Ferdinando Scianna, Helmut Newton: intrecci
Un conto è vedere come diversi fotografi hanno interpretato, secondo il proprio sguardo, l’opera di uno stilista (ricordo la mostra dedicata a Gianfranco Ferré al Forte di Bard dello scorso anno); un altro è approcciarsi allo sguardo autonomo di due giganti della fotografia al concetto assoluto della moda. In particolare, quello tra Ferdinando Scianna (1943) ed Helmut Newton (1920-2004) può essere un dialogo per molti aspetti antitetico, estremo. Il campo su cui avviene il dialogo tra i due titani non è una mostra singola in cui incontrare entrambi gli sguardi messi a confronto. Si tratta, bensì, di due esposizioni distinte: Ferdinando Scianna. La moda, la vita presso la Castiglia di Saluzzo e curata da Denis Curti e Helmut Newton. Intrecci al Filatoio di Caraglio, curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, entrambe fino al 1° marzo 2026.
Con un’aura propria e indipendente, dunque, si presentano le mostre dei due autori, realizzate in collaborazione con la Fondazione Artea; sta a noi tessere un legame, trovare quei punti che hanno reso stili formali così diversi delle pietre miliari nella storia della fotografia.
Ferdinando Scianna, per esempio, è un reporter, primo membro italiano dell’agenzia Magnum, giunto alla moda per caso, titubante di fronte a due ancora sconosciuti Domenico Dolce e Stefano Gabbana che volevano una campagna a firma del fotografo di Bagheria, siciliano come loro. È una storia che in molti già sapranno, ma è bello ritracciarla: scelta la modella da una polaroid, che sarà quella Marpessa iconica dell’esordio nella moda di Scianna, il fotografo si avventurò nei luoghi che già così bene conosceva, quasi a memoria, tra le strade strette e assolatissime della sua Sicilia. Il sole a picco, le pietre, la gente proprio di un altro mondo rispetto all’angelo snello che passeggiava indifferente col fotografo appresso. Scianna ebbe il grande dono non soltanto di nascondere sé stesso nelle immagini, dando poche e vaghe indicazioni alla modella nelle scene pur di far accadere le azioni più ordinarie della vita del posto (il bimbo che inizia a imitare Scianna con un pacchetto di fazzoletti, gli sguardi incuriositi delle persone), ma anche quello di nascondere la moda stessa, per le strade siciliane. Sebbene l’eleganza degli abiti e del soggetto spicchino in ogni scatto del fotografo, allo stesso tempo pare inglobata perfettamente dalla vita in cui si trova immersa, come cosa normale del luogo, della dimensione terrena in cui è stata trasportata. Le modelle che ridono a crepapelle sul muletto su cui è issato un enorme volto di Stalin – futura scenografia cinematografica – a Budapest nel 1990, Monica Bellucci dietro il banco del polpo bollito col suo proprietario. Ogni scatto di Scianna vive del suo ambiente, dei contrasti e della spontaneità che in esso si scatenano: le risate dei bambini sulle scalinate che circondano Marpessa, la folla che si butta dentro e fuori dai mezzi pubblici in cui sta per salire Carmen Loderus a Leningrado nel 1987, o ancora il pezzo di carne macellata col costato in vista portato a spalla dall’uomo sullo sfondo mentre Carmen San Martín, a Palermo nel 1991, calze a rete e boa piumato, viene scolpita dal sole mentre ci raggiunge.
Di questa spontaneità, di questa autentica vita che si sprigionerebbe sia che esistesse una modella con abiti haute couture addosso, oppure no, Helmut Newton si fa poco. Nella grande mostra al Filatoio di Caraglio, una mezz’ora buona di macchina da Scianna, ci viene ricordato che la moda è anche costruzione, è scena, è cinema, è carattere emancipato e violento. Newton non si è mai nascosto: ha costruito nel dettaglio le sue donne, modelle che in ogni posa portano il marchio dell’autore che ne ha estratto il succo aspro e necessario di uno spirito femminile nuovo, presente e aggressivo, audace, provocatorio, pienamente conscio dei suoi effetti sullo spettatore. Fotografo di riferimento per le maggiori testate di settore del tempo, Newton ha concepito la propria visione fondendo le sue ossessioni agli impulsi di una femminilità lontanissima dagli schemi di seduzione passiva e oggettificante, rendendola nelle pose quasi un animale nuovo, forte, indomabile. Negli scatti del fotografo tedesco è lo spazio che viene piegato dalla forza centripeta della modella, centro di un mondo che la rende padrona senza opporsi. Le vedute industriali, gli hotel di lusso, le strade notturne, i café, tutto collassa attratto dalla gravità della donna: vista in scene esasperatamente quotidiane, pretesti perfetti per mostrarne il fascino anche quando la si vorrebbe grottesca. La borsetta caduta e il contenuto sparso sul pavimento, la bustina di zucchero tenuta alta sulla bocca che ne prende il rivolo granuloso, la sigaretta della Deneuve (e gli occhi, della Deneuve), la telefonata nascosta dagli sguardi di due uomini lasciati da soli nell’altra stanza. Ogni frammento costruito da Newton ribadisce l’esistenza di figure che osano mostrarsi sicure di sé in ogni circostanza, imprendibili.
