Scuola a Santacristina. Un diario / Ronconi e il tempo vissuto

1 Ottobre 2021

Tutte le estati giovani artisti di teatro e riconosciuti maestri si ritrovano tra le colline umbre per interrogarsi sul loro lavoro nel nome di Luca Ronconi. Avviene presso il Centro teatrale Santacristina, fondato da Ronconi e da Roberta Carlotto. Il lavoro di questa estate lo racconta Fabio Condemi, regista classe 1988, diplomatosi all’Accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico nel 2015, per alcuni anni assistente di Giorgio Barberio Corsetti, autore di spettacoli su testi di Pasolini e su adattamenti da Jacob von Gunten di Robert Walser e da Filosofia del boudoir del marchese de Sade; ha inoltre partecipato al progetto Oceano Indiano del Teatro di Roma. A metà tra diario personale e approfondimento critico, il testo restituisce l’esperienza di studio della scuola e offre una prospettiva sull’orizzonte di pensiero di un giovane regista.

 

Non ho conosciuto personalmente Luca Ronconi, ma ho letto che tra i libri che consigliava, le rare volte in cui cercava di offrire agganci o riferimenti teorici sul suo lavoro, figurava (accanto al Corso di linguistica generale di de Saussure e alle Memorie del presidente Schreber) un saggio sul tempo, sulla percezione che abbiamo di esso e sul suo profondo mistero. Il libro è Il tempo vissuto di Eugene Minkowski (Einaudi). Ho trascorso tre settimane al centro teatrale Santacristina quest’anno e, sentendo il bisogno di ripercorrere e raccontare quel periodo, ho ripensato al libro di Minkowski. Questo perché a Santacristina ho percepito l’importanza della riflessione sul tempo attuata da Ronconi nel suo lavoro teatrale e pedagogico. Tutta la sua opera può essere letta come una sorprendente, disperata, avventurosa indagine sul tempo (in un rapporto costante con lo spazio e la parola) e a Santacristina si ha la netta sensazione di entrare nel vivo di questa indagine anche ora che Ronconi non c’è più.

 

Minkowski, all’inizio del suo saggio, cita il caso di un uomo “affetto da schizofrenia”, che sparava revolverate al suo orologio per ammazzare, almeno simbolicamente, il suo peggior nemico, il tempo. Il tempo può essere un grande nemico, specialmente se si ha a che fare con i tempi produttivi del teatro e con la loro necessità di confezionare costantemente prodotti di intrattenimento. Quando i tempi ‘corretti’ non vengono rispettati, quando l’artista sottrae la sua opera all’idea dominante e preconfezionata di tempo giusto (sia in termini produttivi che di durata di un’opera), proviamo un senso di spaesamento ma anche di profonda commozione. Penso ai film di Bela Tarr o di Roy Andersson e al teatro di Ronconi che ha pazientemente e meticolosamente scardinato la forma-spettacolo.

 

Ph Fabio Condemi.


Il Centro Teatrale Santacristina, situato nella campagna tra Gubbio e Perugia, nasce proprio da questa volontà di sottrarsi alle regole produttive dei teatri per cercare, come scrive Roberta Carlotto (che vent’anni fa ha fondato il centro assieme a Ronconi e ora lo dirige): “Uno spazio di libertà: un luogo dove progettare, studiare e anche produrre, dove è possibile lavorare con modalità e tempi che altrove sarebbe impossibile mettere in pratica’’.

A Santacristina ho tenuto un diario. Dall’estate 2015 il Centro prosegue le attività per non disperdere l’eredità artistica di Ronconi, così quest’anno sono stato chiamato a far parte di un gruppo di lavoro che sotto la guida di tre maestri avrebbe studiato e soggiornato lì dal 28 luglio al 13 agosto. La mattina del 28 luglio salgo su un treno che da Roma Termini mi porterà a Perugia Ponte San Giovanni (la stazione più vicina al centro teatrale, da lì in poi si va in macchina). Seduto davanti a me c’è un ragazzo con una camicia chiara e i capelli arruffati. È Pier Lorenzo Pisano e sarà il mio compagno di stanza per tutto il periodo della scuola.

 

Per quanto riguarda il gruppo di lavoro, l’idea (nuova rispetto alle precedenti edizioni) è di avere un gruppo formato da giovani professionisti e di mettere assieme registi, attori e drammaturghi per interrogarsi su diversi temi e parole chiave (regia, repertorio, parola, drammaturgia etc.).

