I droni e la guerra ibrida
L’apparizione di droni sui cieli europei, una minaccia silenziosa su pacifiche città e aeroporti civili, installazioni militari ed energetiche (in Polonia, Belgio, Danimarca…) è stata definita guerra ibrida. Una definizione poca chiara: è o no guerra? La definizione che il giurista tedesco Carl Schmitt dava nel 1938, in I concetti di guerra e di nemico, di situazioni simili a quella in atto oggi, sembra più chiara: “Praticamente l’alternativa tra guerra e pace in una situazione intermedia è ancora più importante poiché in essa tutto viene ridotto a finzione e ad astrazione giuridica, sia che si assuma che tutto ciò che non è pace è guerra, sia che al contrario si ammetta che tutto ciò che non è guerra è pace. Si tratta del famoso ‘bastone a due versi’. Ciascuno può argomentare per entrambi i versi e può impugnare il bastone ora per un capo ora per l’altro”.
In questa situazione intermedia tra guerra e pace in cui ci siamo trovati dal 2022, con l’aggressione russa all’Ucraina, la presenza dei droni è emblematica. Sono strumenti di guerra inviati ‘in forma pacifica’ (non sono armati), dimostrativa: a vedere come reagisce l’avversario, la NATO; a mettere paura alla popolazione; forse a far pressione sull’opinione pubblica europea perché i nostri governi non si schierino militarmente a fianco dell’Ucraina contro la Russia. Sono strumenti inviati ‘in forma bellica’ (armati di esplosivi) per fare la guerra tra la Russia e l’Ucraina, sempre più spesso su popolazioni civili, sempre più spesso guidati dall’intelligenza artificiale. “La corsa agli armamenti moderni non concerne le armi nucleari, ma i milioni di droni a buon mercato. Quelli che potranno aumentare la produzione più rapidamente otterranno la pace. Essa necessita di un finanziamento rapido e sufficiente dell’industria della difesa ucraina, che è oggi la più grande fonte d’innovazione al mondo in materia di difesa. Noi possiamo produrre fino a 20 milioni di droni l’anno prossimo se otterremo un finanziamento sufficiente” ha dichiarato Andrij Sybiha, ministro degli esteri ucraino.
Per fare la pace prepara la guerra, l’antico adagio ritorna prepotentemente in Europa. Ma anche, coglie l’Europa impreparata e militarmente arretrata. Come difendersi dai droni a buon mercato? Con un “muro” di sorveglianza e intercettazione che sarà pronto forse nel 2027, secondo l’Ue? Ma il rischio è adesso! Colpire l’arciere e non la freccia, è l’altro adagio che ritorna. Ma come fermare la Russia dal proseguire – con esiti incerti e sempre più rischiosi – nella sistematica minaccia che essa esercita (certamente russi sono i droni penetrati nel cielo della Polonia, paese Ue e NATO, tra il 9 e il 10 settembre)?
Si ha un bel dire che la Russia non è il nemico esistenziale dell’Europa, anzi è parte dell’Europa. Sono discorsi da Ottocento, quando a Pietroburgo e a Mosca si parlava francese tra le élites colte, e Tolstoj ascoltava Beethoven... Da un secolo la Russia, sovietica e post-sovietica, è centro di una propria visione imperiale che nulla ha a che fare con l’Europa: l’Impero sovietico fatto di stati dominati e annessi (tra essi l’Ucraina e la Crimea) e di satelliti (i paesi del patto di Varsavia). Dopo la caduta dell’URSS, nell’interregno degli anni ’90 del Novecento, l’Europa non ha in alcun modo saputo ricondurre la Russia entro un nuovo sistema di alleanze ‘europee’. La Germania e gli USA hanno fatto affari in Russia. Da allora, il ventennio di Putin iniziato nel 2000 ha sposato la visione di Alexandr Dugin, l’ideologo del Cremlino, di un Impero eurasiatico contrapposto all’Occidente. Il resto lo hanno fatto l’insipienza europea e il declino dell’impero americano. Oggi, gli amici della Russia sono l’estrema destra di AfD e della Lega, Orbán e gli antieuropei d’Europa, e Trump. Esito di errori da non ripetere, come l’affrettata Östpolitik che ha condotto all’allargamento dell’Unione europea ad Est.
Mentre era a Sud, nel Mediterraneo verso l’Africa e il Medio Oriente, che essa avrebbe dovuto guardare… Da rileggere oggi L’Impero Latino, scritto di Alexandre Kojève del 1945: il filosofo russo-francese auspicava, nell’epoca degli imperi che si stava aprendo, un Impero latino a fare da forza intermedia tra l’Impero americano e quello russo-slavo.
