Speciale

Disorientamento e disagio / Sul nuovo Esame di Stato

16 Aprile 2019

Dopo mesi di annunci e anticipazioni è stata pubblicata l’ordinanza ministeriale che disciplina i contenuti del nuovo Esame di Stato. Presentato dalla nuova direzione ministeriale è nei fatti la continuazione del lavoro iniziato negli anni precedenti e la conclusione della riforma che porta il nome della ministra Gelmini e della successiva “Buona scuola” della stagione renziana.

Le novità sono significative rispetto alla precedente versione: nonostante l'attenzione alla comunicazione e la presenza di momenti di formazione del personale dirigente e docente, continuano a essere molte le perplessità sulle modalità operative di svolgimento dell'esame prima ancora che di ordine culturale, educativo e pedagogico.

I lavori delle commissioni di esame inizieranno il 17 giugno: il 19 giugno si terrà la prima prova, italiano, il 20 giugno la seconda prova, diversa per ciascun indirizzo di studi. La terza prova scritta, che prevedeva con diverse modalità di valutare gli studenti su altre materie (fino a cinque) non c'è più; non è stata sostituita dalle prove Invalsi, sostenere le quali è invece un prerequisito per essere ammessi: le prove Invalsi, su italiano, matematica e inglese sono già in corso, mantengono la funzione di raccolta statistica di dati sulle conoscenze e sulle competenze degli studenti italiani dell'ultimo anno di scuola superiore ma non avranno peso sulla valutazione finale.

 

La nuova articolazione della prima prova (qui gli esempi finora forniti) prevede tre tipologie di produzione scritta: Analisi e interpretazione di un testo letterario (A), Analisi e produzione di un testo interpretativo (B), Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità (C), per ognuna delle quali vengono fornite almeno 2 diverse possibilità (3 per la tipologia B).

Come è stato sottolineato da molti non è più prevista una specifica tipologia dedicata al tema di storia (la precedente C): questo verrebbe recuperato nella tipologia B, molto più ampio, di ambito storico, artistico, letterario, filosofico, scientifico, sociale, economico e tecnologico. La storia perde dunque di centralità nel momento in cui non ha più uno specifico spazio: gli esempi forniti dal Miur (dopo le numerose polemiche) lasciano intuire che essa possa avere ampio spazio tra le possibilità aperte dalla tipologia B. Resta il fatto che viene a mancare nel sistema scuola italiano la specifica richiesta di una discussione critica di tipo storiografico; il che testimonia un rapporto ambiguo con la storia come sapere critico, politico e civile, centrale per le competenze di cittadinanza consapevole.

Il punto è che tale richiesta viene negata dalla struttura stessa della riforma che ha ridotto le ore di storia in tutti i segmenti di istruzione superiore, lasciando tre ore settimanali al triennio dei soli licei classici e scendendo a una negli istituti professionali. È stato inoltre osservato come da tempo la traccia di storia sia svolta da numeri molto bassi di studenti (meno del 2/3% negli anni): il problema riguarda la didattica della storia e il rapporto infelice che la scuola ha instaurato con la disciplina.

 

La mia opinione è che non si possa chiedere al tema di “maturità” di salvare un rapporto guasto con la storia come quello che la società italiana intrattiene da tempo. È ingenuo pensare che sia proprio un momento emotivamente delicato, iper-regolato e non privo di conformismi e retoriche, come l'esame di fine ciclo delle scuole superiori a poter produrre cittadini critici e consapevoli; il tutto proprio mentre la storia viene impoverita e trascurata nella didattica quotidiana e il discorso pubblico – media, politica, sfera digitale – è infestato dall'uso ideologico della storia, infarcito di conoscenze dozzinali, riassunti riciclati e soprattutto funestato da semplificazioni grossolane e ciarpame revisionista, complottista e nazional-sovranista. Probabilmente si tende a sovraccaricare di valore simbolico la maturità, da sempre visto come ultimo rito di passaggio, assegnandole il compito di conservare quella religione civile che molte istituzioni sono le prime ad aver svuotato di contenuti reali.

In ogni caso i “temi”, quale che sia la loro tipologia, muovono dalla proposta di testi, documenti, citazioni lunghe: chiedono analisi e riflessione guidata in modo molto stretto, in modo da non insistere troppo sulla dimensione creativa e sulle conoscenze personali del candidato. Da questo punto di vista si rivolgono al pubblico molto differenziato di studenti con competenze diverse, all'interno delle singole classi e per indirizzi nell'arco che va dai licei classici agli istituti professionali; ma più in generale sembrano pensati per una generazione che, statisticamente e sui grandi numeri, mostra di avere poche risorse di scrittura e soprattutto un rapporto controverso e davvero molto differenziato con la cultura alta, “canonica” e civile, delle cui istanze i temi dell'esame di stato si fanno portatori.

