Gli italiani non risparmiano più
Il risparmio e la ricchezza delle famiglie sono elementi fondamentali del ciclo e dello sviluppo economico di un paese, oltre che del benessere individuale. Rappresentano il risultato di scelte compiute nel presente a partire da eventi occorsi (e grandezze formatesi) nel passato, attraverso cui le famiglie si proiettano nel futuro. Comprendere quanto le famiglie risparmiano e come accumulano la propria ricchezza è quindi essenziale per leggere le vicende economiche di un paese e valutare le sfide che lo attendono.
Il volume Risparmio e ricchezza di Riccardo De Bonis, Luigi Infante ed Enrico Saltari pubblicato quest’anno da Carocci offre un’analisi rigorosa e aggiornata della finanza delle famiglie italiane, presentando dati e tendenze in un’ottica comparativa con altri grandi paesi europei. Gli autori analizzano le determinanti e le dinamiche degli ultimi decenni, offrendo una lettura estremamente utile in un momento storico segnato da profondi cambiamenti sociali, politici e tecnologici. Pur mantenendo un rigoroso impianto analitico, l’opera si distingue per uno stile chiaro e accessibile. Soprattutto, gli autori presentano dati ed evidenze spesso inedite che, anche se non è sempre detto in modo esplicito, sfatano due luoghi comuni sugli italiani e offrono importanti spunti di riflessione sulle tendenze dell’economia del nostro paese.
Per quanto riguarda il risparmio, l’opinione comune è che “l’Italia è un paese di risparmiatori”. Ma quanto c’è di vero in questa immagine degli italiani-formiche nel confronto internazionale? Quanto è stabile nel tempo la propensione al risparmio delle famiglie italiane? Come ha reagito il risparmio a shock come la crisi del 2020 legata al Covid-19? Qual è il livello ottimale di risparmio in una società che invecchia, si digitalizza e affronta crisi economiche ricorrenti? E, principalmente, chi risparmia oggi in Italia?
Sulla ricchezza, un’altra affermazione ricorrente nel dibattito economico e politico nel nostro paese è: “gli italiani vanno matti per il mattone”. Si tratta di un modo di dire che allude alla forte propensione degli italiani verso l’investimento immobiliare, in particolare l’acquisto di abitazioni. Ma quanto c’è di vero in questa percezione? Quanta parte della ricchezza degli italiani è effettivamente rappresentata da patrimonio immobiliare? Si sono registrate variazioni nella composizione e nel livello della ricchezza negli ultimi decenni? E quali sono le implicazioni in termini di disuguaglianza economica tra ricchi e poveri, e tra giovani e anziani?
Vediamo quali sono le risposte degli autori a queste domande e gli spunti di riflessione che esse offrono.
L’evoluzione dei redditi disponibili (ossia al netto delle tasse), dei consumi e, per differenza, del risparmio delle famiglie italiane dal 1980 ad oggi mostra che fino ai primi anni Novanta l’andamento delle tre variabili è stato relativamente stabile. In quel periodo, la propensione al risparmio – cioè il rapporto tra risparmio e reddito – si attestava tra il 25% e il 30%. In altre parole, gli italiani risparmiavano tra un quarto e un terzo del proprio reddito disponibile. In effetti, un vero e proprio popolo di risparmiatori.
Dal 1992, tuttavia, i consumi hanno cominciato a crescere più rapidamente rispetto ai redditi disponibili, determinando una riduzione sia in termini assoluti, sia relativi del risparmio. La propensione al risparmio è progressivamente calata fino ad attestarsi attorno al 10%: le famiglie italiane risparmiano oggi circa un decimo del proprio reddito disponibile. Un’impennata del tasso di risparmio si è verificata durante la crisi legata al Covid-19 (negli anni 2020-2021), quando ha superato il 15%. Tuttavia, tale incremento è da attribuire principalmente a una contrazione forzata dei consumi, dovuta alla paura del contagio e alle politiche di distanziamento sociale piuttosto che a una svolta nei comportamenti degli italiani. L’assenza di un cambiamento strutturale è confermata dal fatto che, già nel 2022, il tasso di risparmio è tornato un valore vicino al 10%.