I tredici partecipanti alla Scuola d’estate 2021 sono stati i registi Giulia Odetto, Silvia Rigon e me stesso, i drammaturghi Pier Lorenzo Pisano e Nalini Vidoolah Mootoosamy e gli attori Catherine Bertoni, Gabriele Brunelli, Giulia Mazzarino, Lorenzo Parrotto, Gabriele Portoghese, Federica Rosellini, Petra Valentini e Isacco Venturini.

Per raggiungere il centro teatrale prendiamo diverse stradine sterrate, costeggiamo un fiumiciattolo, attraversiamo campi di girasoli e distese di grano e in poco tempo arriviamo al grande casale di campagna ristrutturato e trasformato da Ronconi in centro di studio e di produzione. Il primo incontro è nella sala dove mangiamo tutti assieme. Dopo ci spostiamo in un’altra sala, che sarà il nostro luogo di studio e lavoro per le prossime settimane. Ci sediamo attorno a un grande tavolo al centro dell’ambiente e Roberta Carlotto, Oliviero Ponte di Pino e Carmelo Rifici fanno un discorso introduttivo.

 

Roberta Carlotto parla della necessità di andare avanti tenendo presente il lavoro di Ronconi, di “ricominciare senza perdere la memoria”. Il tema dei tre percorsi guidati dai maestri di quest’anno sarà il teatro che nasce dalla parola, non necessariamente teatrale. Ronconi ci ha insegnato che tutto può diventare materia di rappresentazione: nella sua carriera ha messo in scena, stravolgendo e arricchendo il repertorio tradizionale dei teatri, epistolari, poemi, saggi, romanzi in un continuo dialogo con le forme della scrittura.

 

Ph Fabio Condemi.


Durante i cinque giorni passati assieme, Rifici ci invita a studiare e analizzare dei testi mettendo a confronto Heiner Müller con Eschilo. Il filo rosso del lavoro di Rifici è quello del mito fondatore, ovvero l’origine del testo attraverso lo svelamento del capro espiatorio. Grazie a un’intrusione nelle letture critiche di René Girard e alla presenza del professor Francesco Fiorentino, traduttore ed esperto di teatro tedesco contemporaneo, Rifici svolge con il gruppo un lavoro attentissimo volto a una conoscenza dei rapporti tra linguaggio, violenza e potere che gli autori post drammatici hanno imparato proprio attraverso la rilettura dei classici, cercando di individuare, nelle riscritture di Müller sui tragici greci, i punti di convergenza tra la scrittura classica e la scrittura postmoderna.

 

L’incontro con Francesco Fiorentino è ricchissimo di spunti e, senza averlo programmato, crea un ponte tra il lavoro di Carmelo Rifici e quello della settimana seguente con Michela Lucenti.

In queste giornate mi rendo conto (un po’ come Jakob Von Gunten nel romanzo di Walser) che con il passare del tempo la dimensione collettiva di Santacristina diventa l’aspetto più bello dell’esperienza che stiamo vivendo. In questa convivialità si sente l’utopia di Ronconi: un luogo in cui scomparire un po’ come individui e ritrovarsi come persone che cercano e si interrogano assieme.

Dal 3 al 7 agosto il gruppo incontra Michela Lucenti, affiancata dal suo collaboratore Maurizio Camilli. Dopo un riscaldamento muscolare che connette la respirazione al movimento e all'emissione vocale la coreografa porta l'attenzione del gruppo su alcuni temi fondamentali: l'affioramento dell’intenzione a partire dal movimento, la relazione con l'altro, lo spazio, il ritmo.

 

Durante le giornate con Michela Lucenti (e grazie al lavoro fatto con lei) mi rendo conto in maniera sempre più evidente che il gruppo di lavoro è veramente inedito. La sensazione è che le categorie in cui siamo inseriti si sfaldino facilmente per ritrovare ogni volta un nuovo equilibrio. E questo non per una retorica del fare un po’ di tutto ma per un’intima necessità di avere uno sguardo più ampio (sulla drammaturgia, sulla scrittura, sulla scena). Questa necessità di interrogare la rappresentazione in tutti i suoi aspetti senza rimanere chiusi nel proprio settore ci accomuna. Certo non è semplice addentrarsi in sentieri non tracciati, perché si va a tentoni, il terreno è sconosciuto e a rischio di frane e smottamenti continui, ma credo che questa ostinata indagine sui segni teatrali nel loro continuo mischiarsi e combinarsi sia anche l’unica strada percorribile ora.