 

Le novità della seconda prova, diversa per licei, istituti tecnici e istituti professionali, prevedono che non sia oggetto di esame una sola materia di indirizzo. Nel liceo classico potranno comparire latino e greco insieme, un misto di traduzione e storia della letteratura; nello scientifico matematica e fisica, con una diversa composizione di esercizi e richieste; nel linguistico più lingue in una complessa geometria variabile (ad esempio inglese e spagnolo), differenti livelli di difficoltà e così via. La diversificazione delle materie intende aumentare dunque le possibilità di svolgimento della prova, moltiplicando le richieste di competenza (ad esempio la traduzione della lingua, classica o moderna) e conoscenze (il contesto letterario o storico).

 

Ph Henri Cartier-Bresson.


È prevista inoltre la presenza di griglie predefinite dal Miur, che indica un bisogno di uniformazione in contrasto con la relativa e autonoma consuetudine sviluppata nel corso degli anni dai singoli Collegi docenti e Dipartimenti di materia; a partire da una astratta generalizzazione centralizzata, il rischio è di non tenere conto della pratiche didattiche effettivamente realizzate sul territorio. Molti docenti segnalano in questo caso quanto le griglie fornite siano meno precise e dettagliate di quelle normalmente in uso e tali quindi da lasciare margini di interpretazione e applicazioni veramente molto ampi.

Anche i cambiamenti che riguardano l'orale dell'esame stanno sollevando dubbi e preoccupazioni per le ambiguità della formulazione dell'ordinanza e la complessità del lavoro che richiederà ai commissari. L’ordinanza spiega che il colloquio “prenderà il via da materiali predisposti dalla commissione” – “testi, documenti, esperienze, progetti, problemi” – per “verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi caratteristici delle singole discipline e la capacità del candidato di utilizzare le proprie conoscenze e di metterle in relazione per argomentare in maniera critica e personale”. Tali materiali costituiranno solo “uno spunto di avvio del colloquio che si svilupperà poi in una più ampia e distesa trattazione di carattere pluridisciplinare, per fare emergere al meglio il percorso fatto da ciascuno studente”. Il materiale di partenza – si ipotizza – potrà dunque essere un documento, un testo, una foto, una raffigurazione artistica che deve rimandare al “percorso didattico effettivamente svolto, in coerenza con il documento prodotto a maggio da ciascun consiglio di classe”.

 

Diventa quindi ancora più centrale il Documento del Quindici maggio, ovvero il testo elaborato da ogni Consiglio di classe a metà maggio che contiene tutte le indicazioni possibili riguardo alla vita della classe quanto a “contenuti, metodi, mezzi, spazi e tempi del percorso formativo” seguito dagli studenti e a “criteri, strumenti di valutazione adottati e obiettivi raggiunti”. Si tratta di un punto di riferimento fondamentale per i membri della commissione di esame, in particolare per i quattro membri esterni (un presidente più tre di materia) che a partire da lì dovranno orientarsi per interpretare il loro ruolo e decidere cosa, come e quanto è legittimo chiedere al candidato. Più degli anni precedenti, in cui i candidati presentavano un argomento a scelta che la consuetudine ha trasformato nella 'tesina', diventa quindi delicato il compito, delegato ai commissari, di individuare le fonti e il tipo di testo da sottoporre allo studente che in sede di colloquio deve leggere, commentare, interpretare e argomentare, all'impronta, su un corpus di materiale potenzialmente vastissimo e diversificato. Sono previste riunioni specifiche delle commissioni per la preparazione delle buste dell'orale. Va sottolineato inoltre che non sono stati ancora forniti esempi concreti di materiali di avvio e che quindi non sappiamo se varrà un'interpretazione minimalista e sintetica – una breve citazione, una foto, un estratto, un quadro –, o massimalista e analitica – una lirica, una pagina, uno studio di funzione, un grafico, una mappa.

Spariscono quindi le cosiddette “tesine”, ovvero l'argomento interdisciplinare a scelta del candidato, e a fianco del “materiale” di innesco del dialogo tutti i docenti della Commissione saranno poi chiamati a interrogare il candidato. Il quale dovrà inoltre, specifica l'ordinanza, anche relazionare su attività, percorsi e progetti svolti nell’ambito di Cittadinanza e Costituzione e sulla propria esperienza di Alternanza Scuola Lavoro svolta nei tre anni precedenti: anche questi, sui grandi numeri, sono altri nodi problematici dato il fatto che sotto entrambi i titoli sull'intero territorio nazionale si possono annoverare esperienze troppo diverse e di diverso valore.

