Carlo Ratti. Architettura Open Source

30 Ottobre 2014

L'ingegnere e architetto italiano Carlo Ratti (1971), formatosi presso il MIT di Boston US dove oggi insegna e è direttore del MIT Senseable City Lab (2004), propone un testo dedicato al concetto di open source applicato alla disciplina architettonica, Architettura Open Source (Einaudi, 2014).

 

A seguito dell'occasione offerta dalla rivista di architettura Domus di scrivere un editoriale sull'open source in architettura – rivista guidata nel 2011 da Joseph Grima – l'autore riprende i temi e la forma di quella prima stesura per ampliarli e affidarli a un medium più tradizionale e duraturo. Per la scrittura Ratti abbraccia la tecnica "aperta" di invitare alcuni critici a contribuire liberamente ai contenuti del testo, via posta tradizionale, Google Documents, email o videoconferenza. Figurano pertanto tra i co-autori o co-curatori anche Matthew Claudel, Ethel Baraona Pohl, Assaf Biderman, Michele Bonino, Ricky Burdett, Pierre-Alain Croset, Keller Easterling, Giuliano da Empoli, Joseph Grima, John Habraken, Alex Haw, Hans Ulrich Obrist, Alastair Parvin, Antoine Picon, Tamar Shafrir.

Il libro presenta una critica molto aspra all'idea di autorialità in architettura a causa dell'avvento di internet e delle nuove forme di comunicazione orizzontale che esso permette. L'autore percepisce questa idea particolarmente legata al movimento moderno e soprattutto al più illustre dei suoi maestri, Le Corbusier.

 

Ratti nomina quella figura artistica "prometeica" cioè avvicinabile alla mano eroica del semi-divino che porta all'umanità il fuoco e la luce per vivere (il genio romantico, potremmo pensare...), e la addita come causa della diffusione attuale dell'abominevole fenomeno "archi-star", Norman Foster e Zaha Hadid compresi.

La critica di Ratti individua nella primordiale intenzione storiografica di Vasari (Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, Firenze 1550) il seme nocivo di una sensibilità disciplinare nuova, che ha disconosciuto la grandezza dell'opera dei maestri di bottega e degli anonimi capomastri dei cantieri delle cattedrali o degli scalpellini, per anteporre a essi un capo scuola, un unico autore.

 

Questo libro si pone quindi contro l'idea stessa di copyright e di proprietà intellettuale per quanto concerne il mondo progettuale dell'architettura e dell'urbanistica (da notare che tra i co-curatori sono presenti alcuni nomi che molta responsabilità hanno avuto in passato proprio nello storicizzare e confermare alcune delle più note archi-star del nostro tempo), e si dedica a sua volta a un'attenta ricostruzione storica, per quanto possibile essendo il fenomeno recente e in continuo sviluppo, delle tappe principali di questa "rivoluzione open source", non solo rispetto alla cibernetica ma anche per gli studi sulla progettazione spaziale.

Ratti e i co-autori propongono un regesto aggiornato dei momenti, delle figure, e delle azioni rilevanti per l'evoluzione del movimento, raccontando in forma breve, i traguardi raggiunti da Linux, Wikipedia, la nascita di Creative Common, e la diffusione di Arduino. Molto interessanti sono anche gli spunti sullo sviluppo di forme di economie non monetarie legate a questi fenomeni.

 

In parallelo vengono elencati alcuni tentativi di architetti del recente passato di lavorare in modo condiviso e non autoreferenziale al progetto. Si citano tra gli esempi The Generator di Cedric Price (1976), l'Oregon Experiment di Christopher Alexander (1975) e del Team X per il Robin Hood Garden Project (1972). E se ne riconoscono i fallimenti, tra i due estremi dell'apatia e dell'anarchia in cui speso sfocia la retorica della partecipazione nel processo progettuale di queste architetture della generazione passata.

Si auspica allora il riconoscimento di nuovi paradigmi operativi e l'inaugurazione di una nuova figura disciplinare: l'architetto corale. Con entusiasmo positivista Ratti e i co-autori enfatizzano l'importanza di fenomeni come quello della nascita di Open Architecture Network e di Wikihouse, perché essi sono davvero il risultato di una progettazione condivisa attraverso i nuovi strumenti della comunicazione partecipata, concretizzando l'interferenza plurale di diversi operatori nel codice generativo del progetto. Stessa se non maggiore dignità è conferita ai processi di auto-fabbricazione con stampanti 3d.

