Tra corpo e psiche / Respirare

8 Maggio 2020

All’interno della grande esposizione sull’ambiente, intitolata Broken Nature alla Triennale di Milano nel 2019, un'installazione poteva passare inosservata.

C’era una botte piena di terra con una superficie leggermente curva sabbiosa, un po’ spoglia e mentre lo spettatore si interrogava sul suo senso, il terreno cominciava a sollevarsi come in un sospiro profondo, poi si fermava, quindi si abbassava. Un attimo di riposo. Dopo di che riprendeva a gonfiarsi, come se vi abitasse un polmone immenso. Chi osservava si accorgeva di respirare insieme a questa superficie: inspiro ed espiro. E il ricordo di aver visto respirare la terra rimase impresso a lungo. 

In molte grandi religioni il respiro è direttamente connesso alla divinità. Nell'Antico Testamento si legge: “Lì Dio, il Signore, formò l'uomo dalla terra polverosa, gli inspirò la vita nel naso. Così l'uomo divenne un essere vivente” (Gen. 2,7). La maggior parte delle traduzioni dall’ebraico predilige il termine “alitare” a soffiare. Alitare è un respiro più intimo, le labbra sono sciolte mentre l'impulso muscolare deriva dal diaframma. Non deve esserci sforzo fisico per alitare – Dio non si sforza – perché si possa formare questo prezioso respiro, l’odem, la vita stessa che anima la materia.

 

Nei Rigveda il sapiente Visvamitra interroga Indra, dio della fertilità e sovrano di sole, tempesta e pioggia, su come fare per riconoscerlo. Indra risponde: “Sono il respiro. Tu sei respiro. Tutti gli esseri sono respiro. Ho permeato tutte le stanze con il mio respiro. Adora me come Prajnatman (Prajna = conoscenza). Il respiro è vita. La vita è respiro. “Nelle discipline dello Yoga, la cui origine risale probabilmente a più di 5000 anni fa, il respiro ha importanza cruciale, essendo il veicolo di prana, l'energia vitale. La parola tedesca Atmen viene dal sanscrito Atman e significa essenza vitale, spirito o anima. Nelle rispettive pratiche meditative la concentrazione sul respiro ha come obiettivo un graduale distacco da pensieri e immagini abituali, ripetitivi. Praticando ci si avvicina a un vuoto di contenuti mentali, che va di pari passo con il rallentamento delle funzioni fisiche (respiro, battito cardiaco, temperatura del corpo). Mentre lo Yoga viene oggi praticato per raggiungere uno stato di benessere fisico, sembra che soprattutto gli esercizi respiratori (pranajama) eseguiti dai monaci indiani all’origine facessero parte dell’antica tradizione di ars moriendi (A. Staehlin). 

 

L’ideogramma cinese che indica la respirazione, Hu Xi (le due sillabe si pronunciano con la vocale lunga), è composto da due simboli: "Wu" è un pronome, e "Xi" significa: riposare e rimanere fermi. Nel Buddismo Zen la pratica del respiro promuove un atteggiamento di consapevolezza che viene chiamato “il fare del non fare” (in cinese: Wu Wei). Anche qui il respiro non deve essere forzato né controllato, ma accolto e osservato nel suo ritmo dell’andare e venire. Il respiro unisce il mondo interiore e il mondo esterno. È tramite il respiro che noi stessi ci possiamo sentire in relazione con il dentro e il fuori. In un certo senso il respiro è un potente simbolo di qualunque forma di relazione. A questo si aggiunge che, nella concezione orientale, il respiro non è inteso solamente come fenomeno di espansione dei polmoni, organi del corpo fisico: è sempre implicita una concezione di corpo sottile.

 

Le persone vere traggono il respiro dai loro talloni; la gente comune respira solo con la gola.” (Chuang-Tzu, 3-4 sec. a. C.)

Che esistano uno o più corpi sottili legati fra loro dal respiro è una concezione ampiamente descritta e sviluppata in occidente dal pensiero di Rudolf Steiner noto come antroposofia. 

