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La celeberrima Passeggiata Tappeiner

20 Luglio 2025

C'è un luogo a Merano dove il cane gode di una certa libertà dal guinzaglio, allungabile o meno. È la celeberrima Passeggiata Tappeiner, che si snoda per circa quattro chilometri sul colle che sovrasta la città, chiamato Monte Benedetto o San Benedetto (i meranesi sono lievemente megalomani, si sa).

La Passeggiata è celeberrima, ma il nome lo è meno. La pronuncia corretta è Tappàiner, ma al camminante indigeno capita di incontrare certi turisti italofoni che chiedono con una certa insistenza di questa mitica Passeggiata Tappìner o anche Tapirer e ultimamente Tàpper. Ellitticamente: dov'è 'sta Tàpper?

Ometto di esplicitare cosa possano diventare i Giardini Trautmannsdorf sulle bocche di altri turisti, non pratici di idiomi altrui; alcuni si limitano a domandare genericamente dell'orto botanico, senza specificarne il nome.

Le domande dei turisti sono comunque sempre spiazzanti. A volte chiedono se il Castel Tirolo ha le mura perimetrali; altre volte se il Castel Fontana ha davvero la fontana, oppure: ma com'è che si chiama Castel Torre se non ha la torre?

Al turista che insiste per l'indicazione di "un posto a Merano dove si possa mangiare bene spendendo poco", si può rispondere tranquillamente che sta chiedendo l'impossibile; è molto più facile mangiare male o malissimo spendendo molto, a Merano. Il camminante indigeno non gode di molta popolarità presso i turisti – e nemmeno presso gli altri indigeni.

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Comunque la Passeggiata Tappeiner dovrebbe essere il regno dei camminanti, ed è invece il regno dei cani, che vi scorrazzano liberamente, saltando, piroettando, balzando improvvisi ad ogni svolta della Passeggiata suddetta, abbaiando e ululando. I padroni cercano di dar loro l'illusione della libertà – ed è solo l'ora d'aria del carcerato. Naturalmente ci sono cartelli di varie dimensioni che in più punti della Passaggiata Tappeiner intimano di tenere i cani al guinzaglio e lo intimano in più lingue. Questi cartelli vengono considerati dai padroni di cani più o meno come quadri. Quadri della pop art. Come i famosi cartelli di Mario Schifano o cose analoghe di Wahrol, Lichtenstein, Rauschenberg o Mimmo Rotella. Decorazioni. Pittura. Niente da considerare sul piano pragmatico, della realtà. A tal punto è giunta l'estetizzazione del mondo? Evidentemente sì.

I cani, lasciati liberi dai loro padroni, che guardano i cartelli di divieto ridacchiando o con espressione da intenditori, esaminando la grafica delle scritte in rosso CANI AL GUINZAGLIO!, facendo rilievi su come la sagoma del cane del cartello sia forse troppo stilizzata o vagamente orientaleggiante, i cani, si diceva, inseguono podisti, lambiscono insidiosissime vecchine caracollanti, si fiondano tra le gambe di chi corre, è naturale, sono cani, e quei cani dei loro padroni che fanno? Niente, non fanno niente. Lasciano fare. Lasciano fare alla bestia quello che vuole. Tanto sono gambe altrui quelle messe a repentaglio, tibie, peroni e ginocchia d'altri, di camminanti, podisti, corridori, il "popolo sudato della Tappeiner", che rischia l'osso del collo, mica loro.

In passato su dieci padroni di cani erano almeno otto a non rispettare le regole. Oggi sono dodici su dieci. Se qualche camminante esasperato osa richiamarsi ai cartelli di divieto innesca due reazioni standard nel padrone di cani.

Reazione a): il padrone abbaia, abbaia lui, non il cane ed è molto peggio del cane, perché il cane abbaia come un cane, ma il padrone abbaia come un cane rabbioso, idrofobo proprio e livido, con le vene del collo gonfie, e gli occhi iniettati di sangue (sangue canino).

