Basaglia: la maggioranza deviante

29 Marzo 2024

L’influenza di Franco Basaglia e Franca Ongaro Basaglia sulla società italiana degli anni 70 non è semplicemente teorica e i libri ricostruiscono un ambiente, una discussione, ma gli effetti della loro azione furono molto concreti. Molti partecipavano a una trasformazione che entrava e usciva dagli ospedali psichiatrici o come volontari, o prendendo parte a concerti e spettacoli teatrali come quelli di Giuliano Scabia o semplicemente andavano a vederli. La diffusione delle droghe e della cultura psichedelica, che dalla musica alla poesia e ai romanzi e all’arte di quegli anni ridefiniva i canoni piuttosto ingessati di cosa si intendesse per cultura, metteva al centro della discussione una critica della norma che naturalmente sconfinava nelle sessioni di autocoscienza della pratica femminista. La legge 180 che impose la chiusura dei manicomi in Italia, il loro lavoro medico e politico, che naturalmente poggiava in parlamento sulla solidità istituzionale della sinistra, nasceva da un terreno di dissenso ampio e vario, che erano appunto gli anni ’60 e ‘70 italiani. Terreno contraddittorio, basti pensare alle posizioni conservatrici di Pier Paolo Pasolini su aborto, capelli lunghi e in generale su quello che gli appariva come omologante, e alle lacerazioni interne alle organizzazioni della sinistra. Dal bel ritratto della crisi nel PCI che fecero i fratelli Taviani in I sovversivi (1967) fino allo scioglimento di Lotta Continua al congresso di Rimini nel 1976, quando le femministe misero il punto a una concezione partitica, maschile e verticista. 

La ripubblicazione di La maggioranza deviante rende conto di quanto fossero consapevoli delle grandi trasformazioni di cui erano parte Franco e Franca Basaglia. E come fossero più avanti, grazie al rigore degli interventi che erano necessari, che sgomberavano il campo da infinite questioni ideologiche. Il libro è oggi la migliore illustrazione di quale fu il ponte tra l’antipsichiatria medica e una pratica politica che si diffondeva in tutta Italia. Molto più di infiniti saggi storici e teorici che uscivano in quegli anni e certamente molto più del terrorismo, che pur nella sua cronica cecità ha finito con l’etichettare i profondi rinnovamenti di quegli anni nella tristissima formula di anni di piombo, mentre erano anni di intelligenza, azioni legislative importanti, trasformazioni durature. 

Bisogna prima di tutto ricostruire il contesto in cui il libro arrivò, anche perché molte delle idee che vengono introdotte nel libro ci appaiono oggi semplicemente sensate, mentre all’inizio degli anni settanta erano dirompenti. La popolazione moderna, scrive ad esempio Jurgen Reusch, è formata da un gruppo centrale che comprende governo, industria, finanza, scienza, ingegneria, esercito e istruzione. Attorno a questo nucleo ruota un cerchio di consumatori di beni e servizi. Alla periferia si trovano poi i marginali che non hanno alcuna funzione significativa nella nostra società…

Per i comunisti italiani, al cui interno si muovono originariamente i Basaglia, è una crisi: non c’è in questa citazione la fiducia marxista nella dialettica tra le classi che avrebbe portato al comunismo in tutto il mondo. Non c’è neppure la nozione di un progresso dell’umanità che, prendendo le proprie energie e risorse dal conflitto di classe, porti tutti avanti verso una maggiore giustizia sociale e una società più umana. Al contrario, c’è la fotografia di una situazione che sembra se mai, a cinquant’anni di distanza, ulteriormente radicalizzata. Siamo di fronte al collasso, alla barbarie, con istituzioni dove gli emarginati vengono scartati e dove la psichiatria svolge un compito sostanzialmente poliziesco, escludendo e giustificando.

Sarà l’influsso dei Basaglia e di altri grandi psicanalisti come Elvio Fachinelli a trasformare i termini del dibattito, aprire le strade che porteranno l’Italia degli anni settanta a diventare uno dei laboratori politici più interessanti del novecento, tanto che ancora oggi, da Parigi all’America e all’Inghilterra, questo periodo resta studiatissimo.

