Bambini iperattivi

5 Settembre 2013

Saltano e corrono, schizzano da un punto all’altro, mordono e fuggono gli oggetti che hanno intorno, si sottraggono a un discorso. Insoddisfatti e annoiati, costretti a girare non riescono mai a stare: i bambini iperattivi sono le lancette impazzite del tempo dell’epoca. Con il loro moto perpetuo rispondono inconsapevoli all’imperativo sociale: chi si ferma è perduto. Loro, infatti, non riescono a fermarsi mai. Come ogni sintomo psichico, il disagio dei più piccoli, che oggi si manifesta anche nella prima infanzia, è la rappresentazione esasperata di qualcosa che condensa le cause e gli effetti del disagio di civiltà.

 

Il bambino che non riesce a stare attento a chi gli sta accanto, che sfida i genitori e l’autorità scolastica è una trottola in ansia che non può raggiungere un obiettivo, così il movimento diventa la sua attività. Un comportamento che riguarda soprattutto i bambini del nostro mondo – dove tutto è super i bambini sono iper –, che disturba la quiete di case dove i figli sono spesso unici. I bambini sempre in minoranza, gli adulti ci investono tantissimo ma non hanno abbastanza tempo per prestare loro attenzione. La danza del bambino ipercinetico è quella della forza della pulsione, dove l’autorità è una parolaccia e gli eccessi non sanno essere contenuti.

 

 

Non riesco a fermarmi. 15 risposte sul bambino iperattivo (Bruno Mondadori, pp.115, € 12,00) di Uberto Zuccardi Merli è un libretto agile e utile nel quale l’autore sintetizza con taglio divulgativo la sua esperienza sul campo. Psicologo e psicoanalista, è responsabile dell’associazione milanese Gianburrasca (parte di Jonas Onlus, centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi dai 4 ai 13 anni), che dal 2007 si dedica a Milano alla ricerca teorica e al lavoro terapeutico con i bambini iperattivi. Merli è netto nell’escludere cause organiche o neurologiche di questa nuova forma di disagio infantile che riguarda tra l’1 e il 3 per cento dei bambini al mondo. Comparsa come rilevante negli Stati Uniti trent’anni fa, classificata come Adhd (Attention deficit hyperactivity disorder), proprio oltreoceano ha fatto discutere per una diffusione superficiale della diagnosi, a volte usata per etichettare soggetti di famiglie a basso reddito e per somministrare psicofarmaci, in particolare il Ritalin, efficace nel sedare, problematico sia per gli effetti collaterali fisici e psicologici che per la precoce patologizzazione psichiatrica. Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM- 5 (in uscita nella primavera del 2013, già accusato di essere dipendente dalle case farmaceutiche), dovrebbe comunque modificare i criteri diagnostici del disturbo in base all’età del bambino. Per confermare la diagnosi il bambino deve presentare i sintomi dall’età di dodici anni e non dai sette.

 

 

 

Merli cerca di rispondere agli interrogativi che la sua pratica clinica sa essere più comuni. Aiuta a distinguere un bambino vivace, un tornado che però gioca e riesce a concentrarsi, a tollerare l’assenza della madre, da un bambino in perenne agitazione. E’ il primo inserimento scolastico, nella maggior parte dei casi, il momento in cui esplode la difficoltà. “La scuola, scrive Merli, è diventata un luogo dove si manifestano liberamente tutte le sintomatologie infantili e adolescenziali, ma non solo; la scuola è il luogo dove la famiglia mostra il suo accanimento contro la valutazione dei figli”. L’autore sfata miti che gratificano il genitore, come quello di un’iperattività espressione di grande intelligenza – e questo curiosamente, è quanto viene suggerito ai genitori con figli dislessici, come se ogni deficit dovesse essere compensato. Come se il difetto del figlio fosse una ferita narcisistica insopportabile per il genitore. L’iperattività riguarda il mondo maschile, come quello dell’anoressia riguarda prevalentemente quello delle femmine (con Massimo Recalcati, Merli ha scritto Anoressia, bulimia, obesità, Bollati Boringhieri, 2006). E’ il figlio maschio che esprime così la sua difficoltà di un rapporto eccessivo con la madre, o reagisce a una situazione di conflitto della coppia. Qui Merli, di formazione lacaniana, insiste sulla mancanza della funzione Padre, capace di quell’atto che separa il figlio dalla madre, che instaura la Legge e permette l’Autonomia.

 

Quella di Merli è una lettura sociale del fenomeno dell’iperattività che così assurge a sintomo della nostra contemporaneità permissiva e consumista. Le sue riflessioni e indicazioni per genitori e insegnanti non dimenticano mai che il sintomo dice una domanda che può essere letta aprendo lo sguardo al contesto ambientale. La prova di una psicoanalisi che non solo è uscita dalla torre d’avorio ma che si espone all’emergenza delle nostre comunità.

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