Salone del mobile 2016 / Osvaldo Borsani un industriale designer

6 Aprile 2016

Tra i miei ricordi d'infanzia c'è anche quello di Osvaldo Borsani, l'industriale-designer e architetto, indiscusso protagonista della scena artistica italiana di Metà Novecento.

 

Sono nata nell'operoso triangolo d'oro del design, la Brianza, terra dominata dalla cultura del fare e, soprattutto, del fare bene.
Mio padre e suo fratello Giuseppe avevano allora una bottega artigiana divenuta in seguito molto famosa collaboratrice della Formanova, un’azienda che rivaleggiava unilateralmente con la Tecno, fondata, com’è  noto, dai gemelli Borsani.
Eh, sì, perché la storia del design è fatta anche di antagonismi (a volte reali, altre volte supposti o millantati) non menzionati dai manuali, di competizioni e di emulazioni, certamente generate dal contagio delle idee. La Tecno e la Formanova sorgono su due territori limitrofi in provincia di Milano (oggi di Monza Brianza), a Veredo la più prestigiosa Tecno, a Bovisio-Masciago la Formanova. Entrambe producevano mobili imbottiti e arredi dalla linea essenziale e dal design funzionare, in cui il metallo satinato si coniugava con il legno pregiato e il cuoio faceva a gara con il tessuto tinto nei toni acidi allora molto in voga.
Alla testa della Tecno c’era Osvaldo Borsani, "il signore senza pipa", mentre art director (come si direbbe oggi) di Formanova era Gianni Moscatelli,  "il signore con la pipa", era questo infatti il modo in cui io, bambina, solevo allora distinguerli.

 

 

 

Tra le due aziende, era ovviamente la Tecno a fare scuola, tant’è che ad ogni Salone del Mobile, che si teneva alla Fiera di Milano in primavera, gli operatori di settore e non solo, andavano a spiarne le novità. Negli Anni Sessanta, infatti, il design e non ancora la moda richiamava a Milano visitatori da tutto il mondo. Vi contribuiva un pochino anche Monza, con la MIA (Mostra Internazionale dell'Arredamento) allestita  nella Villa Reale (ahimè), ogni autunno dal 1944 al 1985, e poi (per fortuna) trasferita altrove.

 

Tutte le botteghe della Brianza tenevano segrete le proprie novità per presentarle solo al Salone, sicuramente con l’intento di stupire la clientela per aggiudicarsene le commesse, ma anche, e soprattutto, per un sano antagonismo con la concorrenza e per il gusto di fare scalpore. Ma la segretezza costava fatica. Ricordo riunioni carbonare nello studio della ditta dei miei, spesso a tarda sera, quando noi bambini eravamo già stati messi a letto dopo Carosello. Il suono delle voci dei convenuti, dai forti accenti ossitoni (tajá, purtá, tacá sú) e mai parossitoni (tagliare, portare, attaccare), risaliva fino alla nostra camera. Spesso erano voci altercanti, altre volte bisbigliate che avevano sempre attorno a sé un’aura di mistero che ci intimoriva e ci affascinava.

 

Ho visitato lo stabilimento della Tecno, ideato da Osvaldo Borsani, pochi anni dopo la sua realizzazione, avvenuta nel 1962. Vi risuonava un’eco dell’edificio del Bauhaus progettato da Walter Gropius a Dessau, così come ‘bauhausiano’ è lo stile che connota tutta la sua produzione, ma questo lo avrei capito solo molti anni più tardi, quando mi sono iscritta alla Facoltà di Architettura.

 

 

 

Era raro incontrare il Borsani in fabbrica a Varedo. Sempre in giro per il mondo, più facile era invece incrociarlo a Milano, nel negozio aperto nel 1955 in via Montenapoleone o magari a Colonia, alla Koelnmesse, il salone internazionale del mobile, appuntamento obbligato di tutti i mobilieri della Brianza, che andavano lì per confrontarsi con la concorrenza teutonica e, spesso, per “tirà giò ül mudell” di qualche pezzo da riprodurre in patria, modificato qua e là per non dare a vedere.

 

Che il Borsani sia stato un uomo colto e molto sensibile all’arte, lo dimostrano le sue frequentazioni e i collaboratori dei quali amava circondarsi a vario titolo: Lucio Fontana, Giandante X e Guido Tallone subito dopo la sua laurea in Architettura, quando frequentava l’ambiente delle Triennali, da poco trasferitesi da Monza a Milano. Poi, nel dopoguerra, gli artisti Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti, Arnaldo Pomodoro, Marcello Nizzoli, Bruno Munari, i Cascella; e fotografi, tra cui Giulio Confalonieri, Guido Ballo, Ugo Mulas e ancora poeti come Giuseppe Ungaretti e il poeta ingegnere Leonardo Sinisgalli, fondatore della rivista “Civiltà delle Macchine”.

 

Il divano da lui progettato nel 1953, il D70, ad esempio, risente delle ricerche artistiche coeve, soprattutto di quelle sul dinamismo e sulla traslazione della forma dal piano allo spazio, dalla superficie al volume. Su una base metallica si innestano due corpi affusolati realizzati in schiuma poliuretanica, rivestita in tessuto. Un giunto-cremagliera permette alla seduta e allo schienale di assumere varie angolazioni. Petaliforme, il giunto è costellato di fori, all’interno dei quali fuoriesce e si ritrae un perno metallico, vero clou del meccanismo. Ruotando una manopola, seduta e schienale si aprono e si richiudono ad ali di farfalla, trasformando questo straordinario divano, vero must del design del Novecento, se aperto orizzontalmente, in comodo letto ad una piazza e mezza, se invece chiuso verticalmente, in oggetto riponibile con il minimo ingombro. 

Presentato alla X Triennale del 1954, ha vinto lì il suo primo premio.

 

 

Meno colte, ma parimenti in sintonia con il gusto della loro epoca, le forme di Formanova (nomen omen) si sviluppano nell’arco di un trentennio, dagli Anni Cinquanta ai Settanta, conquistandosi un posto di tutto rispetto nella storia dell’arredo, se non addirittura in quella del design. Ne sono d’esempio la poltrona Dolly, disegnata nel 1960 e la poltroncina Poney, del 1970, che hanno mantenuto intatta nel tempo originalità e charme, così come di un raffinato gusto retrò sono i suoi mobili per ufficio in legno di noce o in pregiato Palissandro Rio, un’essenza divenuta introvabile perché da anni giustamente protetta dalle leggi di tutela.

 

 

 

Oggi i prodotti dalle due aziende sono spesso presentati insieme nelle aste internazionali di settore. L’antica rivalità inconsapevole da parte del Borsani non dà però adito ad alcuno scontro, perché il tempo è galantuomo.

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