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Il libro poteva essere aggiornato: le tavole utilizzate da Reusch si riferiscono agli anni ’60, oggi sarebbero probabilmente anche più nette nel contrapporre norma e devianza. Ma i saggi che sono qui raccolti mantengono la loro straordinaria potenzialità. Lo studio ad esempio sulla paranoia e l’esclusione, dove dalla medicina l’accento viene spostato sui contesti sociali, è diventato il cardine della intersezionalità. Il paranoide è sempre parte di dinamiche collettive da cui si esclude e che lo escludono. Questo ha un certo significato privato, familiare, che è quello su cui tendono a concentrarsi gli interventi terapeutici. Ma se allarghiamo il campo e consideriamo per esempio i conflitti razziali o di genere, diviene chiaro come l’elemento decisivo non sia privato. Un afroamericano in un ambiente bianco o una donna in un gruppo lavorativo di uomini sono inseriti in attriti che non sono personali, dove i processi di esclusione sono la struttura stessa della società. Dove interviene la psichiatria? e dove al contrario sono interventi legislativi rivolti a equilibrare disuguaglianze sociali ad essere necessari? Qual è il confine della soggettività? Il libro è sapido dei dialoghi e delle interviste che ricostruiscono il contesto in cui, da R.D. Laing e David Cooper a Foucault, Gilles Deleuze e Felix Guattari, nasceva una nuova intelligenza delle dinamiche sociali che trasformava gli orizzonti dell’antagonismo. Non solo le discussioni incluse nel libro, ma la conversazione che si svolgeva ovunque e con grande liberalità (al contrario di come alcune derive autoritarie di quelle stesse discussioni hanno alla fine tentato di istituire nuove norme). Al marxismo tradizionale subentrava in modo sempre più articolato una visione della società che è quella che abbiamo noi oggi, fatta non di schieramenti di classe ma di molecolarità, come la chiama Foucault, non di partiti ma di Autonomia, non di scontri ma di linee di fuga, che sono secondo Deleuze strumenti di battaglia, non alienazione. 

Per capire la miopia che li circondava l’esempio più eclatante è il terrorismo, sebbene il fallimento più generale fu di tutta la politica, anche istituzionale. Quasi ingessati in una discussione sindacale, sia i terroristi che i politici nelle istituzioni non coglievano gli elementi mobili e diffusi che trasformavano in modo molto reale individui e società. Pensiamo semplicemente a cosa significasse il divorzio non nel grande quadro della società, ma in una famiglia infelice, piccola e reale. E lo stesso per tutte le battaglie di quegli anni, che avevano una grandissima importanza per i soggetti e pochissima per strategie generali. Cosa significhi chiudere una zia in un manicomio perché è rimasta sola e nessuno vuole occuparsene, o appunto come vada letta la paranoia delle persone escluse, e in generale la devianza. E devianza da cosa? 

Si discuteva di classi quando quello che cambiava era che le ragazze uscivano la sera, usavano contraccettivi, chiedevano aborto e divorzio contro il patriarcato, mentre il concetto stesso di devianza sfuggiva dall’ambito psichiatrico e mostrava un dissenso diffuso alle norme della chiesa e dell’esercito, che ancora formavano in modo militaresco il consenso intorno alla norma. 

Tutto questo fa parte della storia. I Basaglia erano consapevoli di agire su uno dei cardini del controllo sociale e sovvertendo la funzione repressiva affidata alla psichiatria propagavano un’onda di innovazione che ci coinvolgeva tutti. Ne erano consapevoli al punto di chiudere con l’intervento di Gianni Scalia, proprio in quanto non medico, il volume.

Molte delle premesse della loro riflessione sulla società rimangono centrali. Chissà se nelle nuove generazioni che incontreranno il loro lavoro questo libro provocherà la stessa speranza di aperture e rinnovamento che provocò cinquant’anni fa. 

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