Le città spugna di Kongjian Yu
La notizia della recente scomparsa, in Brasile, di Kongjian Yu è stata annunciata sulle prime pagine della stampa internazionale. Si è parlato della morte di una “archistar”, dell’inventore del concetto di “città spugna” (sponge city), con prese di posizione di personalità di primo rilievo come il Presidente Lula. Assimilare l’arte di Kongjian Yu a un concetto univoco appare comunque inesatto e del tutto insufficiente. Kongjian Yu è stato innanzitutto un paesaggista e un promotore della coscienza ecologica su scala globale.
Benché la parola paesaggio abbia invaso tutti gli strati della cultura popolare, il termine “architetto del paesaggio” o “paesaggista” resta tuttora vago e poco diffuso. Certo, l’architettura del paesaggio è una disciplina giovane (svalutata in parte dalle discipline concorrenti di architettura e urbanistica), ciò che spiega il suo scarso riconoscimento. Solo gli specialisti conoscono il nome del primo paesaggista, il britannico Humphry Repton, oppure quelli dei maggiori protagonisti contemporanei del campo quali James Corner, Günter Vogt, Michel Desvigne, Erik Dhont, Bas Smets e, appunto, Kongjian Yu. Il fatto invece che conosciamo, anzi, che ognuno di noi attraversi fisicamente innumerevoli progetti degli autori citati può essere interpretato come un marchio di qualità: mentre gli architetti erigono, volentes nolentes, monumenti volti a celebrare la loro grandezza (infatti, potrebbero tutti indossare la famosa maglietta con la scritta “I am a Monument!”), i loro più modesti ‘cugini’ paesaggisti amano sparire, mettendo in avanti l’opera, e non l’artefice.
Figlio di agricoltori del Sud della Cina, Kongjian Yu ha avuto una carriera stellare, che lo portò, fra l’altro, non soltanto all’Università Forestale di Pechino, alla celebre Graduate School of Design di Harvard e alla creazione di Turenscape, senza dubbio il più grande studio di architettura del paesaggio nel mondo (con più di 600 impiegati), ma anche a un ruolo centrale come consigliere del governo cinese per quanto riguarda un “green turn” messo in atto proprio partendo dai suoi suggerimenti. Tutto ciò, l’incessante attività didattica, la creazione ex novo di una facoltà di architettura del paesaggio, la fondazione di un’accademia del paesaggio, le grandi conferenze e, soprattutto, l’indirizzo e l’identità conferiti all’immenso numero di progetti firmati Turenscape sono ben documentati.
Prima di ricordare due aspetti fondamentali che caratterizzano questo personaggio chiave deceduto proprio mentre lavorava nel suo campo (cioè spostandosi con un piccolo aereo turistico nelle zone più impervie dell’Amazzonia per realizzare un filmato sulla filosofia della sponge city), vanno sottolineate la sua magnifica umanità, la sua generosità, l’acume dei suoi giudizi. Ricordo a questo proposito una conferenza, che abbiamo tenuto insieme a Shanghai di fronte a tremila persone, e la sua disponibilità nel rispondere alle domande per oltre un’ora in seguito a una presentazione già molto lunga.
Dove sta l’originalità e la qualità avanguardistica di Kongjian Yu? Da quando esiste, l’architettura del paesaggio ha sviluppato un catalogo di possibilità molto standardizzato. Alla bellezza pittoresca, che caratterizzava i progetti di Humphry Repton seguì un parziale ritorno a un linguaggio formale (vedi i repertori immaginati da Thouin), l’ossimorica natura selvaggia creata ad arte delle Wild Gardens di William Robinson, lo stile neo-formale di Duchêne, i tentativi modernisti di Guevrekian e dei fratelli Véra, il pittoresco tutto personale di Burle-Marx, il post-moderno del parco della Villette di Tschumi, il minimalismo di Dieter Kienast, fino al “neo-selvaggio” odierno di Gilles Clément. La disciplina (dotata di scarsa auto-riflessività) oscilla quindi sin dai suoi albori tra formale e informale, artificio e (pseudo-)natura. Per l’insieme dei progetti che portano l’etichetta di “architettura del paesaggio” ciò che conta, anche come distinguo da altre discipline, è la qualità estetica (e questo vale anche nei rari casi che prediligono l’aspetto ecologico).
