Dai Radio Times agli Audio Times

2 Aprile 2023

Quante persone in Italia ascoltano regolarmente podcast? La radio è un medium obsoleto o resiste alle innovazioni digitali? Qual è il volume di affari dei servizi musicali in streaming? Quanti sono gli abbonati paganti a Spotify? Quanti podcast in lingua italiana sono stati pubblicati nell’ultimo anno? Per la prima volta in modo sistematico e scientifico è possibile trovare risposte a queste e a tante altre domande senza bisogno di interrogare Alexa, Siri o qualche altro assistente vocale, anche se gli smart speaker, cioè quei dispositivi audio connessi a Internet che rispondono a un comando vocale, sono in rapida crescita, 130 milioni nel 2020, previsti 640 milioni nel 2024. Basta leggere Ecosistema audio suono (Rai Libri 2022), l’ampio volume, oltre cinquecento pagine, curato da Paolo Morawski e Alessandra Zupi, che riprende i principali risultati di un lungo lavoro coordinato da Rai Ufficio Studi, sotto la direzione di Claudia Mazzoli con la collaborazione di un tavolo tecnico formato tra gli altri da Claudio Astorri, Andrea Veronese, David Fernandez Quijada, Sylvain Lafrance e Tiziano Bonini, Marta Perrotta, Albino Pedroia, questi ultimi tre anche autori di un utilissimo testo Principali evidenze che elenca per punti le questioni principali degli ultimi anni, permettendo di identificare alcune tendenze dominanti.

La prima novità del volume riguarda il titolo, perché lo studio privilegia il punto di vista della radiofonia, ma questo è inserito in un vero e proprio ecosistema che comprende l’intero ambiente audio-sonoro, dai materiali analogici (vinili e audiocassette ancora riempiono molte abitazioni) alle innovazioni tecnologiche, a partire dallo smartphone, dai social media, dalle app, dalle web radio, dai podcast, dai vocal assistant, dalla musica in streaming. La radio è assediata dal mondo del digital audio, ma è anche essa stessa in grande trasformazione e certo ormai non più restringibile al flusso trasmesso in FM. Il mercato se ne è accorto da qualche anno e dopo la visual attention economy, cioè l’assalto delle grandi compagnie a contendersi l’attenzione visiva delle persone, adesso è il momento dell’aural attention economy. D’altronde pare che l’italiano medio passi più ore davanti a uno schermo (computer, cellulare, televisione…) che non a letto a dormire. L’audio ha però degli indiscutibili vantaggi, se non altro perché non implica l’interruzione delle azioni che vengono svolte. Il mondo dell’automobile è in questo senso un termometro esemplare. Durante la pandemia il sistema dell’audio ha avuto una crescita esplosiva, la produzione è aumentata, così come il pubblico, anche se solo in termini assoluti, perché gli ascoltatori radiofonici in realtà sono drasticamente diminuiti, soprattutto quelli delle radio di flusso, perché il divieto di mobilità ha fatto crollare la fruizione in auto che continua a rappresentare una fetta consistente. Accanto a questi rilievi di carattere statistico vale la pena ricordare che è ormai accertato come la causa maggiore di incidenti automobilistici non sia l’eccesso di velocità o il non rispetto delle precedenze o l’abuso di alcool, come risultava una decina di anni fa, bensì la distrazione dovuta all’utilizzo visivo dello smartphone. In macchina ascoltare la radio può dunque salvare la vita.

Le ricorrenze storiche a volte producono strane coincidenze, perciò leggere Ecosistema audio suono consolida l’idea che a un secolo di distanza dall’invenzione della radio il mondo dell’audio stia vivendo di nuovo una rivoluzione o una inattesa primavera. Il campo semantico utilizzato nel volume, a ragione, non lesina superlativi e non risparmia una certa enfasi, del tutto giustificata non solo dai dati quantitativi, ma anche dallo sviluppo delle tecnologie: riscoperta, boom, esplosione… 

È vero che cento anni fa la vita quotidiana era certamente più silenziosa, ma proprio negli anni Venti – i Radio Times, come suonava il titolo del bollettino dei programmi della BBC – un signore inglese poteva rimanere stupito e perplesso a sentire per la prima volta una voce gracchiante che, uscendo da una scatoletta magica, pronunciava, per fortuna per due volte a scanso di equivoci, la fatidica frase: «This is 2LO, Marconi House, London calling», dando inizio alle trasmissioni della più antica radio del mondo. Pochi anni prima un musicologo boliviano, che si era comprato negli Stati Uniti il grammofono, si accorgeva che quando faceva girare i dischi di musica classica, una piccola folla si riuniva in religioso silenzio sotto la finestra del suo salotto a La Paz. Decise perciò di aprire le porte di casa dando così avvio alle Las Flaviadas, un vero e proprio appuntamento domestico di ascolto condiviso di musica riprodotta, andato avanti per decenni. Un romano negli stessi anni recandosi al cinema avrebbe cominciato a tenere le orecchie ben aperte, dal momento che con La canzone dell’amore di Gennaro Righelli il film diventava per la prima volta sonoro, con una storia ispirata a una novella di Luigi Pirandello intitolata, ironia della sorte, In silenzio. E non sarebbe passato molto tempo prima di vedere protagonista nel grande schermo lo strumento più desiderato per comunicazioni sentimentali, il telefono bianco, vero e proprio status symbol distinto da quello nero in bachelite più popolare. 

I nostri anni Venti sono ormai un ecosistema audio-suono complesso dove le persone in Italia che ascoltano podcast sono 14 milioni e i fruitori settimanali delle radio FM calano, ma rimangono sopra i 40 milioni. Nel solo 2020, anno pandemico, sono stati prodotti circa 11.000 podcast cioè il 42% del totale dei podcast realizzati in assoluto (l’inizio più sensibile è riconducibile più o meno al 2009). Il mercato dei servizi musicali digitali è in forte crescita, soprattutto nella sottoscrizione degli abbonamenti i cui ricavi in Italia hanno superato i 100 milioni di euro (dal 2019 al 2020 un incremento del 30%). Nel mondo gli abbonati premium di Spotify hanno raggiunto i 155 milioni, un quarto dei quali ha meno di venticinque anni. Insomma dai Radio Times degli anni Venti del Novecento agli Audio Times degli anni Venti del Duemila i confini hanno ripreso ad allargarsi e a espandersi con soluzioni tecnologiche sempre più penetranti nella vita quotidiana. Ci si innamorava di una voce radiofonica sognando il volto misterioso che si nascondeva dietro un suono soave o profondo, adesso non è peregrino immaginarsi, come nel film Lei di Spike Jonze (2013), di innamorarsi di una voce sintetica, pur sapendo bene che dietro di essa non si nasconde nulla, se non l’evoluzione dell’intelligenza artificiale.

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO