Centomila Peter Gabriel
Fino al 26 ottobre 2026 nell’androne e nel grazioso padiglione interno della Fondazione Luigi Rovati di Milano si può vedere la terza e ultima parte del trittico ECHOES, curato da Francesco Spampinato, questa volta intitolato “Petr Gabriel. Frammentazione dell’identità”. La rinnovata facciata interna della Fondazione si specchia sulla collezione di immagini e pezzi d’arte, che segue negli anni Settanta e Ottanta in particolare intrecci, collaborazioni e reciproche suggestioni tra arte contemporanea e rock.
Peter si maschera
La lettura del catalogo (edito da Fondazione Luigi Rovati) permette di riconnettersi al fil rouge del trittico, partito dai Beatles e dal loro pop psichedelico, poi entrato nella psichedelia palese di Pink Floyd, Yes, Genesis. Dei primi due capitoli di ECHOES abbiamo scritto Castellacci, ed io. Il terzo capitolo in corso è tutto dedicato a Peter Gabriel dai Genesis in poi.
Se le copertine dei Genesis restano capolavori di narrazioni per immagini, con al vertice indiscusso The Lamb Lies Down on Broadway del 1974 disegnato da Hipgnosis, l’ultimo periodo dei Genesis, con Peter Gabriel che si getta nel travestimento teatrale e nella maschera durante i concerti live, pare decisamente out, oggi, alla nostra ricezione estetica. Con la carriera solista, che comincia nel 1977 con Car, Gabriel lascia invece la performance teatrale (di cui maestro indiscusso, e attualissimo, resta David Bowie, del quale da qualche giorno è a disposizione del pubblico a Londra il David Bowie Centre al Victoria&Albert East Storehouse sull’East Bank del Queen Elizabeth Olympic Park), e riattiva per le cover le collaborazioni con Aubrey Powell & Storm Thorgerson, ovvero lo studio Hipgnosis, con pezzi davvero eccezionali acquisiti alla Fondazione da Lucio Rovati con inesauste ricerche. Non c’è più il musicista che veste i panni di un suo personaggio narrato, d’ora in poi c’è l’artista che-non-sa-più-chi-è, in un mondo esploso dalla tecnologia, che prende quindi a metamorfosare incessantemente, sottraendosi al suo specchio identitario, e fluendo sfuggente ai suoi ascoltatori e fan.
Mirabili memorabilia
I pezzi di questa mostra sono la mappa della costruzione ostinata di una collezione. Un filo di ricerca con una road map molto chiara. Per affinità al tema dell’altro da sé ci sono il ritratto fotografico scattato da Man Ray a Marcel Duchamp in alter ego femmina (Marcel Duchamp déguisé en Rrose Sélavy, 1921, prestato alla mostra da Giò Marconi), o un lavoro di Keith Haring (Untitled, gesso su carta 1985) in sensibilità epocale per quel senso di robotizzazione e scomposizione geometrico-materiale del corpo dell’artista nel caos indotto dall’overtecnologia.
Interessantissimo leggere l’originale autografo della lunghissima lettera di otto pagine in cui Peter Gabriel racconta tutta la sequenza narrativa di The Lamb Lies Down on Broadway a Storm Thorgerson (Hipgnosis) per la realizzazione della cover a più facciate dell’album (1974); la sua quest l’ha riassunta lo stesso Lucio Rovati presentando la mostra: «Era andato tutto perduto perché a quel tempo gli artisti non pensavano di dover lasciare traccia della genesi del loro lavoro. Oltre alle fasi di lavorazione di Thorgerson abbiamo trovato poi successivamente anche la lettera che Peter Gabriel gli aveva mandato per riassumergli la storia dell'album, e devo dire che Thorgerson in sei immagini riuscì a catturare effettivamente i momenti significativi della narrazione di Gabriel».

Ho tradotto la lettera di Gabriel, esposta nella mostra integralmente, piena di visioni agghiaccianti che paiono proliferate da un trip di LSD, e ne condivido un passaggio:
«10. LA LUCE BIANCA
La donna lo conduce in una piccola caverna e dice a Rael di aspettare e avere pazienza. Dopo quello che sembra essere un lungo lasso di tempo, Rael vede un piccolo barlume di luce sul soffitto. Questa si trasforma rapidamente in una luce bianca molto intensa, così potente da riflettere ogni forma di vita, dando l'impressione che la caverna sia ricoperta da una candida neve abbagliante. Rael, inizialmente estasiato, diventa terrorizzato e scaglia una pietra contro la fonte centrale della luce. Si verifica un lampo accecante e un rumore di vetro infranto. Quando la vista di Rael viene ripristinata, intravede due globi luminosi e ronzanti che volano via».
Peter si diffonde
Il mondo audiovisivo, elettronico, presto multimediale, ora digitale e artificialmente intelligente, Gabriel lo sentì impattare alle sue origini. Il decennio dei videoclip, gli Ottanta, ha Peter Gabriel tra i geniali intenditori dei nuovi mezzi; anche lui si percepisce non più come una identità con la sua storia da raccontare, ma come un aggregato temporaneo di elementi percettivi, una summa di sensazioni senza una summa di senso; videoclip come Shock the Monkey di Brian Grant (1982), I Don’Remember di Marcello Anciano (1983), This is the Picture (Excellent Birds) di Dean Winkler con Laurie Anderson (1984) e Sledgehammer di Stephen R. Johnson (1986) restano “belli” e sono ormai “classici”; non prenderanno mai più la polvere dell’invecchiamento, della sperimentazione velleitaria e ormai datata, perché avevano visto ciò che sarebbe accaduto:
guardando fuori guardando fuori
quando vedo il futuro chiudo gli occhi
posso vederlo ora
In copertina, Hipgnosis 1978 (Fondazione Luigi Rovati, Milano).
