Quando è che una cosa diventa un’altra?

9 Giugno 2011

Nel 1840 Hippolyte Bayard scelse di fotografare se stesso come annegato, intitolando l'opera Autoportrait en noyé. In un bagno di luce paglierina il corpo esposto sembra impercettibilmente (già) corroso, il viso è calmo, posato vicino a un cappello rotondo di paglia.

 

Le fotografie dell’esposizione di Roni Horn del 1999 alla Tate Gallery di Londra (intitolata Still water),avevano come oggetto le acque del Tamigi. Ogni foto era stata scattata a distanza ravvicinata e mostrava solo il fiume. Niente sponde, niente presenze umane, solo le acque catturate dallo sguardo di notte, all’alba, nel pomeriggio, con tempi atmosferici diversi. Le acque erano ora trasparenti, ora oleose, ora nere e dense, ora solide e grigie, ora verde chiaro o verde giallo. A volte assomigliavano a una piscina, altre al grasso della balena. Ogni foto era disseminata di numeri che sembravano una schiuma fluttuante sulla superficie dell’acqua, una galassia di costellazioni. I numeri in realtà rimandavano a note a pié di pagina, dove informazioni tecnico-scientifiche sugli annegati si intrecciavano a citazioni letterarie da Emily Dickinson, Joseph Conrad, John Ruskin e Paul Celan, suicida per acqua come molti di loro.

Di una giovane francese restavano solo vestiti e borsetta. “Il fiume è un solvente d’identità” scrive Roni Horn. Quando è che una cosa diventa un’altra?

 

Nel 2007 Horn riceve dal governo islandese l’incarico di costruire una biblioteca d’acqua: Water library. L’installazione, nel centro della città di Stykkishòlmur, in una vecchia biblioteca, è fatta di colonne di vetro trasparente che contengono acque provenienti da ventiquattro differenti ghiacciai. Chi guarda vede i propri lineamenti perdersi in un’acqua continuamente modificata dalla luce.

 

Andrey Zvyagintsev, nel film “Il ritorno” racconta di due fratelli e di un padre che, ricomparso dopo anni e visto per anni solo in fotografia, morirà nell’isola dove li porta in gita. Nella realtà uno dei due attori, Vladimir Garin, morirà dopo le riprese, annegato nello stesso lago del film.

 

Il 6 settembre 1992, a Carloforte, un’isola a sud ovest della Sardegna, lo scrittore Sergio Atzeni annega, travolto da un’onda. Aveva 46 anni e da pochi giorni aveva consegnato il suo ultimo libro Passavamo sulla terra leggeri: “Passavamo sulla terra leggeri come acqua, disse Antonio Setzu, come acqua che scorre, salta, giù dalla conca piena della fonte, scivola e serpeggia fra muschi e felci, fino alle radici delle sughere e dei mandorli o scende scivolando sulle pietre, per i monti e i colli fino al piano, dai torrenti al fiume, a farsi lenta verso le paludi e il mare, chiamata in vapore dal sole a diventare nube dominata dai venti e pioggia benedetta”.

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