D'altra parte, sia nello Yoga sia in altre tradizioni spirituali, in particolar modo quelle sciamaniche, sono state sviluppate pratiche di respirazione con obiettivi diversi dal raggiungimento di una quiete interiore: l’obiettivo in questi casi era raggiungere stati di coscienza alterati. Il respiro viene forzato e velocizzato: diventa come un “cavallo di fuoco”, capace di farci varcare le soglie del mondo di spiriti e antenati. L'ossigenazione del cervello ottenuta attraverso l'iperventilazione, può creare stati allucinatori e un'attivazione di ciò che chiamiamo in psicologia contenuti inconsci. Possono apparire sequenze oniriche vividissime e ricordi dimenticati, accompagnati da forti emozioni. Negli anni Settanta, sono stati sviluppati vari approcci terapeutici (come il “Rebirthing” di Stanislav Grof) che utilizzavano l'iperventilazione per indurre una regressione psichica.

 

Nell’era New Age queste scuole si sono espanse, appropriandosi ecletticamente di tecniche sciamaniche e psicologia spiccia. Tuttavia, l'interesse di psicologia e psicanalisi per fenomeni attorno al respiro era affiorato prima. Wilhelm Reich, uno dei pionieri della psicoanalisi e stretto collaboratore di Freud, aveva iniziato a osservare i processi emotivi associati al respiro a partire dagli anni Venti. Aveva individuato l’esistenza di un'armatura muscolare che limita il respiro e ha la funzione di reprimere le emozioni, soprattutto in relazione alla sessualità. Dopo l'emigrazione negli Stati Uniti, Reich si è focalizzato su esperimenti riguardanti l'energia cosmica (che in oriente corrisponde al Chi cinese o al Prana indiano) e ha costruito un accumulatore di quest'energia per curare sia pazienti psichiatrici che oncologici. Ha vissuto con un piccolo gruppo di seguaci nel Maine, isolato dal resto del mondo. Le sue ipotesi si sono sempre più allontanate dalla realtà del lavoro clinico. Tuttavia una delle sue grandi intuizioni fu che il respiro fosse un canale di espressione della psiche. Da questo deduceva che il sistema psicofisico era in grado di auto-curarsi attraverso il respiro stesso. 

 

Il terapista olandese Cornelis Veening (1895-1976), dopo il suo incontro con la Psicologia Analitica di C.G. Jung, intraprese un percorso in cui rivalutò la dimensione spirituale del respiro. Fu il primo a studiare e osservare il legame tra respiro e immaginazione. Secondo Veening, la pratica meditativa basata sul respiro non è solo benefica per il corpo; egli sostiene che il respiro sia un canale di percezione per processi inconsci: lo definisce uno strumento per acquisire conoscenza. Con l'aiuto del respiro si possono evocare immagini inconsce ulteriormente esplorabili, sempre seguendo il respiro. Queste immagini inducono – secondo la concezione di C.G. Jung – un processo di individuazione, cioè un percorso mirato a conoscere se stessi e diventare “quello che si è. Per Veening, respiro e immaginazione sono indissolubilmente legati e possono dunque essere usati al fine di raggiungere una consapevolezza di sé ancorata nel corpo. 

“Se vuoi avvicinarti al respiro nell'inconscio, devi imparare a non disturbarlo, perché in esso incontriamo la nostra stessa natura. Ecco perché non ci sono esercizi di respirazione in questo metodo. La percezione interiore sa trovare e seguire i suoi movimenti sottili, senza interferire con il processo vegetativo.”