I droni sui cieli europei hanno quindi questo lungo retroterra storico-politico. Certo va evitato ogni panico morale, quella reazione sproporzionata a un atto o evento, che porta a squalificare una persona o un gruppo o uno Stato che la compie. Ma altrettanto certo è che occorra reagire, rispondere a una possibile escalation. Con quali strumenti? Deterrenza e intelligence, da parte dei governi europei. Aperta discussione pubblica, da parte dell’opinione pubblica europea, studiosi e media.
E poi, leggere qualche libro. Cosa ci sta facendo il Cremlino e perché, lo descrive Oliver Moody in Baltico (Marsilio 2025). Il giornalista del Times ha accumulato anni di interviste a testimoni privilegiati ed esperti, per dimostrare che il Baltico è la prossima probabile tappa dell’escalation. I paesi baltici, dal 2004 entrati in Ue, ne sono il fianco più esposto, data la presenza di minoranze linguistiche russe che potrebbero fungere da giustificazione di un intervento russo. Anche se il pericolo è contenuto, i paesi baltici sono pronti dal punto di vista militare e civile. Difendono territorio e mare. Ma l’ambivalenza qui è dimostrata dalle esplosioni del Nord Stream nel settembre 2022, il gasdotto sottomarino voluto dalla Germania per il trasporto di gas russo in Europa lungo il fondale marino del Baltico. Secondo la corte federale di giustizia tedesca, competente per il caso, si è trattato di un sabotaggio da parte di un sommozzatore ucraino residente in Polonia, poi riparato in Ucraina. Le infrastrutture energetiche e informatiche del mar Baltico sono a rischio. Un anno dopo, un gasdotto e cavi sottomarini di telecomunicazioni sono stati danneggiati, stavolta da una nave portacontainer cinese.

Anche per Lucio Caracciolo di Limes, l’Artico è in cima alle sfide geopolitiche tra le potenze, insieme a spazio e Intelligenza Artificiale. Il libro di Gianluca Di Feo, Il cielo sporco (Guanda 2025, introduzione di Marco Belpoliti), è altrettanto ricco e utile. Il giornalista di Repubblica, con esperienza trentennale di forze armate e guerre, afferma: i droni possono colpire ovunque, senza curarsi di confini e sovranità. È questo il punto-chiave di svolta, non più guerre dichiarate e procedure di diritto internazionale. Ora si colpisce ovunque. I primi sono stati gli Americani, nella guerra al terrore: dal 2001 così fanno, grazie al Predator primo drone armato, nell’Afghanistan in Siria in Somalia in Iraq in Libia ovunque. Ha iniziato Bush, ha continuato e moltiplicato Obama, ogni martedì alla Casa Bianca si decideva quali terroristi eliminare coi droni, senza truppe sul terreno o piloti in cielo, senza perdite. Milioni di ore di volo dei droni americani, 91.000 attacchi, 22.000 civili ‘vittime collaterali’ (stime Airways-Guardian): anche a costo di colpire nel mucchio per essere sicuri di eliminare il nemico prescelto. Dopo il Predator, il MQ9-Reaper, il Mietitore, quindici volte più potente, riesce a leggere la targa di uno scooter a 3 chilometri di distanza. Ma sono vulnerabili, possono essere abbattuti. Occorre fare un altro salto: verso droni-robot più piccoli, invisibili, a basso costo, pienamente autonomi nelle decisioni elettroniche istantanee.
Lo fanno per primi i turchi, l’ingegner Bayraktar genero di Erdogan dopo aver studiato al MIT, ora secondo produttore mondiale di droni di grandi dimensioni, il suo TB2 costa un sesto del Reaper americano, è esportato in tutto il mondo, anche l’italiana Leonardo è della partita. Poi si passa a versioni miniaturizzate, il Kargu, elicotterini di 60 centimetri in grado di colpire con scelta autonoma, delegata all’Intelligenza Artificiale. Questo passaggio è cruciale: ora i civili non sono più protetti come da convenzioni internazionali, ora l’AI colpisce ovunque chiunque. Fino ai piccoli Hero 30, israeliani, che possono essere usarti anche da un adolescente, pesano tre chili e fanno tutto da soli.
Gli attori forti sono tre: USA, Turchia, Israele. Negli USA è Peter Thiel, l’imprenditorefilosofo della Silicon Valley, a creare accanto a Palantir, da tempo l’azienda-chiave dell’intelligence americana, Anduril (entrambi i nomi sono citazioni dal Signore degli Anelli di Tolkien). Fondata nel 2022 da un gruppo di ex dipendenti di Palantir, ha da poco annunciato la creazione di una maxi-fabbrica, 4.000 dipendenti, per droni di ultima generazione in Ohio. Si tratta del primo, grande investimento per la Difesa annunciato durante la seconda amministrazione Trump. Secondo Thiel, sarà l’AI a far decidere alla Cina se invadere o meno Taiwan: se la Cina teme di restare indietro nella corsa all’AI, invaderà prima che ciò accada.