 

Per quanto riguarda i materiali di avvio del colloquio è richiesto a ogni commissione di predisporre per ogni classe “un numero di buste [...] pari al numero dei candidati aumentato almeno di due unità, in modo da assicurare anche all’ultimo candidato di esercitare la facoltà di scelta fra tre buste”. In questo modo lo studente sceglierà una busta in una rosa di tre, contenente il materiale di partenza del suo esame orale. Un orale che a questo punto potrà avere una durata considerevole se consideriamo che si tratta di un colloquio organico che prevede diversi momenti: discussione sul documento di partenza, domande di varie materie (6 o più, i commissari spesso insegnano più materie), Cittadinanza e costituzione, Alternanza Scuola Lavoro, correzione delle prove scritte, prospettive future.

La dimensione pratica che il colloquio potrà assumere suscita ragionevoli perplessità, anche tenuto conto del fatto che, sui 100 punti del voto finale, all'esame orale verranno attribuiti 20 punti, che sembra veramente poco se si considera la complessità e l'impegno previsto. Altri 40 punti saranno dati dalle due prove scritte (20 e 20) per un totale di 60 punti, che andranno associati ai 40 derivanti dal Credito scolastico che si calcola a partire dai risultati raggiunti nel Triennio (nella precedente versione dell'Esame erano 25). Un elemento che, giustamente, intende valorizzare la carriera dello studente e ridimensionare il valore della performance finale.

 

A questo punto temo di aver perso la maggior parte dei miei lettori ma credo di aver dato un'idea di quello che si sta configurando nella scuola superiore e del senso diffuso di disorientamento e disagio, ben più ampio di quanto possa essere naturale a fronte di ogni cambiamento. L'intero sistema scuola ha bisogno di profondi cambiamenti nella didattica, di promuovere la cittadinanza attiva e di potenziare i livelli di istruzione, all' interno di una politica di inclusione che tenga conto del pesante divario di risorse e opportunità legato a motivi socio-culturali. Ammesso che la “maturità” possa essere lo strumento per farlo – e io non lo credo, vale qui quanto già detto a proposito del tema di storia ­– non è chiaro come e quanto questo nuovo Esame di Stato possa inserirsi in un progetto coerente in tal senso. L'intento è valorizzare le competenze e l'inter-disciplinarietà per produrre un rinnovamento, in modo tale da mettere la personalità di ogni studente/ssa al centro dell'esame: è sorprendente che questa rivoluzione di prospettiva compaia a pochi mesi da giugno, con un'imposizione dall'alto e in tempi davvero stretti. Lo è ancora di più in una scuola che nel suo insieme si dimostra ancora tanto conservativa (e conservatrice) e che ha riflessi pachidermici nel recepire le innovazioni e reazioni spesso smisurate e scomposte quanto inefficaci.

 

Questo dispositivo di trasformazione dell'esame rompe una lunga consuetudine di inerzia scolastica ma viola un principio elementare nel patto formativo: non si cambiano le regole di ingaggio di un impegno reciproco in corso di svolgimento. L'esame che si configura in questa nuova versione non può riflettere una programmazione costruita altrimenti e pensata diversi mesi fa, a partire da premesse diverse. Per le tempistiche quanto per le modalità di comunicazione, tali da lasciare aperte differenti interpretazioni, questo provvedimento è giudicato da tanti osservatori ma soprattutto da molte scuole frettoloso, inappropriato, inaccettabile, pur con sfumature diverse. È certamente desiderabile quanto positiva l'idea di mettere documenti, testi ed esperienze al centro dell'esame: l'unica condizione è che questa sia la caratteristica effettiva della didattica praticata e condivisa, non l'ennesima astrazione pedagogica animata da buone intenzioni.

L'attuazione efficace di un progetto di riforma deve prevedere preparazione e programmazione, tale che possa essere realmente recepito da collegi docenti, dipartimenti per materie e consigli di classe, ma anche tempi più lunghi per la sua applicazione nella didattica quotidiana: per questo motivo sarebbe molto più sensato e realistico che il cambiamento dell'esame riguardi le classi terze di quest'anno scolastico. In questo scenario è prevedibile e ragionevole che le commissioni di esame procederanno con estrema cautela nell'applicazione delle nuove disposizioni, soprattutto nella valutazione delle prove di esame, per costruire un clima di serenità ma anche per il timore di possibili ricorsi.

 

Mentre a scuola si moltiplicano le attività di simulazione, preparazione e discussione anche animata su come sarà questo esame, la mia impressione è che docenti, genitori e studenti percepiscano gli eventi in corso come l'ennesima manovra pasticciata, confusa e velleitaria. Il vero rischio è che le intenzioni culturali e pedagogiche facciano naufragio nel precipitato degli eventi e siano neutralizzate dalla dimensione pratica della sua applicazione maldestra e intempestiva.

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