 

La sua allieva tedesca Ilse Middendorf ha sviluppato questa conoscenza nel suo metodo "Il respiro come esperienza”. La concezione di un'auto-guarigione psichica raggiungibile con l'aiuto del respiro è sempre esistita nella storia della umanità e ha continuato a assumere nuove forme. Sorprendentemente è rimasta marginale nella coscienza collettiva, tanto in medicina, quanto in psicologia e teologia. Oggi che siamo malati di respiro più che mai ci manca questa concezione. Compiamo diversi respiri ogni minuto e mangiamo in media tre volte al giorno. Considerando il ruolo centrale che le normative dietetiche, il peso corporeo e i battiti cardiaci svolgono oggi nella medicina preventiva, qualcuno ha mai sentito un medico di famiglia chiedere come va , non solo con la digestione, ma con la respirazione? L'occultamento con lo stetoscopio determina la funzionalità dei polmoni. Il presupposto è che se i polmoni non hanno malattie, respirerebbero correttamente. Nella prevenzione della medicina convenzionale non esiste un esame di routine che misuri la qualità della respirazione, la frequenza e il volume dell'aria, e che osservi il coinvolgimento della muscolatura coinvolta nel respiro. Esistono ricerche sul respiro nel campo della medicina dello sport, ma unicamente allo scopo di aumentare la prestazione oppure nella ricerca sul sonno allo scopo di migliorarne qualità. Ma il respiro come interfaccia tra corpo e psiche, tra mondo interno ed esterno non è ancora considerato dalla medicina convenzionale.

 

Opera di Inka and Niclas Lindergård.


Tuttavia sappiamo da psichiatria e psicoterapia quanto i disturbi mentali influenzino il respiro. Eccetto gli psicoterapeuti di analisi bioenergetica secondo Alexander Lowen, allievo di Wilhelm Reich, che lavorano con un'attenta osservazione della respirazione, accade troppo raramente che uno psicoterapeuta cerchi di integrare le abitudini respiratorie con gli stati emotivi del paziente. Chiunque lavori in psicoterapia con un approccio immaginativo, non può fare a meno di notare quanto il respiro sia associato alla comparsa di un'immagine interiore. Spesso basta dire al paziente qualcosa di analogo a: “Può chiudere gli occhi per qualche minuto e immaginare il colore giallo presente nel suo sogno?” La prima cosa è un sospiro, seguito da una profonda inspirazione, come se venisse da lontano, da un altro stato d’animo. Così potremmo osservare che il respiro reagisce spontaneamente e in maniera sensibile a tutti gli spostamenti, ai passaggi da uno stato emotivo all’altro. E, viceversa, si potrebbe dire che è utile quando un paziente rimane per troppo tempo imprigionato in una sola emozione, in una rete di pensieri: focalizzarsi sul respiro già smuove qualcosa. Le persone dotate di una viva immaginazione (espressa a parole) respirano in maniera più completa? In un disturbo nevrotico si nota invece il seguente circolo vizioso: le emozioni devono essere soppresse perché causerebbero troppo dolore, quindi deve essere limitata anche l'immaginazione. Poiché il respiro è collegato sia alle emozioni che all'immaginazione non può che rimanere minimo e superficiale.  

 

 Il respiro ci accompagna costantemente e ci sono infiniti momenti di sincronicità dei respiri fra due persone. Quanto l'incontro sessuale sia legato al respiro, è evidente, ma una respirazione “dialogica” si verifica anche nella relazione tra madre e lattante e può manifestarsi in maniera meno evidente anche in ogni conversazione attenta. La respirazione diaframmatica è particolarmente efficace, perché con pochi respiri e una leggera tensione muscolare viene trasportata parecchia aria nei polmoni. È la modalità di respirazione spontanea in fase di riposo e sonno, in cui è attivato il sistema nervoso autonomo. Nei primi anni di vita i bambini respirano prevalentemente in questa maniera e la disimparano prima dell’età scolare. L’uomo adulto che vive nella società occidentale utilizza mediamente circa un terzo della sua capacità polmonare. Nessun medico e nessun prete se ne è mai occupato. 