In poche parole, negli ultimi due decenni è venuto meno il mito dell’italiano risparmiatore. In confronto ad altri paesi europei, l’Italia presenta oggi un tasso di risparmio inferiore rispetto alla Germania (circa 20%), alla Francia (circa 17%) e alla media dell’area euro (circa 15%). Una delle ragioni è certamente la bassa crescita economica del nostro paese, pressoché nulla in termini reali negli ultimi vent’anni. Tale stagnazione è connessa a diversi fattori: l’invecchiamento della popolazione, le difficoltà del sistema produttivo nell’adottare nuove tecnologie in un contesto globale competitivo, e la ricorrenza di crisi economico-finanziarie, tra cui quella del debito sovrano del 2011-2012. Quest’ultima ha avuto un impatto particolarmente negativo sulle finanze delle famiglie italiane, che nel 2012 hanno registrato, per la prima volta nell’arco di più decenni, un saldo finanziario negativo, cioè si sono indebitate più di quanto abbiano investito, sia in termini reali (abitazioni) sia finanziari (per esempio, depositi bancari).
Quindi, il risparmio, oggi, non è per tutti. Una quota crescente della popolazione – giovani, lavoratori precari, famiglie del Mezzogiorno – vive in condizioni di vulnerabilità economica. Secondo l’Istat, nel 2024 circa il 10,3% delle famiglie italiane (pari a 2,2 milioni) si trovava in condizione di povertà assoluta. Questo dato implica che circa 6,2 milioni di individui non dispongono delle risorse necessarie per condurre una vita dignitosa e tantomeno per poter pensare di risparmiare. Tra gli under 35, quasi una famiglia su tre non riesce a generare risparmio positivo. Il contrasto è netto con le famiglie più anziane, spesso proprietarie di casa e con redditi più stabili, tra le quali il risparmio è ancora diffuso, seppur in forme molto prudenti. I dati confermano quindi una crescente disuguaglianza, a cui gli autori dedicano molto opportunamente un intero capitolo.

Prima di approfondire le implicazioni distributive di questa evidenza, consideriamo quanto emerge in tema di ricchezza. Nel 2022 la ricchezza complessiva delle famiglie italiane ammontava a 11.400 miliardi di euro: poco più della metà, circa 6.300 miliardi, era costituita da ricchezza reale (abitazioni, fabbricati, terreni), mentre la parte restante da ricchezza finanziaria. Quest’ultima è detenuta per circa un terzo in banconote e depositi, per circa la metà in titoli, obbligazioni o fondi di investimento, e per il resto in altre forme di investimento finanziario, prevalentemente riserve assicurativee fondi pensione. L’elevata quota di attività liquide rappresenta un elemento di vulnerabilità in un contesto di inflazione, che ne erode il valore reale.
Le famiglie italiane risultano invece relativamente poco indebitate: nel 2022 il totale delle passività superava di poco i 1.000 miliardi di euro. Il rapporto tra passività e reddito disponibile è cresciuto dai primi anni Duemila (quando si attestava a circa 0,5) fino a raggiungere il valore di 0,7 nel 2022. In prospettiva comparata, l’Italia presenta un livello significativamente più basso rispetto ad altre economie avanzate: nell’area euro tale rapporto è superiore a 1, mentre nel Regno Unito supera 1,5. Come altrove, la maggior parte delle passività è costituita da mutui per l’acquisto di abitazioni, contratti da famiglie più giovani, con redditi decisamente più alti e posizioni lavorative più stabili. Da un lato il basso indebitamento protegge il sistema macroeconomico da crisi bancarie e finanziarie come nel 2007-2008, quando la crisi dei mutui subprime ha coinvolto il sistema bancario italiano in misura molto contenuta. Dall’altro, però, riflette la scarsa propensione del sistema bancario a concedere credito alle famiglie giovani con redditi più incerti (autonomi o precari). Questa prudenza, se eccessiva, frena l’accesso al credito da parte degli individui e, in ultima istanza, finisce per incidere negativamente sulla formazione di nuove famiglie e sulla natalità.
In Italia, il rapporto tra ricchezza netta (al netto delle passività) e reddito disponibile è pari a circa 9, un valore sostanzialmente in linea con le principali economie avanzate (Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Giappone) e leggermente inferiore a Francia e Spagna. Dal 1999, quando era poco inferiore a 8, questo rapporto è cresciuto soprattutto per effetto dell’aumento del valore delle attività patrimoniali, mentre i redditi reali sono rimasti stagnanti.
Come già accennato, la ricchezza degli italiani è concentrata in immobili, tendenza comune anche in altri paesi dell’area euro. Al contrario, in economie con mercati finanziari più sviluppati – come Regno Unito, Giappone e Stati Uniti – la ricchezza delle famiglie è in prevalenza finanziaria.
Quali implicazioni comportano queste differenze? Due in particolare, entrambe con risvolti positivi e negativi. Anzitutto, la ricchezza reale è più stabile, poiché i prezzi degli immobili tendono a variare meno rispetto a quelli delle azioni, ad esempio; questo comporta minori rischi, ma anche rendimenti attesi più bassi. Secondo, la ricchezza reale ha una utilità intrinseca e tende ad avere un valore meno volatile nel tempo ma è meno liquida. In caso di necessità, è molto più semplice vendere rapidamente e senza grandi perdite una quota di un portafoglio finanziario che una porzione di un immobile o un terreno. Questa minore liquidità può tradursi in una maggiore dipendenza dei consumi dal reddito corrente e in una maggiore fragilità macroeconomica durante le recessioni.
A partire da due evidenze – che una crescente quota di famiglie non riesce a risparmiare, e che il rapporto tra ricchezza e reddito è alto o in aumento – il libro si concentra sul tema della disuguaglianza. Le evidenze mostrano che anche in Italia, come nel resto delle economie avanzate, la distribuzione della ricchezza è sempre più diseguale. Il nostro paese è, tra quelli europei, quello con la maggiore concentrazione patrimoniale: il 10% più ricco delle famiglie possiede oltre il 50% della ricchezza netta, mentre il 50% più povero ne detiene meno del 10%. Per i meno abbienti l’abitazione costituisce quasi l’unica forma di ricchezza, mentre i più ricchi investono in attività più diversificate, liquide e redditizie. La disuguaglianza della ricchezza, per questa ragione, non potrà che ampliarsi nel futuro.
La questione non è solo etica. Una distribuzione fortemente squilibrata limita la mobilità sociale e rallenta la crescita economica. In un contesto in cui la mobilità si riduce, chi nasce in famiglie povere ha maggiori difficoltà a migliorare la propria condizione. In assenza di ricchezza ereditata diviene molto difficile poter accumulare capitale umano e avviare iniziative imprenditoriali, emergere dalla povertà e valorizzare il proprio talento, opportunità che sono alla base non solo della realizzazione della persona ma anche della crescita complessiva di una società nel lungo periodo.
Il libro si chiude con alcune riflessioni sul futuro. La crescente digitalizzazione, l’aumento della concorrenza tra banche e piattaforme di investimento online, e l’emergere di nuovi strumenti di risparmio e pagamento come le criptovalute, creano nuove opportunità. Tuttavia, queste forme di “risparmio alternativo” comportano anche maggiori rischi, che, se non compresi, possono compromettere il patrimonio delle famiglie e la loro sicurezza. In tale contesto, l’educazione finanziaria – ovvero l’insieme delle competenze che permettono di comprendere la natura e la rischiosità dei prodotti finanziari – diviene sempre più un nodo cruciale. In Italia, il livello medio di alfabetizzazione finanziaria è basso, come mostrano tutte le indagini internazionali. Anche da questo punto di vista, l’innovazione legata all’intelligenza artificiale (IA) generativa rappresenta sia un’opportunità che un rischio. Le piattaforme basate su IA possono aiutare le famiglie a confrontare strumenti di risparmio, simulare investimenti e ricevere consigli personalizzati, favorendo così una “democratizzazione” dell’informazione finanziaria. Tuttavia, è necessario garantire trasparenza e promuovere competenze digitali: l’IA non è neutrale, e un uso inconsapevole può causare danni, soprattutto in ambito finanziario.
Le questioni che abbiamo brevemente richiamato sono alcuni dei motivi che rendono il tema del risparmio e della ricchezza delle famiglie quanto mai attuale. Risparmio e Ricchezza offre un’analisi rigorosa e stimolante, e rappresenta una lettura importante per gli studiosi, i decisori politici e tutti coloro che sono interessati a formarsi un’opinione informata su alcune delle questioni centrali che interesseranno le nostre economie nel prossimo futuro.
Tommaso Oliviero, professore di Economia Politica presso l’Università di Napoli Federico II, tommaso.oliviero@unina.it
Alberto Zazzaro, professore di Economia Politica presso l’Università di Napoli Federico II, alberto.zazzato@unina.it
