autore di fumetti. Joe Sacco è nato a Kirkop (Malta), il 2 ottobre 1960, da dove la sua famiglia si trasferisce nel 1961 a Melbourne in Australia, dove rimane fino al 1972, quindi si sposta in California e nel 1974 a Beaverton in Oregon dove frequenta la Facoltà di Giornalismo presso l’Università dell’Oregon. La sua inclinazione giornalistica si esprime nel linguaggio del fumetto.
Collabora con “The Comic Journal”. Tra le sue storie legate al tema della guerra, citiamo More Women, More Children, More Quickly, Malta 1935-43, basato sui ricordi della madre e The Great War, July 1, 1916: The First Day of the Battle of the Somme, An Illustrated Panorama, un Leporello che seguendo le trincee della prima Guerra Mondiale ne ripercorre la dimensione tragica e grottesca.

Da reporter decide di recarsi direttamente nei luoghi dove si svolgono i conflitti di cui si occupa e, nel 1988, lo interessa la Guerra del Golfo che lo porta quindi ad approfondire la questione del Medio Oriente. Negli anni Novanta va in Israele e in Palestina e scrive un reportage a fumetti che pubblica a episodi tra il 1991 e il 1993, raccolti nel libro Palestina (1993), vincitore dell’American Book Award nel 1996. In Italia il libro esce per Mondadori editore nel 2002, che lo ripubblica quest’anno col titolo Palestina. Special Edition, corredato con testi di approfondimento dello stesso autore e del docente della Columbia University, Edward Said, autore del libro La questione palestinese. La tragedia di essere vittime delle vittime.
L’attività giornalistica di Sacco, si configura sempre di più come Reporter di guerra, dedicandosi anche al conflitto in Bosnia con il libro Safe Area Goražde (2009, pubblicato in Italia nel 2006 dall’editore Mondadori), e ancora alla Palestina con Footnotes in Gaza (2010), dove approfondisce la storia dei massacri di Khan Younis e Rafah perpetrati nel 1956 (ed. Mondadori, 2012).
Nel 2024 pubblica The War on Gaza (Fantagraphics, 2024, distribuito da Feltrinelli Editore), uscito a puntate sul “Comic Journal”, che ha vinto il “Will Eisner Comic Award”, come “One Shot” (Miglior numero singolo), nel luglio di quest’anno al San Diego Comic-Con.
Sempre su questo tema segnaliamo la significativa collaborazione tra Joe Sacco e Art Spiegelman, l’autore di Maus, basato sulle memorie di suo padre, sopravvissuto ad a Majdanek e Auschwitz (1986-1991, vincitore del premio Pulitzer nel 1992), sfociata nella storia Mai più (Titolo originale Never again) pubblicata a febbraio 2025 nella rivista “Internazionale”.

Joe Sacco, negli anni in cui si definisce con il termine Graphic Novel una forma di scrittura a fumetti intesa come letteratura a fumetti, è l’esponente che incarna per primo il profilo di comic reportagist, anche se il termine personalmente non gli piace, di questo si tratta.
La sua formazione e la sua passione per il disegno si uniscono, dando forma a una cronaca descritta puntualmente, in base alle sue ricerche sul campo. In Palestina è coadiuvato da un fotografo, Saburo, ma la forma della storia appare fin dall’inizio molto chiara. Lui stesso ne fa parte come personaggio-testimone. Questa caratteristica colpisce fin dall’inizio, l’autorappresentazione nel racconto, ribadita quasi a ogni tavola. Non è una scelta casuale, è una sottolineatura che lo vede presente e compartecipe dei fatti che racconta, testimone appunto in prima persona, di quello che accade proprio davanti ai suoi occhi, interlocutore delle persone con cui parla e che intervista. Certo il suo è un punto di vista privilegiato, un giornalista americano, che deve conquistarsi la fiducia e ribadire la sua prerogativa in un luogo in cui il conflitto fa parte della quotidianità ed è assimilato come costante e dominante su tutto e su tutti indistintamente. Anche in tempo di “pace” soggiace e si insinua sottotraccia marchiando le persone che nascono divise per etnia, religione, cultura. Non sono solo “diverse”, ma proprio “nemiche”. Questo concetto è molto chiaro fin da subito e i rapporti di forza si manifestano in varie forme in ogni momento e ogni giorno.
Difficile per noi capire esattamente questa situazione, quando, se non in atteggiamenti “razzisti”, purtroppo sempre più frequenti, la nostra realtà è completamente diversa.
Joe Sacco si trova catapultato dentro un luogo dove anche la geografia oltre che la storia è complicata fin dalle origini. La violenza è endemica. I criteri occidentali saltano completamente. In Palestina, Joe Sacco assume una posizione in cui non possiamo che condividere, inghiottito dalle azioni di forza che non capisce, i drammi delle persone comuni sono tragedie che si moltiplicano e le situazioni vissute sono brutali.

