Martone: il Macbeth di Verdi

19 Dicembre 2025

Alla prima del Macbeth di Verdi il pubblico del Teatro del Maggio Musicale fiorentino non ha risparmiato fischi. Applausi all’ottima direzione di Alexander Soddy e a tutti i cantanti, ma contestazione alla regia di Mario Martone. Quando poi, in conclusione, sono apparsi sul palcoscenico striscioni pro-Palestina, allora alcuni fischi si sono trasformati in “buuu”. Scandalo dell’attualizzazione? Non proprio, perché l’opera di Verdi appare vicina ai nostri tempi e disponibile a essere attraversata dagli sguardi contemporanei. Le scelte di Martone si adattano naturalmente al testo e alla musica di Verdi, non appaiono forzate. E in effetti le contestazioni si sono fermate lì, alla serata del debutto. Nelle repliche successive gli spettatori hanno accolto con applausi a scena aperta la regia di Martone, che si è dimostrata ricca e austera allo stesso tempo.

Una chiave di lettura della regia arriva subito all’inizio, quando il pubblico è accolto dal sipario dipinto da Mimmo Paladino, tenuto giù per tutto il preludio. C’è tempo per scivolare nella musica di Verdi e di farlo osservando con calma quest’immagine che è iniziale, ma potrebbe essere anche finale: uno scheletro in groppa al cavallo spettrale irrompe tra la folla sgomenta, rimandando direttamente al quattrocentesco Trionfo della morte, mentre il bianco e nero, i volti bidimensionali e le bocche spalancate richiamano la Guernica di Picasso.

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L’immagine scelta come porta di ingresso spinge a guardare non solo al male che cova nella mente di Macbeth e di sua moglie, ma anche alle conseguenze distruttive delle loro azioni. Così l’apice dell’opera arriva col Coro dei profughi scozzesi che, nel quarto Atto, in un momento di tragico sconforto esprimono il loro dolore per la patria caduta in mani scellerate. Brano molto amato ai tempi del Risorgimento, quando l’opera debuttò proprio a Firenze, al Teatro della Pergola (1847), per poi essere arricchita e riallestita a Parigi. Gli abiti sdruciti, i colori spenti, i volti sofferti paiono evocare forse profughi ucraini in fuga dagli attacchi russi. Sullo sfondo invece, come una finestra aperta sul mondo, in perfetta proporzione, l’altra «patria oppressa», mostrata dai video delle macerie di Gaza.

Nel Rinascimento cominciò a diffondersi, soprattutto per raffigurare città ideali, la prospettiva a volo d’uccello. Apparentemente realistica e organica, lo sguardo dall’alto era una totale invenzione della realtà, mancando ancora mezzi volanti. Si diceva che fosse lo sguardo di Dio che dall’alto poteva contemplare la complessità e l’unità del paesaggio, sempre occluso e parziale da un punto di vista umano. La ripresa dall’alto e in movimento sono conquiste novecentesche, ma elicotteri e aerei, per eccesso di altezza o di velocità, hanno offerto prospettive che privilegiano l’impatto piuttosto che il dettaglio. È solo in anni, e guerre, recenti che si è imposto un nuovo sguardo volante: l’occhio del drone che galleggia in cielo a breve distanza da terra, capace di muoversi a destra e a sinistra, di costruire un piano sequenza interminabile. È lontano e vicino, come lo sguardo di una angelo, implacabile come il mirino di una macchina pronta a uccidere. Così sul palcoscenico, proporzionate alle figure umane sulla scena, le immagini del drone lasciano sgomenti per la furia distruttiva scatenatasi contro Gaza e sembra per un attimo di vedere Germania anno zero di Rossellini e immaginarsi il piccolo Edmund volare in cielo sopra le rovine di Berlino. «Riuscire a vedere la sofferenza, non chiudere gli occhi di fronte alle vittime, è un gesto di umanità», dichiara Martone, ed è l’unica luce di speranza nell’umanità a pezzi divorata da un desiderio di potere e potenza irrefrenabili.

