Vagabondi eccezionali - 2 / Efa, la donna della montagna

18 Febbraio 2022

Al confine tra la Slovenia e l’Italia c’è un monte, è il terzo più alto della provincia di Trieste, gli italiani lo chiamano monte Lanaro, gli sloveni Volnik. La sua è una flora tipicamente adriatica: roveri, cerri, pini neri e boschi carsici, e poi doline profonde. Chi lo frequenta sa che quei boschi custodiscono una storia preziosa. 

 

Efa, al secolo Albina Muženič, nasce a Maresago, Capodistria, il 13 luglio 1904, da Giovanni e Orsola Bonin. Maresago è un piccolo paese che gode di una splendida posizione, da una parte si affaccia sul mare, dall’altra sulla valle del Dragogna. L’infanzia di Albina è l’infanzia tipica di una bambina di umili origini di quegli anni, le corse con gli amici tra i vigneti e gli alberi da frutto, i giochi nei campi coltivati, le stalle con i maiali, le capre al pascolo. E poi, certo, il lavoro. Sin da piccola Albina raccoglie la frutta, la avvolge in uno straccio che porta in equilibrio sulla testa e a piedi raggiunge il mercato di Capodistria e le case sul litorale. Un’infanzia senza spensieratezza, dove la storia si apprende la sera, nelle cantine, dai racconti degli anziani, mentre seduti in cerchio si sgrana il mais e si beve vino vicino al camino.

 

Albina impara a leggere, scrivere e contare, ama la lettura, diventa anche la maestra di un gruppetto di bambini del paese, un’insegnante severa e autoritaria, ostinata a fare entrare nella testa di quei piccoli monelli qualche nozione. In quegli anni conosce Agostino Bembo, alto, muscoloso, gli occhi chiari e un largo sorriso rassicurante, ha un caratteraccio proverbiale, ma Albina ne è subito stregata e i due si sposano il 14 dicembre 1929. Lasceranno dopo pochi mesi Maresago, andranno a Trieste e prenderanno servizio presso una sontuosa villa a via Padovan, ma le cose iniziano a non andare per il verso giusto ben presto, Agostino beve, beve sempre più, quasi tutte le sere la moglie lo deve cercare tra le osterie e le liti si fanno sempre più frequenti fin quando un giorno, il 9 ottobre 1934 i gendarmi bussano alla porta di Albina. Agostino è stato investito mentre tornava a casa in bicicletta, all’imbocco di una galleria. Ed è morto sul colpo.

 

Finisce così la storia di Albina e Agostino. Albina è ancora giovane, ha trenta anni e davanti a lei tutta una vita da ricostruire. Continua a coltivare il suo pezzettino di terra e compra alcune capre. Quando ha tempo sale sull’altipiano per raccogliere funghi, asparagi, erbe aromatiche e poi vende tutto al mercato della città. Ma Trieste le piace sempre meno, troppe persone, troppa confusione. Non riesce a stringere amicizia con nessuno, soffre il rumore, il chiasso, la perenne competizione tra venderigole, le donne che vendono i prodotti al mercato. Del resto, anche loro, le venderigole, non la sopportano molto, Albina dice quello che pensa e fa quello che vuole, libera, selvatica. Frequenta poche persone ma simpatizza con i partigiani, e questo sin dalla sua prima infanzia a Marasego. Conosce un gruppo di attivisti e quando può dà loro una mano. Vive a Gretta, a metà strada tra Trieste e l’altipiano, a metà tra la città e la pace dei boschi, perché ancora non le è chiaro qual è la sua strada.

 

Nei difficili anni della guerra Albina inizia la ricerca di una nuova casa, vuole trasferirsi ancora più lontano dalla città e trova una sistemazione a Rupinpiccolo, un paesotto di una manciata di case, immerso nel verde del Carso. La donna raccoglie le sue poche cose, le due capre e le galline e si trasferisce. Sta bene quando vaga per i boschi con le sue capre e i suoi cani, è a disagio quando ha a che fare con le persone, il commercio, gli scambi, cura sé stessa, la sua igiene personale, cura gli animali, ma non si occupa della casa, che nel giro di pochi mesi si trasforma in una stalla, solo un angolo dell’abitazione non è raggiunto dagli animali, qui conserva libri, giornali e un paio di vestiti. Nel 1944, durante i primi giorni di dicembre, Albina viene arrestata e portata in prigione al Coroneo, il carcere di Trieste. Non si sa molto su quello che è accaduto, ma è prassi in quegli anni finire in cella per un semplice sospetto di collaborazionismo con i partigiani. Un Natale difficile, passato a guardare il cielo a scacchi da una cella da cui non si sa se e quando si potrà uscire. Ma la salvezza arriva attraverso una nuova tragedia, Albina si ammala di paratifo: febbre altissima, vomito, diarrea, incoscienza. La donna è portata via di corsa dai tedeschi alla Maddalena, l’ospedale per infettivi. Il 15 febbraio 1945 è di nuovo a casa. Di nuovo lei, sola, con i suoi animali.

 

La guerra è finita e le persone tornano lentamente alla normalità. Ma quale normalità? Sicuramente una normalità che non appartiene ad Albina. Nelle stagioni successive il richiamo del bosco è sempre più forte, ormai è impossibile non ascoltarlo. Durante la bella stagione non rientra più a casa, dorme tra gli alberi insieme alle capre, il territorio ormai è la sua casa, conosce benissimo ogni frutto e ogni erba del monte Lanaro. Non le serve quasi più andare in città, vive con poco e quello che avanza lo vende nei paesi dell’altipiano. Nel bosco, tra pini neri, roverelle e cerri, può allungare lo sguardo fino al mare, senza essere vista da quella umanità che l’aveva sempre delusa.