Nelle tavole le figure sono affastellate, una sull’altra, lui stesso è immerso in mezzo a tanti altri protagonisti della storia e i balloon e le didascalie sono densissime di testo, quasi non bastassero le parole per rappresentare convenientemente il vissuto. Sospeso tra cronaca e diario autobiografico, il libro si struttura in episodi cruenti, disperati e non può che trasmetterci, attraverso una cronaca, una storia consacrata alla Letteratura. Infatti questo libro va oltre alla cronaca giornalistica episodica, appartiene alla Letteratura, una Letteratura di guerra, purtroppo non finita, in-finita, di cui assistiamo oggi a quello che sembra essere una svolta se possibile ancora più violenta. Se il riconoscimento o il mancato riconoscimento della Palestina è tuttora oggetto di dispute, per quanto riguarda la Letteratura ha un suo spazio, una collocazione e una cittadinanza ideale a noi tutti nota.
In questo ultimo anno e mezzo l’evoluzione di una situazione già drammatica si è se possibile involuta in modo repentina, irrefrenabile, ineluttabile.
Joe Sacco allora cambia il registro narrativo nell’albo War on Gaza, è un commentatore a distanza che però sa di cosa sta parlando, è un commentatore che non usa mezzi termini, che attacca con la penna, l’arma che può colpire più di una spada, così almeno si diceva, e certo è l’unica arma in suo e nostro possesso. Cosa che non impedisce di sentirsi impotenti e vittime di un clima di guerra che viviamo e subiamo, se pure da lontano, in differita.
La sensazione è che, per quel che ci è dato di sapere, potremmo trovarci in una situazione simile, senza poter oggettivamente fare nulla, senza che nessun organismo internazionale, nemmeno l’ONU, proprio nessun garante dei diritti internazionali, come sono stati stipulati un tempo, possano prevalere sulla forza delle armi, sul fanatismo dogmatico unito a sempre più evidenti interessi di potere politico ed economico.

E quindi? Quindi siamo tutti inorriditi. Altri pennini si uniscono al coro, come le molte proteste, leggiamo le vignette pubblicate sul “Manifesto” di Maicol&Mirco, puntuali come stilettate, leggiamo i fumetti di Zerocalcare su “internazionale”, sempre pronto a tradurre in fumetto l’attualità che sta diventando effettivamente una cronaca di guerra. Ma nemmeno la massa dell’opinione pubblica riesce a smuovere nulla.
In una delle tavole di War On Gaza, si ripropone quello che pare un dilemma linguistico, anche aberrante rispetto alla realtà, quasi che la sua risoluzione potesse sanare in qualche modo la situazione e portare a una conclusione che ci facesse tirare un sospiro di sollievo. Pure la riportiamo dalla tavola a pagina 3: “Is it genocide, or is it self-defense? Lets make everyone happy and I say il is both. In that case, we’ll need new terminology. I propose “genocidal self-defense” That should give both sides something to work with”.
Ma, davvero, quello che è certo a tutti Joe Sacco lo stigmatizza nella didascalia a pagina 23: “Gaza was where the West went to die”. Gli ideali di Libertà, Uguaglianza, Fraternità si sono sgretolati senza che si possa intercedere in alcun modo. Oltre che soffermarsi sulla disputa e congruenza della parola “Genocidio” rispetto al conflitto Israeliano, dovremmo interrogarci sulla congruità della nostra condizione di Occidentali e le definizioni che ci appartenevano di “Democrazia”, “Giustizia”, “Diritto”.