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Macbeth indossa la tuta mimetica, come un capo militare, Lady Macbeth invece ha un abito rosso fuoco, aderente, che ricorda tanto Anna Bonaiuto in L’amore molesto film di Martone del 1995, ma potrebbe essere anche una seducente e pericolosa Jessica in Chi ha incastrato Roger Rabbit. Nella prima parte del dramma la scena è oscura e prevalgono i toni più intimi e psicologici. Le streghe, interpretate da tre folti gruppi di donne vestite di nero, potrebbero richiamare più che miti nordici, riti del Sud Italia, con in più un certo gusto affilato, lineare, glaciale tipico dello stile di Raffaella Giordano che cura le coreografie, e che ricorda Capri Revolution, film di Martone del 2018, sulla comune che, nel 1914, si stabilisce a Capri alla ricerca di una primitiva semplicità. Nella scena in penombra a un certo punto, dopo uno scalpitare insistito sul legno del palcoscenico, appare tra le tenebre un cavallo vero, quasi imbizzarrito, domato da una nera figura, un’Amazzone, richiamo diretto al cavallo di Mimmo Paladino. Cosa succede quando le forze del male, cioè dell’ambizione, della sopraffazione, del potere, del successo si insinuano nella mente di Macbeth e della sua perfida moglie? I dubbi, i pentimenti, le paure vengono in definitiva sconfitti da questa violenta anima nera che sembra irrefrenabile e dall’interno mangia i due personaggi che, miracolo di Shakespeare e poi di Verdi, riescono a suscitare perfino pietà. Se in Shakespeare l’indagine sull’individuo è più accentuata e in celebri trasposizioni, come quella di Orson Welles, si assiste alla parabola di un uomo posseduto dal male, in Verdi le psicologie sono più semplificate, ma la regia di Martone insiste sugli aspetti più perturbanti e introspettivi, sulla dimensione del sogno ad esempio, sul fascino, l’attrazione e il tormento di Lady Macbeth, che spesso è sola in scena. La prolungata oscurità cancella i confini realistici dell’ambientazione, e così la stanza della reggia si trasfonde nell’interiorità dei personaggi, comandati e irrisi da queste streghe che sembrano burattinaie diaboliche affamate di distruzione.

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Nel 1958 il Macbeth di Verdi inaugurò il Festival dei Due Mondi di Spoleto con la regia di Luchino Visconti e fu una delle prime volte in cui si sperimentarono i velatini, leggeri sipari trasparenti capaci, con un gioco di luce, di far apparire e sparire figure, perfetti perciò per le streghe o i fantasmi degli assassinati. La scena di Martone invece è per lo più vuota, ma agli elementi del fantastico si fa fronte con un suggestivo schermo verticale, che ricorda certe installazioni di Bill Viola e che funziona da specchio o da evocatore di fantasmi.

Tra tutti i riferimenti possibili naturalmente il parallelismo più evidente è a uno dei film più belli e innovativi di Martone, quel Teatro di guerra (1998) che è stata una sorta di iniziazione per un’intera generazione di teatranti. Allora le prove per realizzare I sette a Tebe di Eschilo, la tragedia per eccellenza sulla lotta fratricida, diventavano la chiave per raccontare le tensioni e le angosce che si respiravano ai tempi dell’assedio di Sarajevo. Il film nasceva dal senso di vicinanza per la Jugoslavia e allo stesso tempo dal senso di difficoltà di comprensione e conoscenza. Quasi trent’anni dopo Martone tiene ancora una porta aperta sulla realtà, che lascia sgomenti e ci interroga, in modo complesso, sulla natura umana, suscitando emozioni poetiche e domande radicali sulla natura umana.

Maestro concertatore e direttore Alexander Soddy, Maestro del Coro Lorenzo Fratini, Spazio e regia Mario Martone Scene Mimmo Paladino, Scenografo realizzatore Barbara Bessi, Costumi Ursula Patzak, Luci e video Pasquale Mari, Video designer Alessandro Papa, Coreografia Raffaella Giordano Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino.

Macbeth Luca Salsi, Banco Antonio Di Matteo, Lady Macbeth Vanessa Goikoetxea , Dama di Lady Macbeth Elizaveta Shuvalova, Macduff Antonio Poli, Malcolm Lorenzo Martelli, Un medico Huigang Liu, Un domestico Egidio Massimo Naccarato, Un sicario Lisandro Guinis, Un araldo Dielli Hoxha Prima apparizione Nicolò Ayroldi, Seconda apparizione Aurora Spinelli, Terza apparizione Caterina Pacchi.

Figuranti speciali Rosario Campisi, Chiara Casiraghi, Alice Consigli, Matilde Cortivo, Edoardo Groppler, Enrico L’Abbate, Sandro Mabellini, Mariangela Massarelli, Mauro Milone, Domenico Nuovo, Francesco Pacelli, Federico Raffaelli, Sara Silli, Cinzia Sità, Dario Tamiazzo, Simone Ticci

Bambini Gherardo Attori, Kai Mc Millan.

Amazzone a cavallo Michaela Ricci (Equus Primus Selleria SRL).Fotografie di Michele Monasta.

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