Thoreau reporter della verità

16 Gennaio 2014

Thoreau non amava lasciarsi avvicinare: nel 1891 Robert Louis Stevenson scrisse di lui un ritratto breve e impietoso, quasi trent’anni dopo la morte dell’orso di Concord: «Non era portato per nessun lavoro – diceva di lui il suo amico e ospite Ralph Waldo Emerson – non si sposò mai, non andava in chiesa, non votava, rifiutò di pagare una tassa statale, non mangiava carne, non beveva vino, non ha mai assunto tabacco e, pur essendo un naturalista, non usava la trappola e neanche il fucile. Quando a cena gli chiedevano che cibo preferisse, rispondeva: “Il più vicino”». Stevenson ci aiuta a capire perché Thoreau lo sentiamo uno dei nostri, oggi: non era un asceta, quanto piuttosto un epicureo alla Marco Aurelio, uno che aderiva al proprio destino senza agitarsi e senza inventarsi una storia personale. Era contento, si alzava presto, era uno pulito. Amava fare lavori manuali. Voleva migliorarsi, per quanto possibile.

 

Edward Hopper, Lighthouse Hill (1927)

 

Emerson conosceva i testi fondamentali dell’induismo e quasi morì induista («Non esiste fatto più importante della teologia indù, la quale insegna che la beatitudine dev’essere raggiunta mediante la percezione del reale e dell’irreale»), e anche se Thoreau a Walden sembra assaissimo un monaco dei nostri tempi, con il pelo lungo e senza cerimonie, possiamo sentirlo induista soltanto in alcuni approcci al resto degli umani e alla natura. Non si commuoveva, al dolore del creato, ma lo percepiva e rilevava. Lo accettava. Era totalmente, profondamente libero. Non gliene fregava assolutamente nulla del denaro. Era attivo, nel suo giorno. Faceva letteratura, e leggeva letteratura. Ma cercava qualcuno che avesse qualcosa da dire, e cercava di dire qualcosa. Il suo libro preferito era Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Stevenson diceva che Cape Cod era un libro pedante e noioso, e questo ci fa pensare che a volte Stevenson fosse un cretino.

 

Le donne? Chi ha mai sentito parlare di donne Thoreau? Era omosessuale come il suo affine Whitman? Pare di no. Come vero epicureo, non credeva nell’amore-passione, ma nell’amicizia affettuosa come valore supremo: «Maggiore è l’intimità, più acutamente percepiamo la viltà di chi amiamo: ed è perché ami qualcuno e perché in nome di quell'amore saresti disposto a morire anche domani, che non perdoni e mai perdonerai la condotta indegna di un tuo amico. Se vuoi conoscere i difetti di qualcuno, chiedi a quelli che gli vogliono bene. Non te li riveleranno, ma li conoscono. Ed è qui che si vede il magnanimo coraggio dell’amore, nel fatto che sopporta questa consapevolezza senza cambiare».

 

Gli aforismi dei saggi sono preziosi, ma il montaggio un poco scombinato di passi dei diari di Emerson e Thoreau assemblato da Stefano Paolucci, devoto della Thoreau Society, fa venire il mal di testa, e ci rende Emerson noioso e Thoreau frammentario. La cosa più divertente di questo libro è la narrazione che Paolucci fa di un ritrovo annuale a Concord della Thoreau Society nel 2004: Thoreau si sarebbe davvero divertito a schivare tutti quei devoti intorno a casa! Divertente l'aneddoto raccontato da un presente su Einstein e sulla verità, che in due parole dimostra che la verità esiste, eccome! Lo scrive Emerson il 29 settembre del 1830 a 30 anni: «Un uomo è invincibile tutte le volte che esprime la semplice verità»; l’amore è verità, lo scrive Thoreau nel 1845 a 28 anni: «L’amore non mente mai a se stesso, né lo si può fraintendere». Thoreau vuol essere sincero, poter dire la verità. I due coinquilini sapevano che in Natura tutto scorre, inutile opporsi. Il 24 marzo del 1862, socraticamente, Thoreau muore con «gioia e tranquillità».

 

Ma non dobbiamo pensare come Stevenson che Thoreau fosse un noioso trombone. Le sue conferenze erano spassose, e Cape Cod, il libro che uscì postumo nel 1865 mettendo insieme le conferenze sui suoi viaggi nella tempestosa penisola del Massachusetts tra il 1849 e il 1855, lo conferma. Questa volta non c’è come in Walden l’uomo che dimostra a se stesso di saper stare solo in armonia con la Natura, ma l’uomo che si mette in cammino, con le scarpe piene di sabbia, affondando nelle mobili dune dietro e davanti alle quali lottano e si dannano marinai e contadini, balene e aragoste, pescatori e pastori protestanti, cani e ostriche.

 

Nauset Beach, Cape Cod, 30 novembre 1892, una naufragio dopo una tempesta.

 

Thoreau non prova commozione. La sua descrizione di un naufragio ha la forza oggettiva di un cronista che fotografa la tragedia della vita e della morte secondo Natura; percorre la spiaggia dove sono allineati i cadaveri: «Ho visto molti piedi freddi come il marmo, e teste arruffate man mano che venivano sollevati i teli e il corpo livido, gonfio e straziato di una ragazza annegata… il relitto contorto d’un corpo umano, lacerato dagli scogli e dai pesci, al punto che s’intravvedevano ossa e muscoli, eppure del tutto esangue – solo bianco e rosso – con gli occhi spalancati nel vuoto, lanterne cieche e senza luccichio: o simili agli oblò di una nave arenata, piena di sabbia».

 

Thoreau cammina su spiagge che ancora oggi vengono sferzate da quelle tempeste, o soffocano di afa per le stesse bonacce. Suggerisce di andarci d’autunno, a Cape Cod, e di camminare sui crinali che aprono a destra il deserto irrequieto dell’Oceano e a sinistra il deserto fragile di campi coltivati nella sabbia. I fari sono ancora lì, dipinti da Edward Hopper negli anni Venti e Trenta, ancora oggi lì nelle foto Flickr. Il mare vede morire pesci pescati da pescatori, o cetacei spiaggiati centocinquanta anni prima dell’inquinamento, forse per misteri più complicati del nostro ecologismo.

 

Il mare vede morire pescatori che pescano pesci vivi e irlandesi che annegano a un passo dalla costa cercando lavoro negli Stati Uniti. Donne e uomini con la faccia scolpita dal vento siedono di fronte alle loro bianche case di legno. Thoreau consiglia a metà Ottocento di affrettarsi a godere di Cape Cod prima che i borghesi di New York e Boston ne facciano una Newport fichetta, ma leggendo lui, il nostro solitario reporter della verità, non abbiamo più bisogno di alcun viaggio.

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