Montalbano filosofo
Di questi tempi siamo tutti un po’ camilleriani o montalbaneschi, o camilbaneschi. Nel centenario della nascita di Andrea Camilleri, che si avvia alla conclusione, l’occasione è ghiotta per stanare esperti, riproporre vecchie interviste, recuperare brani inediti. Ma anche per promuovere convegni, allestire mostre, pubblicare ristampe speciali. Si commemora per ricordare e si ricorda solo ciò che ha un valore. E La filosofia di Montalbano (fresco di stampa da Sellerio) si colloca esattamente in questo campo di forze, celebrando un grande autore della contemporaneità e, con lui, la sua principale creatura. Due figure, quelle di Camilleri e Montalbano, che talvolta finiscono per sovrapporsi: entrambi sopra le righe, ironici, a tratti sarcastici, pronti di spirito e profondamente umani. Lo scrittore dalla voce roca che ancora ci rimbomba dentro insieme alla boccata della sua sigaretta e il commissario nirbuso e profondamente empatico.
Un libro dalla semplicità solo apparente, che accoglie un progetto ambizioso e una struttura stratificata. L’impostazione è quella di un dizionario: nell’indice una sequenza di voci poste in ordine alfabetico – l’ordine più arbitrario e, proprio per questo, più democratico, dove nessuna voce prevale sull’altra. Da “Burocrazia” ad “Amore”, da “Filosofia” a “Letture”, da “Mafia” a “Religione” è un fitto tracciato di fili rossi da seguire, in sequenza o in ordine sparso, per tratteggiare l’identità del commissario di Vigàta. Queste voci non vengono spiegate attraverso definizioni, ma da citazioni tratte dai romanzi di Camilleri, ciascuna introdotta da un titolo che le fa esplodere in direzioni diverse – proprio come sotto una entrata di dizionario convivono più accezioni di uno stesso termine. “Matrimonio”, per esempio, si attraversa con “capacità di adattarsi”, “coppia aperta”, “mano pesante”, “presentimento”, “sciarriatina”. “Carabinieri” diventa una costellazione di micro-scene: “allora chiamo i carabinieri”, “chiedere scusa”, “il bravo tenente”, “senza divisa”. Dove ogni titolo non solo introduce e contestualizza, ma apre piste interpretative, genera aspettative, spinge il lettore a girovagare per strade che, intrecciandosi, convergono su Montalbano.
Ma la scelta delle citazioni è già fatto politico. Dare definizioni – diceva Beck – è un atto di potere: stabilire cosa è “farmaco” e cosa “integratore”, cosa “tangente” e cosa “regalo”, non è un’operazione neutra, né mera questione linguistica, ma gesto efficace che agisce nel mondo, trasformandolo. Allo stesso modo, selezionare i termini e i brani che spiegano la filosofia di Montalbano, estrarre dal romanzo porzioni di racconto e ricomporle in un ordine nuovo, significa assumersi una responsabilità. La filosofia di Montalbano è dunque un libro ideologico, nel senso – alla Eco – che seleziona un percorso interpretativo possibile a scapito di altri, che si assume, riuscendo nell’intento, il compito di catturare lo spirito di uno dei personaggi più cari e radicati nella nostra cultura recente.
Sorge allora automatica la domanda: chi è l’autore di questo libro? Non altrettanto immediata la risposta. In copertina compare il nome di Camilleri, perché sue sono le parole di cui vive ogni brano e, d’altro canto, chi meglio dell’autore può spiegare la filosofia del proprio personaggio? Ma i frammenti, leggiamo nella nota introduttiva a cura dell’editore, sono raccolti, selezionati, riallineati da Filippo Lupo – presidente del Camilleri Fan Club – che diventa così nuova istanza autoriale e regista di questa inedita collezione. Operazione interessante, quella di affidare una porzione di identità del personaggio a un fan, e ben in linea con le più recenti tendenze mediatiche e del branding per cui il pubblico è chiamato a giocare sempre più parte attiva nella produzione di contenuti. Ma forte è anche la voce dell’editore: la collocazione del volume all’interno di una cornice immediatamente identificabile, l’iconica copertina blu Sellerio, legittima il progetto ponendolo in linea con le narrazioni da cui esso deriva. Infine, c’è la voce di Gianfranco Marrone – già attento studioso dell’opera di Camilleri – dalla cui penna nasce la nota finale – densissima – destinata non tanto a chiudere il libro ma a renderlo ancora più complesso e rilanciarlo: se qualcosa fosse rimasto implicito della filosofia montalbanesca di cui si è fatta esperienza nelle pagine precedenti, è proprio in questo luogo testuale che tutto apparirà immediatamente limpido.
Una narrazione polifonica, dunque, che è ormai destino comune dei personaggi riusciti, i quali, diventando patrimonio collettivo, sfuggono ai loro creatori e sono sempre pronti a essere riarticolati in forme nuove. E il libro, a ben pensarci, sacralizza Montalbano e il suo autore, compiendo con essi un’operazione museale, diciamo così, postmoderna. I musei, infatti, prendono oggetti e li portano al proprio interno, li inseriscono in una collezione accanto ad altri e in questo modo li legittimano come beni culturali. La ricontestualizzazione trasforma. Ed è questa l’operazione che compie La filosofia di Montalbano, con le citazioni selezionate e riaggregate, magistrale operazione di bricolage creativo, che perdono un pezzo della loro forza narrativa per acquistare nuova densità. E che soprattutto consacrano Montalbano e il suo autore come pezzi da collezione.