 

 

Nel corso di quelle trasferte nei boschi a poco a poco Albina porta le sue cose, le accatasta sotto a dei teloni spessi che i soldati che abitano il fortino del monte le hanno regalato. In un giorno di primavera decide che quei teloni, arrangiati con alcuni tronchi, costituiranno la sua nuova dimora, sua e dei suoi animali. Adesso la sua casa è molto più grande: è il Lanaro intero.

 

Quando arriva l’inverno e la temperatura scende sotto zero, Albina scava una buca e la riempie di foglie secche, ci infila dentro stracci e coperte e la copre con il telone militare: nelle notti fredde diventa la sua tana, vi si infila dentro e aspetta il sorgere del sole. Quando gli abitanti dei paesi vicini al monte scoprono la nuova sistemazione iniziano a farle visita, alcuni per curiosità, altri per acquistare uova, latte o qualche capretto. Albina a volte li riceve, a volte si nasconde mimetizzandosi nel bosco o arrampicandosi sugli alberi. Nel tempo gli animali che le fanno compagnia sono sempre più numerosi, cani, gatti, pecore, capre, galline che arrivano lì da soli o portati dai paesani e dai doganieri di Prosecco. Nonostante la sua tendenza all’eremitaggio, alcune persone le si affezionano e decidono di costruirle una baracca con legna e materiali di fortuna, è rudimentale ma è più confortevole della buca per l’inverno. Passano le stagioni e Albina, ormai nota a tutti come Efa, la signora del Lanaro, inizia ad organizzarsi sempre meglio. Definisce il suo territorio e vi raccoglie tutto quello che trova e che pensa possa esserle utile, lampade, elmi, teloni, corde appartenute ai soldati che vivevano e combattevano sul Carso. Efa raccoglie, conserva, riadatta, recupera vecchi armadi, porte e sedie dismesse in paese e costruisce ricoveri per i suoi animali. Per l’acqua, localizza alcune pozze naturali dove abbeverarsi, i vestiti li lava alla pioggia, li appende agli alberi e li fa asciugare al vento. 

 

Siamo alla fine degli anni ’60. Un piccolo circolo di persone affezionate alla signora del Lanaro decide di costruirle una vera e propria casetta, a sostituzione della sua ormai malconcia baracca. Raccolgono tronchi, portano alcune tavole dalla città, costruiscono un letto di fieno e foglie. Efa ha finalmente una casa, con tanto di porta, mentre le capre e le pecore si trasferiscono nella vecchia baracca. Tra gli amici che mettono su la nuova dimora di Efa, c’è una giovane coppia, Giuliana e Piero, nell’ottobre del 1970 inviteranno Efa al loro matrimonio, uno scatto in bianco e nero è la testimonianza di quella giornata felice, lei indossa una camicia a fiori e un talleur scuro, glieli ha prestati Annamaria, la farmacista di Bristje, uno dei paesi dell’altipiano.  Negli anni ’70 la casetta costruita grazie all’aiuto di Giuliana, Piero e altri amici è sostituita da un’abitazione ancora più solida realizzata dalla forestale, ormai Efa, Albina, ha settanta anni suonati, ha bisogno di una cucina a legna per scaldarsi e mangiare piatti caldi. I pompieri le portano l’acqua periodicamente, così mangiare e fare il bucato diventa più semplice. Ha una radio, che ascolta per molte ore al giorno, è la sua finestra sull’esterno, su quel mondo in cui ha deciso di non vivere ma che vuole continuare a capire, studiare, conoscere. 

 

 Nel 1991, in una tarda mattinata piovosa di gennaio, Albina decide di scendere in paese per comprare le batterie della radio e gli stoppini della lampada a olio. È mezzogiorno quando si incammina munita di giaccone e ombrello, arriva a Raven nel primo pomeriggio, si ferma a casa di un conoscente, beve un caffè, il tempo di asciugare giacca e scarpe. Verso le quattro si rincammina verso casa, è quasi buio e c’è molta nebbia. Sul ciglio della strada, mentre la pioggia continua a venire giù, un ragazzo su un pick-up le propone un passaggio, ma la vecchia signora rifiuta. Quando arriva al punto giusto, lascia la strada per incamminarsi nel bosco, il terreno è fangoso, le foglie scivolose e Efa inciampa su una radice sporgente. Cade a terra, frastornata dal dolore. Sente il suo cane che abbaia in lontananza, il belato delle pecore, la stanchezza la sovrasta e si addormenta per sempre con il volto affondato nella terra del suo Lanaro. È l’8 gennaio 1991. Albina Muženič sarà sepolta nel cimitero di Sgonico, i suoi animali saranno divisi tra gli allevatori, ma alcune capre preferiranno vivere in libertà sul monte.

 

Questo articolo è una riduzione del testo radiofonico della seconda puntata di “Vagabondi eccezionali”, un ciclo di quattro trasmissioni prodotte e trasmesse da Rai Radio3. Tra loro, oltre a Efa, c’è Moondog, virtuoso contrappuntista cieco vissuto sempre in strada; Tommaso Lipari, detto l’omu cani, vissuto a Mazara del Vallo e che qualcuno ha pensato essere Ettore Majorana sotto mentite spoglie; Monsieur Chouchani, straordinario maestro di Talmud che conosceva decine di lingue perfettamente e girava il mondo con una valigia vuota. Per riascoltare le puntate, qui.

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