Di Feo spiega il modello ucraino di produzione dei droni: all’opposto degli USA e dei colossi occidentali, è tutto basato sulla iniziativa decentralizzata di migliaia di piccole aziende e di volontari, veri ‘partigiani tecnologici’, che hanno saputo creare un sistema che si autoalimenta e si rinnova continuamente. Il rapporto è diretto tra i ragazzi al fronte che chiedono cosa gli serve, e i ragazzi nelle startup tecnologiche che fanno i droni. Un modello che ha cambiato la guerra, e inflitto severi colpi ai russi. Ma questi ultimi non sono rimasti fermi, hanno risposto con la mossa del cavallo: dai droni iraniani loro forniti hanno elaborato modelli più avanzati, Shahed-Geran: droni-kamikaze che scavalcano il fronte e colpiscono nelle retrovie. E nel 2025, quadricotteri con cavi in fibra ottica che sfuggono alle difese e a migliaia invadono le città ucraine. Il tutto prodotto da un modello centralizzato che si è rivelato efficiente, l’Arsenale dell’autocrazia è più efficiente dell’Arsenale della democrazia scrive un rapporto statunitense citato da Di Feo. La Russia va verso una “nazione di droni” auspicata da Putin. Un incubo che non finirà con la guerra in Ucraina. L’Europa, sui cui cieli si avvistano i droni-spia, sembra restare alla finestra di questo nuovo inquietante scenario: dominato dall’AI, che è, occorre ricordare, soprattutto di origine militare, per poi espandersi a ogni settore. Difesa, industria militare, ricerca, AI europee non sono allineate e si muovono in ordine sparso. Molto dirà la nostra capacità di ricerca futura, in un mondo che brucia continuamente le tappe. Nell’inaugurazione dell’anno accademico del Politecnico di Milano, Mario Draghi ha osservato che il ranking 2025 delle dieci più avanzate università del mondo in termini di ricerca vede otto cinesi, una europea (il Max Planck Institute), una americana (Harvard). 30 Università americane superano 1 miliardo di investimenti in ricerca all’anno, in Europa poche università raggiungono qualche centinaio di milioni annui.
Nel suo Rapporto sulla competitività europea del 2024, spesso citato quanto ignorato dai politici europei, Draghi aveva mostrato che circa il 70% dei modelli di AI di base è stato sviluppato negli USA e, da soli, 3 fuoriscala statunitensi rappresentano oltre il 65% del mercato cloud globale ed europeo. Il più grande operatore cloud europeo rappresenta solo il 2% del mercato Ue. Il calcolo quantistico è destinato a essere la prossima grande innovazione, ma 5 delle prime 10 aziende tecnologiche a livello mondiale hanno sede negli USA e 4 in Cina (nessuna nell'Ue). La Ue, che ha un approccio giustamente regolamentare alle nuove tecnologie, soffre di un eccesso burocratico e non è adattabile, fissa regole che restano in vigore dieci anni in un ambiente tecnologico che muta ogni sei mesi! quindi ostacola l’innovazione ed evita il rischio, che è invece connaturato all’innovazione. Così facendo, penalizza le nostre piccole e medie imprese tecnologiche rispetto ai colossi americani, e porta molte imprese europee a trasferirsi negli USA. Non a caso Thiel considera l’Europa l’Anticristo, dominato dall’ambientalismo e dalla regolamentazione. Quanto alla difesa europea, occorre che l’Europa acceleri sulle tecnologie dual-use, aumenti le sinergie tra ricerca e innovazione per la difesa e a uso civile (AI, robotica, semiconduttori) in cui gli USA sono invece forti, e condizionano le esportazioni tecnologiche al primato della loro sicurezza nazionale. Estenda il mandato dell’European Innovation Council per finanziare progetti dual-use, e raddoppi i finanziamenti dell’ERC, European Research Council. Crei e rafforzi Hub tecnologici europei in cui ricerca civile e militare collaborino (l’HEDI, Hub for Eu Defence Innovation, è nato solo nel 2022). Sviluppi standard aperti, per evitare la dipendenza da fornitori extra-Ue in settori critici (cloud, 5G) in cui l’Europa è in ritardo.
In altre parole, per difendere i cieli europei si deve allargare l’orizzonte. I sistemi di vigilanza sullo spazio aereo ci vedono arretrare, è il primato di Starlink di Elon Musk. La pace e la guerra sono legate alla capacità tecnologica come non mai, e questa dimensione è quella che conta, assai più dei discorsi sulla leva volontaria o altro. La comparsa di quei droni sui nostri cieli ha messo in luce il grande ritardo, politico e culturale, oltre che militare, dell’Europa. La guerra in Ucraina si avvicina a compiere il quarto anno, senza che l’Europa – assente e divisa – ne abbia tratto le dovute e urgenti conseguenze.
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