Siamo esattamente in un mondo opposto rispetto a quello di Scianna, in cui le cose avvengono attorno al loro fluire naturale, e così le azioni delle modelle che portano gli abiti d’alta moda. Newton, che molto prende dal cinema – famosa è la citazione, visibile in mostra, di Intrigo Internazionale e la corsa a perdifiato per fuggire dall’aereo minaccioso (Mansfield, British Vogue, 1967) – genera un mondo raccontato dalla fisicità dei corpi. Newton è il regno dell’esasperazione, dei muscoli tesi, delle emozioni palesi e forzate, mai accomodanti; un immaginario mentale che prende forma e vita secondo le istruzioni del fotografo.
La bellezza in sé, se vogliamo, in Newton pare non essere neanche il fine vero e proprio dello scatto: se Scianna esalta a tal punto i suoi soggetti da renderli alla stregua di creature mitologiche in luoghi che paiono accoglierle per la prima volta, Newton gioca sul piano sottile della teatralità, di un mondo creato apposta per dare sfogo alle proprie visioni. Così capiamo che il disegno finale verso cui le due mostre convergono, più di un vero e proprio racconto approfondito dell’opera dei due autori (per quanto molto ben tracciato) sia quello delle possibilità talvolta antitetiche in cui il discorso della moda può essere inserito. Potenziato, dunque, ne esce il modo di concepirla: al di là dell’abito in sé, degli stili con cui viene confezionato, delle reali condizioni in cui viene indossato, il ruolo della fotografia è quello di trasportarlo nelle dimensioni immaginifiche cui per natura tenderebbe, interpretato nelle intenzioni e potenzialità latenti più che nella sua mera declinazione nella vita reale. Ed è qui che il discorso delle due mostre calca il bivio da cui pure partono: se Newton inventa il proprio immaginario, Scianna inizia e rimane in quella vita che noi diciamo reale. Dov’è dunque la cesura? Scianna possiamo dire che torca la realtà a tal punto da farla diventare mito, luogo perlomeno in cui può prendere forma, e allora anche la vera Sicilia, la sua vera gente, o quella di Budapest o Il Cairo, diventa parte di un sogno pilotato dalla sola presenza della modella, questa creatura venuta da lontano. È Newton, scopriamo allora, a rendere a portata d’uomo creature che ancora si fatica a concepire, soprattutto quando le concepiva Newton, e dunque a rendere il mito più vicino di quanto si creda.
Ricordiamo anche le epoche e i luoghi geografici così diversi in cui le menti dei due autori hanno iniziato a formulare le proprie immagini. Scianna cresce in un contesto in cui il racconto è padrone di moltissima produzione fotografica: l’Italia in questo aveva fatto scuola quando Ferdinando era solo un bambino e quando, cresciuto, incontrerà Leonardo Sciascia o sarà a Parigi come corrispondente di “L’Europeo” e conoscerà Henri Cartier-Bresson, i suoi occhi vedranno storie, popoli, gesti, e lì la verità della vita.
Newton, nato a Berlino, fuggito a Singapore nel 1938 e poi espulso in Australia di cui divenne cittadino nel 1946, iniziò a fotografare già a sedici anni imparando da una nota fotografa tedesca di moda del tempo, Yva (pseudonimo di Else Ernestine Neuländer-Simon), riconosciuta come donna forte, emancipata, e in grado di plasmare un nuovo modello femminile nei propri scatti. Le immagini, più di 190 in totale tra le due mostre, allora, sono in grado di portare con sé la propria origine, raccontando anche molto di chi le ha generate.
Tra le varie collaborazioni di Newton con marchi italiani, come Lavazza e Blumarine, possiamo però trovare dei punti di incontro con Scianna nelle modelle stesse: mentre nel 1991 il fotografo italiano ritraeva Monica Bellucci a Palermo circondata dagli sguardi sedotti della gente del posto, nel 1992 erano gli occhi di Newton, a Monaco, a farla diventare una regina contornata di motivi liberty, bastante a sé stessa, fulminante con occhi di Medusa e vari giri larghi di perle al collo.
Gli occhi plasmano la realtà a piacimento, addirittura lo stesso soggetto, facendolo diventare emanazione delle proprie reminiscenze o sogno. Così, se Scianna ci racconta la moda attraverso la grana delle pellicole e le risate naturali, Newton lo fa trasformando il mondo in teatro, e le immagini in morsi.
In copertina, Helmut Newton, Monica Bellucci, Blumarine Monaco 1992 © Helmut Newton Foundation.
Helmut Newton. Intrecci
A cura di Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation
Caraglio (CN), Il Filatoio
23 ottobre 2025 – 1° marzo 2026
Ferdinando Scianna. La moda, la vita
A cura di Denis Curti
Saluzzo (CN), La Castiglia
24 ottobre 2025 – 1° marzo 2026
Catalogo mostra edito da 24 ORE Cultura