L'editoria militante a Barcellona
Gli editori cercano di mobilitarsi e di rispondere o almeno smuovere l’Occidente e il Sud del mondo. Lo slogan del forum dell’editoria Read è di Perry Anderson, storico e sociologo inglese, per lungo tempo direttore della “New Left Review”: «Ideas incapable of shocking the world are incapable of shaking it» (Le idee incapaci di sconvolgere il mondo sono incapaci di scuoterlo).
Sette anni fa, quindi ancora prima del Covid, dell’Ucraina e di Gaza, gli editori di Verso UK, Verso Espana, la cooperativa catalana Radicals Books, la casa editrice francese La Fabrique, la rivista americana “Jakobin”, con la sua omologa tedesca e la rivista sempre tedesca “Brumaire” decidono di autorganizzarsi: “ In un'epoca in cui la globalizzazione neoliberista ha eroso le fondamenta della democrazia liberale e alimentato un internazionalismo reazionario, la nostra convention si propone come spazio di coordinamento strategico e di riflessione collettiva. READ è concepito come un forum per analizzare le disuguaglianze e le narrazioni reazionarie del nostro tempo.”
Simon Vasquez, uno degli organizzatori, denuncia anche una crisi della sinistra radicale “Perry Anderson ha 87 anni, Angela Davis 80, questi grandi intellettuali stanno scomparendo, ci vuole una nuova generazione e non si può stare ad aspettare; bisogna sollecitare, organizzarsi, incontrarsi”. E qui ci si prova con i libri.

Più di 200 editori da 60 paesi hanno risposto alla chiamata. Molti europei naturalmente, molti sudamericani ma anche qualcuno dall’Africa e dall’Asia. L’editore egiziano Mazen Okasha di Red Sea lamenta la presenza di pochi editori del mondo arabo “ce ne sono molti e interessanti”. È la prima edizione e bisogna migliorare. Ci sono case editrici che si occupano in particolare di temi di genere come la canadese Innana Publications, poi c’è la brasiliana Ubu editora che fa libri graficamente bellissimi, la appena nata Wirklichkeit di Berlino che ha pubblicato Enzo Traverso Gaza davanti alla storia e un’altra neonata con due giovani entusiasti editori venticinquenni di Hong Kong, Consteller.
Barcellona è la città, forse l’unica ormai in Europa, dove si può organizzare qualcosa del genere.
La regione autonoma della Catalogna ha sostenuto l’iniziativa e la città di Barcellona ha offerto la sede per la convention, l’ex prigione della Model, con una struttura architettonica panopticon, costruita alla fine dell’800 e chiusa soltanto nel 2013. Nell’ingresso c’è un piccolo altare improvvisato per il giovane anarchico Salvador Puig Antich giustiziato nel 1974. Fu l’ultima esecuzione del franchismo, con il metodo, atroce, del garrote. Anche la fondazione Rosa Luxemburg e altre hanno sostenuto l’iniziativa.
Tutti gli editori ospitati sottolineano l’importanza di una rete alternativa tra editori indipendenti dove possano scambiarsi idee e anche informazioni più pratiche come la distribuzione, grosso problema per tutti, soprattutto per i sudamericani.
Inoltre qui si scoprono piccoli editori di ricerca, di saggistica, come l’argentina la Cebra, che nelle grandi fiere, come quella di Francoforte, diventano quasi invisibili rispetto ai colossi iper commerciali.
Sono venuti però a curiosare anche editori dell’establishment come Gallimard, Suhrkamp e Penguin Random House India.

Nelle tre giornate di lavoro (17-18-19 settembre) dopo gli appuntamenti professionali seguono dibattiti aperti al pubblico, e affollati, sulla guerra, sulle narrazioni reazionarie, sulle lingue minoritarie, problema importante che domina quasi tutte le discussioni. La lingua è questione politica. Nerea Fillat della catalana Katakrak lamenta le vendite che sono sempre meno e il rischio di essere troppo dipendenti dalle sovvenzioni, Alexandre Sanchez della quebecchese Lux ride: “se vinceva il Trump canadese eravamo rovinati!”.
L’incontro “Publishing resistance from the Global South” (Resistenza editoriale dal Sud del mondo) tira un po’ le somme della fiera, tra gli altri c’è Diven Nagpal, editore indiano Seagull Books, che pubblica in inglese ma con sede a Calcutta. Nel suo catalogo, per citare solo gli italiani, Franco Fortini, Giorgio Agamben, Paolo Virno. Poi c’è Ronny Agustinus di Marjin Kiri (“margine sinistro”), una casa editrice indonesiana, fondata nel 2005, che, come spiega, pubblica libri sul pensiero progressista “in un mondo editoriale sempre più commerciale e nel contesto della lunga eredità della dittatura anticomunista”, nel suo catalogo Vandana Shiva e Benedict Anderson oltre a molti altri.
È difficile fare questo tipo di editoria ovunque e forse ancora di più nei paesi che hanno alle spalle dure storie di colonizzazione, con tutte le conseguenze politiche e linguistiche. L’editore senegalese Sulaiman Adebowale della casa editrice Amalion difende le pubblicazioni nelle lingue senegalesi, come il wolof, anche se il mercato si restringe, in fondo dice “gli islandesi che sono pochi pubblicano un sacco di titoli”.

Poi ci sono anche incontri sul “femminismo nell’era del neoliberalismo globale” e “Contro la transmisoginia”.
Ogni editore porta un catalogo di libri, di autori noti o meno noti, idee, progetti, non si capisce bene ancora cosa possa venire fuori dall’incontro di piccole imprese, associazioni, cooperative che hanno molti problemi pratici e che tentano però di diffondere idee “resistenti” soprattutto in questo momento storico.
Nell’assemblea finale tra i vari interventi quello che già sembra un successo è la creazione di un database di un’editoria che considera il suo lavoro come strumento di intervento e trasformazione, pubblicando testi che mettano in discussione lo status quo.
La prossima edizione è sicura, tutti si danno appuntamento per l’anno prossimo sempre a Barcellona.
Fotografie di Ingrid Ferrer Homs.