 Arriviamo alla attuale situazione: primavera 2020. Si diffonde in tutto il mondo una malattia che colpisce i polmoni e la respirazione. I polmoni di migliaia di persone decedute erano diventati duri come roccia. I medici, che durante le autopsie esaminavano i polmoni dei pazienti con Covid, erano spaventati. Avevano visto fegati induriti dalla cirrosi, ma un organo così morbido e spugnoso come un polmone, che rimaneva “in piedi da solo” era anche per loro terrificante. Come se nell’immaginario dei polmoni fosse rinchiuso simbolicamente il respiro come odem. La mancanza di respiro della malattia da Covid è descritta da molti pazienti sopravvissuti come un inferno: “Non lo auguro a nessuno. È come se i polmoni fossero fatti di vetro, vuoi respirare e non puoi, pensi di essere già morto e invece sei ancora vivo...”, ha detto un atleta di 30 anni. 

 

La sindrome del Covid 19, che ha attanagliato l'intero mondo in pochi mesi è una malattia della respirazione, e dal punto di vista simbolico una malattia di quell’“organo” che fa da interfaccia fra corpo e psiche e fra materia e spirito, una malattia postcartesiana potremmo dire. Ma senza spingerci in considerazioni esoteriche, possiamo affermare che l’abitudine di respirare nella nostra civiltà è già ridotto al minimo indispensabile. In più questo va di pari passo con la scarsa attenzione per la qualità dell'aria che respiriamo nelle grandi città. Oltre 80.000 decessi all'anno in Italia, vittime della cattiva qualità dell’aria, e oltre 450.000 in Europa (European Environment Agency Report 2012) sono dovuti in gran parte a malattie respiratorie indipendenti dal virus. 

 

Per non parlare poi del potenziale del respiro come organo di percezione dei sentimenti, dell’immaginazione e, come diceva Cornelis Veeming, come strumento conoscitivo: questo potenziale di umanità si manifesta solamente in piccole e privilegiate nicchie della società. Sembra che l'umanità non si accorga di averne bisogno. È passato troppo tempo da quando eravamo ancora terra polverosa? O troppo poco, quindi siamo ancora identificati con la materia? Abbiamo paura delle emozioni, di risate folli, di pianti incontrollati? Temiamo di non avere, fondamentalmente, un mondo interiore? Oppure il nostro l'Io è ipertrofico, cioè strutturalmente costruito in modo da potersi concedere solo questa quantità di aria limitata? L’Io teme di sprofondare in uno stato vegetativo se si affidasse all’odem? L’affanno che sentiamo, la corsa quotidiana a recuperare oggetti è la paura di perdere il mondo esteriore? È interessante notare che le restrizioni sociali imposte dal virus ci hanno costretto a rinunciare alle nostre attività nel mondo esterno. Coloro che avevano il privilegio di rimanere in casa senza troppi impegni, dovevano imparare a stare in compagnia di se stessi e in un certo senso di convivere volenti o nolenti, a stretto contatto con il loro mondo interiore. 

 

In questa occasione può emergere la qualità più profonda del respiro, può manifestarsi la sua natura: il respiro è relazione. Come un sismografo sensibilissimo reagisce a tutti i nostri intenti di metterci in relazione. Se indugiamo in pensieri e speculazioni abituali, il respiro fa il suo dovere come un cane che aspetta obbedientemente ai nostri piedi e fornirà ai polmoni quel minimo di aria che abitualmente ci facciamo bastare. Ma quando qualcosa di "altro" si affaccia – nell'immaginazione o nella realtà concreta – il respiro reagisce immediatamente. Questo “altro” può essere una persona o un pensiero sorprendente, un odore, un ricordo, un’immagine. La reazione di espandere i polmoni accogliendo più aria non si riferisce a pensieri o immagini precisi, ma semplicemente al fatto che prima eravamo distratti e assenti a noi stessi e ora siamo entrati in relazione con qualcosa o con qualcuno. È come se il respiro " – simile al cane che aspettava un segnale per scattare su e uscire all’aperto – "preferisse" non rimanere nella coscienza abituale e nelle percezioni note. Come se il respiro fosse davvero un infinito spirito conoscitivo. 

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