Reazione b): il padrone dice: MA IL MIO CANE NON FA NIENTE. Che equivale a: IL MIO CANE FA QUELLO CHE GLI PARE.

Frasi analoghe in Italia sono: il mio bambino fa quello che gli pare; la mia macchina la parcheggio dove voglio e così via, così via. Ecco perché l'Italia è un paese di m..., ma non si può nemmeno più dire di che sostanza sia fatta l'Italia, perché se lo si dice si può anche venir multati, secondo una recente sentenza della Corte di Cassazione!

Al camminante meranese, dopo aver evitato per un pelo (è davvero il caso di dirlo) l'ennesimo cane allo stato brado sulla Tappeiner, viene in mente che, in Italia, si potrebbe fondare un partito, il centoquindicesimo, credo, Partito Italiano, il P.P.C. Il Partito delle Piccole Cose. Un partito che si proponesse come programma fondamentale quello di insegnare agli italiani, per esempio, a passare con il verde e a fermarsi con il rosso; a non buttare le cartacce per terra; a non considerare le strisce pedonali e altra segnaletica come esperimenti di land art o decorazioni similari, piccole cose, par l'appunto. Solo in un secondo o terzo momento si potrebbe passare ad insegnamenti più impegnativi come non evadere il fisco, non truffare, non corrompere, non farsi corrompere eccetera.

Va da sé che un punto qualificante del P.P.C. dovrebbe riguardare l'uso tassativo di guinzagli e museruole, ove previsto. Nell'attesa di fondare il partito al camminante meranese non resta che fornire qualche sconfortante referto sugli incontri che si possono fare sulla Tappeiner, incontri di cani e relativi padroni, in ordine di apparizione, perché prima c'è sempre lui, l'animale a quattro zampe, e poi, a debita distanza, l'altro, il bipede.

Sono personaggi fissi: a Merano anche portare a spasso il cane diventa un'ossessione. Ce n'è uno dalla testa a forma di provola, solitamente tutto intento a urlare nel telefonino, in modo che lo si può sentire a chilometri di distanza. Costui è accompagnato da un corteo di jack russel; un tempo era solo uno, ora sono tre, l'avanguardia del padrone, anche se non ce ne sarebbe bisogno; basterebbero (e avanzerebbero) le urla telefoniche a preannunciarne la presenza. Le bestiuole non sarebbero nemmeno di aspetto malvagio, solo che sono arroganti come il padrone e occupano in linea orizzontale tutta l'estensione sabbiosa della Tappeiner; naturalmente sono senza guinzaglio, tanto non fanno niente, salvo qualche ringhio isterico, se qualcuno osa intralciargli il passo, come si permette!

Ce n'è un altro, un gobbo, calvo, grasso dalla faccia da bulldog, ma il suo cane, libero come l'aria, non è un bulldog, bensì un rottweiler, nero e sinistro, che ha l'irresistibile tendenza a ficcare il naso tra le gambe inermi dei passanti. È un rottweiler annusa-patte, come il detective di Vasquez Montalbàn. Il gobbo, grasso, calvo, importuno assiste compiaciuto, da lontano, alla simpatica attività del suo innocuo cagnetto.

Su un terzo figuro, uno psicopatico conclamato, si può sorvolare: basti dire che una volta, con gli occhi stralunati e una gesticolazione da forsennato, si mise a inseguire un povero camminante ignaro, accusandolo di aver pestato la coda al suo cane, un volpino di nome ma non di fatto.  Ma come si può anche solo pensare che uno vada sulle Tappeiner a pestare la coda di un cane, un volpino mentalmente ritardato per di più!

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A scrivere certe cose sui cani oggi si rischia. Oggi se uno dice: ho ammazzato senza motivo quindici persone, oppure se uno dice: ho stuprato mia sorella, seviziandola anche, per dodici anni di fila e la tenevo segregata in cantina; oppure se dichiara: sono entrato in un ricovero con il mitra e ho fatto una strage; ecco, se uno oggi dice così, gli viene risposto: va bene, fratello, hai sbagliato, certo, ma chi di noi non pecca? E poi, non ti crucciare, ti puoi sempre redimere. Ti puoi riscattare. La situazione è seria, sicuro, ma non irreparabile.