Decontestualizzando e ricontestualizzando le vicende del commissario, il volume ne restituisce un profilo. Apparentemente a partire da fatti di dettaglio – con zoom su parti di romanzo elette a rappresentazioni esemplari del personaggio –, in realtà ragionando per frammenti, giustapponendo pezzi di narrazione che non si ricompongono in un puzzle unitario volto a fissare definitivamente l’identità del commissario, ma che si accumulano senza combaciare perfettamente, sovrapponendosi in certi punti e lasciando spazi vuoti in altri. Ne risulta una figura sfaccettata, non sempre coerente, fatta di detti e impliciti. La filosofia montalbanesca non è un sistema totalizzante, ma diffuso. In questo senso il gesto interpretativo del libro raddoppia e si specchia perfettamente nella scrittura di Camilleri, in cui, come la nota finale sottolinea, le voci stesse sono confuse – nel senso che si fondono insieme. Il pensiero di Montalbano è anch’esso, come spiega Marrone, plurale, si sovrappone a quello di Adelina e Catarella, Livia e Augello, Fazio e Pasquano, ed è caratterizzato da dialoghi, monologhi interiori, proverbi, dal “si” impersonale alla sofisticata forma del discorso indiretto libero. Un modo efficace per costruire una filosofia che non è solo propria del commissario, ma frutto di un pensiero collettivo, fatto di senso comune e modi di ragionare che non sempre è possibile attribuire con sicurezza a un’unica voce.
La postfazione attraversa così in un sol colpo lo stile letterario dell’autore e il tratteggio del personaggio, facendoci entrare anche nella sua dimensione più strettamente somatica, rendendo visibili del commissario i tumulti corporei e i loro correlati passionali. Delinea il modo di procedere di Salvo Montalbano, mettendone a fuoco stili di pensiero e gesti abituali, definendone le peculiarità anche in relazione ad altri celebri personaggi della detection e ricorrendo a salti e (ancora) citazioni tra romanzi camilleriani che ne illustrano il carattere al di là delle situazioni contingenti delle singole vicende. E ne chiarisce le ragioni del successo, perché Montalbano non è solo un bravo poliziotto, ma prima di tutto una brava persona, guidata da principi di giustizia che spesso sovradeterminano le rigide regole della legalità. Siciliano fino al midollo, conosce le tacite norme della realtà in cui opera e si destreggia con abilità in questo mondo teatrale e tragicomico. Proprio per questo con arguzia riesce a svelare la realtà annidata dietro le apparenze di chi incontra, punisce senza scrupoli i bigotti, gli arroganti e gli antipatici, colpendoli nel loro orgoglio, mentre mitiga gli effetti dello scandalo sui colpevoli quando essi, pur agendo contro legge, abbiano comunque seguito principi di ragionevolezza ed etica pratica.
Sicuramente il lettore Montalbano-addicted troverà pane per i suoi denti in questo libro. Appassionato e nostalgico, percorrendo le pagine ritroverà vecchie letture, magari scoprendo, proprio grazie agli accostamenti incongrui, nuovi volti del suo eroe preferito. Con un doppio godereccio movimento di riconoscimento (“ah, ecco!”) e sorpresa (“guarda un po’!?”). Ma il libro si rivolge anche a chi accede a Montalbano da altre porte: lo spettatore del commissario televisivo, il turista dei luoghi della Sicilia struggente e decadente immortalati nei film, il curioso della sua gastronomia, chi ha incrociato Camilleri mentre diceva la sua su un fatto di cronaca o grazie all’imitazione di Fiorello. Capita anche che leggendo un brano del libro la mente scivoli dalla pagina di Camilleri al volto di Luca Zingaretti: ritorno del televisivo sul letterario e viceversa, in un cortocircuito continuo di scambi e retroazioni. Ma c’è un altro lettore ideale: il curioso che compie il percorso inverso: il neofita che si approccia al mondo vigatese proprio a partire dal frammento filosofico e che da lì potrà iniziare ad appassionarsi alle vicende del commissario di Vigàta, tornando al romanzo. Magari dopo aver percorso La filosofia di Montalbano a saltelli, facendo zapping da una pagina all’altra, sovvertendo la democrazia dell’ordine alfabetico e predisponendo di fatto una nuova, personalissima, forma di lettura (ancora un altro autore).
La filosofia di Montalbano non è un’antologia, non un tentativo di sistematizzazione filologica dell’opera camilleriana, né tanto meno l’identikit di un personaggio letterario. È una traduzione di un mondo già ricco, già transmediale, che si muove a cavallo di romanzi, televisione, fumetti, turismo letterario e tanto altro. Grazie alla ricomposizione che il volume di Sellerio propone, Montalbano diventa ancor più un eroe intermediale, un personaggio che vive “fra” i media e grazie a essi.
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