 

L’8 e il 9 agosto sono due giornate di studio. Nella prima incontriamo Oliviero Ponte di Pino che, a partire da un suo scritto dal titolo Pompieri e incendiari. L’eterna crisi della regia all’italiana, ci invita a intavolare una discussione sulla storia della regia (in particolar modo in Italia) e sul suo destino. Le domande sono tante e le strade percorribili anche. La discussione che ne nasce è interessantissima e spesso mi capita di ripensarci. Il giorno seguente arriva a Santacristina Giovanni Agosti per parlarci (d’accordo con Malosti) di Roberto Longhi e di come la sua figura abbia modificato il nostro modo di guardare l’arte (si pensi a Caravaggio) e abbia influenzato la scrittura di autori come, tra gli altri, Gadda, Testori e Pasolini (che scrisse che Longhi aveva acceso in lui una vera e propria Folgorazione Figurativa). Nelle ultime giornate, sotto la guida di Valter Malosti affrontiamo La questione della lingua, la lingua come corpo. Sono giornate intense nelle quali leggiamo molto: Pilade, Orgia e il Manifesto per un nuovo teatro di Pier Paolo Pasolini; alcuni brani del Macbetto, di Ambleto e di Cleopatràs di Giovanni Testori; le prime pagine di Eros e Priapo di Carlo Emilio Gadda; dei brani de Lo stupro di Lucrezia di William Shakespeare; alcuni versi dell’Inferno di Dante (il canto di Ulisse). La grande varietà di queste letture a volte dà le vertigini ma innesca anche quel corpo a corpo con la lingua di cui parla Malosti. Il linguaggio torna a farsi corpo, suono, voce, e perdendo la sua funzione puramente comunicativa riacquista la sua dimensione misteriosa e perturbante. 

 


Ph Fabio Condemi.

 

Gli ultimi giorni a Santacristina leggo molto, soprattutto libri su Ronconi.

Steso sul letto della mia camera, con la finestra aperta e il rumore dei grilli che riempie la stanza, sfoglio disordinatamente Prove di un’autobiografia (Feltrinelli):

 

“Per altri il palcoscenico potrà essere, di volta in volta, il centro del mondo, un’arena dove combattere per le proprie idee, lo specchio della realtà che ci circonda […] Per me il palcoscenico è piuttosto una porzione di qualche cosa, uno spiraglio, un altrove. […] Quello che vi si rappresenta non deve per forza apparire nella sua globalità ma può esprimersi parzialmente, secondo l’idea di forma teatrale alla quale sono maggiormente legato: un’entità che eccede o comunque sfugge al controllo immediato di qualsiasi spettatore. Una mappa da scoprire, uno spazio in divenire.”

 

Anche di Ronconi e del suo pensiero sento di non riuscire a scorgere che uno spiraglio. Sono circondato dai suoi libri in un luogo importantissimo per lui, leggo i suoi scritti, eppure sento che continua a sfuggirmi ogni volta che penso di avere un quadro più ampio del suo modo di pensare la vita e il teatro. È, devo ammetterlo, una sensazione frustrante e piacevole al tempo stesso.

Voglio stare anche con gli altri. L’ultima sera che passiamo assieme si mette a piovere e il nostro umore si fa più malinconico. Parliamo un po’ meno rispetto alle altre sere e stiamo seduti a infreddolirci e a guardare le colline fino a notte inoltrata. Prima di addormentarmi leggo, per caso, il testo scritto da Roberta Carlotto e Oliviero Ponte di Pino che introduce il libro Regia, Parola, Utopia (Quodlibet) e mi sembra un buon modo per congedarmi da questo posto:

 

Quale il futuro dell’utopia teatrale di Santacristina? Questo ci chiedevamo, dopo la scomparsa di Luca Ronconi: se fosse cioè possibile restare fedeli alla sua visione artistica, ma anche intellettuale facendolo dialogare con il presente, proprio a partire da un luogo così particolare e ricco di memorie. 

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