Confrontato all’inquinamento estremo, al degrado e all’abbandono di innumerevoli siti cinesi, il fondatore di Turenscape ha cercato sin dall’inizio la mediazione tra bellezza e funzione ecologica. Il nuovo stile ibrido, che nasce dalla contaminazione di due punti di vista di regola considerati contradditori, ha anticipato in modo programmatico la svolta ecologica contemporanea. Progettando in scala maggiore (Kongjian amava identificare i suoi progetti utilizzando il simbolo del big foot, cioè del piede non più dolorosamente costretto all’interno di una matrice tradizionale, il cosiddetto small foot), il paesaggista cinese sviluppò opere che rappresentano ogni volta soluzioni diverse e innovative per quel che riguarda la sintesi tra coscienza ecologica e coscienza estetica. Ha saputo utilizzare in questo modo le caratteristiche essenziali di un ecologismo concreto, ossia il controllo dell’acqua piovana e dei flussi in generale, la difesa e/o l’ampliamento della biodiversità, il restauro dell’habitat originario, e così via, trasformando queste componenti tecniche in aggregati portatori di una nuova bellezza.
Un esempio parlante (all’interno del gigantesco corpus disponibile) è la realizzazione recente del Benjakitti Forest Park a Bangkok, un’area ex-agricola ed ex-industriale in abbandono, mutata, grazie a Turenscape, nel più importante spazio pubblico della capitale thailandese. Guardando le immagini, si potrebbe dimenticare che ciò che osserviamo è la parte visibile di una formidabile macchina paesaggistica che ha saputo ridare linfa al fiume Chao Phraya, creando zone umide, purificando l’acqua, assicurando il recupero delle acque reflue, anticipando le esondazioni future, il tutto all’insegna del paesaggio-spugna. Fotografato dall’alto, questo progetto sorprende non tanto per la tecnicità degli elementi sapientemente collegati ma grazie alla forma specifica di un insieme, di un ‘nuovo pittoresco tecnologico’. Le stesse qualità si evincono anche dal Fish Tail Park di Nanchang, dove una foresta urbana galleggiante ha preso il posto di una vecchia discarica, il tutto attraversato con delicatezza da una generosa passerella a misura d’uomo. (L’uomo è, del resto, il perno e il punto d’arrivo di tutte le opere di Turenscape, un termine formato dal cinese “turen” e dall’inglese “scape”. “Turen”, composto da “tu”, sporcizia, terra, paese e “ren”, gente, uomo, ha dato “turen”, che può significare sia indigeno, locale che straniero, passante.)
La seconda caratteristica di tante realizzazioni ideate da Kongjian Yu sta nella valorizzazione, o meglio, nella riscoperta di un oggetto apparentemente piccolo e secondario, l’elemento architettonico integrato all’insieme paesaggistico. Si può parlare, in questo contesto, di follies contemporanee, ovvero della rinascita di quanto era già un topos dei giardini paesaggistici del Settecento. In questi ultimi, il repertorio comprendeva lo chalet, la pagoda, il casinò, il ponticello, il tempietto, il mulino, la (finta) rovina, la (finta) montagna, senza dimenticare i belvederi, i teatri di verzura, e altri oggetti decorativi. Nei progetti di Turenscape sono sì presenti delle follies in gran numero e di stile diverso, ma questi supplementi hanno sempre una funzione concreta a servizio dei visitatori. Passerelle, panchine dalla lunghezza esagerata (basti pensare alla ormai celebre panchina continua rossa del Parco del Nastro Rosso di Quinhuangdao), padiglioni, torri, piazzette, e tanti altri arredi umanizzano l’intreccio di composizioni all’insegna dell’esuberanza vegetale e del libero gioco di forme sempre più sorprendenti.
La disciplina tipicamente europea dell’architettura del paesaggio ha tutto da imparare dall’arte magistrale di Kongjian Yu.
Leggi anche:
Michael Jakob | Ma dov’è finito Pingu?
Michael Jakob | Learning from Ravenna
Michael Jakob | Cadere in acqua
Michael Jakob | A.M. Jehle, prigioniera della casa-opera
Michael Jakob | Il quasi niente del Nilo
Michael Jakob | Topolinologia
Michael Jakob | Il cielo di Christoph Klute
Michael Jakob | Il recto e il verso di Jan van Eyck
Michael Jakob | Il giardino elettrico
Michael Jakob | Pino Musi, l'invasione delle piante
Michael Jakob | D come Domodossola: psicogeografie
In copertina fotografie © Turenscape.