 

carlorattiassociati | walter nicolino & carlo ratti carlorattiassociati | walter nicolino & carlo ratti

 

La parola chiave suggerita da Ratti per una svolta open source in architettura è "coralità" o "polifonia", un valore profondamente rinascimentale e umanista, che sarebbe perfettamente condivisibile se non fosse davvero difficile immaginare i prodotti di OAN e Wikihouse come esempi di polifonia compositiva. Il ricorso a una parola così fortemente iconica e legata a forme evolutissime e precise di scrittura musicale del passato è fuorviante, perché ambisce a un modello che mail e comunicazione di rete semplicemente non sono in grado e forse non vogliono riprodurre. Una parola nuova e diversa avrebbe forse marcato con maggiore pregnanza un passaggio storico che evidentemente non vuole riconoscersi nella modernità rinascimentale, ma in una modernità altra di cui ancora non conosciamo con chiarezza gli esiti.

 

Come ci ricorda poi Vito Campanelli in Web Aesthetics (2010, tr. It.) esistono ancora problemi importanti da risolvere riguardo alle nostre stesse modalità di comunicazione attraverso la rete: «è anche vero che il Web è il risultato di una pre-set logic che risulta dalle traiettorie mentali di un numero infinito di media designers, e che l'interazione tra queste traiettorie guida l'utente a seguire una direzione piuttosto che un'altra […] è errato pensare la rete come un'entità indipendente dalle tendenze sociali e culturali dominanti».

L'architetto corale viene meglio tradotto nel libro come figura curatoriale – "un giardiniere" per riportare le parole dell'autore – a riprova della necessità ineludibile di un individuo o di un gruppo di individui che portino a compimento il processo progettuale. È proprio Giuliano da Empoli, citato ambiguamente da Ratti per corroborare le sue tesi, che ci ricorda che l'autore, al di là del suo presunto potere politico o economico, è l'unico che stabilisce la necessaria conclusione dell'opera.

 

A questo punto la veemenza retorica della dissertazione si affievolisce, perché l'autore nega che il testo sia un libro, "piuttosto una nota a piè di pagina...", un lavoro aperto, forse incompleto, e dichiara che esso il risultato di uno scambio dinamico tra diversi autori che hanno riflettuto sulla stesso tema.

Nel tentativo di espandere una esperienza informale della rete attraverso un mezzo formale e antiquato quale il libro, Ratti si scontra con la difficoltà rilevata da Franco Farinelli di «riuscire a immaginare le rete al di là delle dimensioni della tavola», ovvero di praticare qualcosa che ha una forma diversa dai media comuni rispettandone l'informità e la diversità. In questo senso il libro non aiuta a esperire contingenze e difformità del dibattito in atto perché inevitabilmente direzionate da un vettore autoriale assai preponderante.

 

E se questi sembrassero semplici "problemi di forma", sarebbe meglio non sottovalutarli perché è proprio questa la questione che emerge in modo perentorio dalla lettura del libro: per quanto sia importante registrare una novità nelle nostre possibilità di comunicazione e di scrittura oggi, risulta insufficiente riportare i termini del dibattito architettonico sull'open source verso un tema di tecnica di comunicazione. Le novità morfologiche dei prodotti della progettazione open source non vengono descritte come innovative rispetto al tipo di spazio che esse propongono (invitiamo i lettori a consultare il sito di OAN per farsi un'idea al riguardo). Sembra sorprendente che l'autore non si faccia carico proprio in questo libro – e non in precedenti editoriali o futuri scritti – di chiarire quali sono le qualità spaziali uniche e inedite di questi manufatti, come prove inconfutabili della validità di questa "nuova" prospettiva compositiva.

 

Si riconosce lo sforzo di Ratti per aver incoraggiato con questo libro, come diversi altri libri del resto, un campo di sperimentazione importante in atto nella congiuntura "cibernetica" che caratterizza il nostro tempo, tuttavia si trova difficilmente accettabile il tono – elemento decisivo del gusto e dello stile (Focillon) – perché poco aperto alla tanto aspirata "discussione condivisa" che dovrebbe essere proprio della sensibilità open source. Non si mette in dubbio la critica necessaria in un discorso legato al copyright e ai nuovi media a scapito dell'esperienza commerciale delle "archi-star", si guarda piuttosto alla necessità di trattazioni lucide che valorizzino e traducano su basi non soggettive il sapere costruttivo odierno nella sua profondità, mettendone in luce la pregnanza in ogni tempo, qualsiasi sia il mezzo eletto per la sua divulgazione.

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