Ma se invece uno oggi dice: non mi piacciono i cani; o anche: i cani mi fanno letteralmente schifo, allora è finita, guai a lui! Contro l'infame che osa criticare le adorabili creature, amiche dell'uomo, si scatena un coro d'insulti, di minacce. Viene additato come nemico pubblico numero uno, come pericolo pubblico, pubblica calamità ambulante. Si scatena contro questo reprobo, è il caso di dirlo, un'autentica canea. Ormai il politicamente corretto è superato. Ormai siamo arrivati al Politicamente Cinofilo.

Non si potrà più titolare di "cane" un attore incapace; la famosa frase di Ferrucci contro Maramaldo "cane, tu uccidi un uomo morto!" sarà censurata o modificata ("uomo, tu uccidi un uomo morto!"); nessuno si permetterà più di usare "canaglia" come insulto, si ricorrerà al più neutro "canederlo!", ma solo se la categoria dei cuochi trentini darà preventivamente il suo assenso.

Già il politicamente corretto com'è rappresenta il trionfo dell'ipocrisia, con i suoi ridicoli eufemismi: che c'è di male a definire "basso" uno che è "basso"? Che senso ha chiamarlo "diversamente alto"?

Ma tant'è, contro le derive del linguaggio non c'è molto da fare. Usare la razionalità non serve: altrimenti "male incurabile" sarebbe opportunamente adoperato per il raffreddore, che è davvero così, incurabile, e non per il cancro che è invece curabile, almeno in alcuni casi. E l’“occhio del ciclone”, che è notoriamente un'oasi di pace estrema nonché calma piatta, non designerebbe a sproposito chi si trova coinvolto in circostanze tempestose. Magari a lungo andare però ci sarà una rivolta contro i fanatici animalisti. Gli animali stessi protesteranno. Sfileranno per le vie inalberando enormi cartelli contro gli animalisti: BASTA, NON CI RAPPRESENTATE PIÙ.

In effetti gli animalisti non sembrano tanto amare gli animali, quanto odiare gli altri uomini. Per salvare una balenottera in difficoltà, farebbero naufragare un transatlantico, con tutto il suo carico di inutili umani. Quando un feroce molosso sbrana un bambino (capita spesso), piangono, ma per il povero cagnuzzo, che bisogna abbattere, l'innocente animaletto!

Si commuovono, gli animalisti, davanti agli avvisi sui CANI SCOMPARSI – mentre il camminante immagina lo svanire, lo smaterializzarsi improvviso di queste bestie: il cane è là, e poi di colpo sparisce. Si interrogano angosciati, gli animalisti, davanti alle foto di CANI SMARRITI, di CANI PERSI. Tra sé invocano l'intervento di unità speciali, task force, paracadutisti, per recuperare i perduti, coadiuvati da esperti psicologi canini, gli animali potrebbero trovarsi in stato di shock...

Qualcuno, leggendo queste pagine, potrebbe pensare che il camminante meranese ce l'abbia con i cani. Potrebbe pensare a uno di quegli innumerevoli tentativi di dividere l'umanità in due: stanziali contro nomadi; stitici contro regolari; monogami contro poligami; pro-Dostoevskij contro pro-Tolstoj; ungarettiani contro montaliani; divisioni che sono tutte solo il pallido riflesso di quella originaria e fondante tra vivi e morti; meditando su tali procedure dualistiche individuerebbe facilmente, quel qualcuno, la dicotomia in cui piazzare il camminante meranese: gattofili contro cinofili. E chiederebbe a bruciapelo: ma allora ti piacciono i gatti? Certo, risponderebbe il camminante: amo la loro signorile indipendenza; amo il loro incedere flessuoso, il loro silenzio, la loro imprevedibilità, i loro balzi repentini.

Hai un gatto, dunque?

No.

Perché?

Sono allergico al pelo.

Ma se uno ama i gatti, non è poi detto che necessariamente odi i cani.

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