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Paesi e città. Terracina
Quando racconto agli amici lombardi che qui, a Terracina, le riunioni del Consiglio comunale si fanno alle 9 del mattino, tutti rimangono allibiti. Ovunque, in Italia, per simili atti si impiegano le ore serali, essendo quelle diurne dedicate al lavoro dei singoli componenti l'organo amministrativo locale. Ma qui no. E questo potrebbe parere un eccesso di zelo, una dedizione profonda all’amministrazione della ‘cosa pubblica’, invece è soltanto una cattiva abitudine che si trascina da decenni.
Perché qui, più tempo per discutere non significa affatto maggiore democrazia, ma se mai più agio per rallentarla, esautorarla per sfinimento capzioso. Terracina, infatti, è ormai da più lustri un feudo della destra di governo, molto attenta a difendere i diritti del privato a discapito di quelli del pubblico. Pervicacemente. (Azioni giudiziarie ancora in corso, assurte alla ribalta della cronaca nazionale, hanno fermato l’iterazione di reati commessi da precedenti amministratori ai danni della comunità).
Per i molti che la vivono solamente d'estate, Terracina è il suo mare dall'acqua cristallina, sono le sue spiagge con magnifica vista sul Circeo e con quella, nelle giornate d'aria tersa, delle Isole Pontine, schierate in fila indiana sulla linea dell’orizzonte.
A volte, e allora pare di toccarla, si vede persino Ischia.
Terracina non ha dedicato ai disabili alcuna porzione dei suoi lidi. Per di più la sua spiaggia è quasi tutta ‘occupata’ dagli stabilimenti balneari. Le rare porzioni di ‘spiaggia libera’, che per legge dovrebbe essere gestita dalla municipalità, mancano dei servizi primari (soccorso, acqua potabile, servizi igienici), figuriamoci poi di quelli che le renderebbero la spiaggia di una città modello nel rispetto dei diritti di tutti, disabili in primis.
Per me, che vivo qui da otto anni, Terracina è la forza attrattiva che mi ancora a lei. Non sapevo in che cosa consistesse quando l'ho scelta come città dell'anima, ma la percepivo. Era molto potente, e mi diceva: “hic”, qui, è qui che devi rimanere.
Forse è la stessa forza che ha attratto qui l’Ulisse di passaggio.
Forse è la stessa che ha attratto qui i Romani. Ma questi, più concreti del Greco, a Terracina si sono fermati e ne hanno fatta una città splendida.
Qui è approdato Orazio, quando, in viaggio verso Brindisi per incontrare Antonio, si è bagnato nelle acque, ristoratrici, della Fonte della dea Feronia. Insieme a lui vi hanno nuotato anche Virgilio e Mecenate, santificandola per l’eternità (se mai non fosse stata già santa di suo, per l’energia della dea che ancora si percepisce).
Il moderno acquedotto alimenta solamente il centro della città e le zone ad esso immediatamente limitrofe. Per fortuna a tutte le altre provvede Madre Natura, essendo questa una terra ricca di fonti naturali (Feronia docet). Lo stesso dicasi per la rete fognaria. Nella totale ignavia dei governanti, questa si ferma infatti ai margini della città e così i suoi immediati dintorni pullulano di fosse biologiche. Eppure siamo sulla Via Appia che millenni orsono era un prodigio di ingegneria, anche idraulica. Ma ora?
Terracina è attraversata dalla Via Appia, che è oggi patrimonio UNESCO. Ma a Terracina (come a Benevento) le Vie Appie sono due. C’è la più antica, l’Appia Claudia, che prende il nome dal console romano che l’ha voluta, Appio Claudio Cieco. Questa risale il Monte Giove (oggi detto Monte Sant’Angelo per quell’attitudine del Cristianesimo di appropriarsi di tutto ciò che era pagano, onde cancellarne la memoria, ritenuta pericolosa) per scendere poi verso la Piana di Fondi. L’altra Via Appia, più giovane, porta il nome dell’imperatore che l’ha fortemente voluta, Traiano, e corre in piano dentro la città bassa che le è nata intorno, costeggiando il mare.
Ed è proprio in una di quelle case, divenuta un’umile casa di pescatori, che secoli e secoli dopo, Pier Paolo Pasolini scriverà il racconto Terracina. Una targa generica indica il Vicolo Rappini ma non la casa che vi sorgeva, nella quale il grande intellettuale ha soggiornato, attendendo a uno dei suoi capolavori: Ragazzi di vita.

Tra i problemi contemporanei che affliggono questa ridente cittadina costiera vi sono la carenza di mezzi di trasporto urbani e quella dei parcheggi. Questi ultimi sarebbero da situare preferibilmente fuori città con navette che conducessero al centro e al mare. Perché attualmente, soprattutto d’estate, quando la popolazione aumenta in modo esponenziale, andare da un capo all’altro di Terracina, oppure dalla zona bassa a quella alta e viceversa è un vero delirio. E poi, raggiunta la meta, si vorrebbe avere vicino un Mago Silvan che facesse sparire l’auto senza doverla parcheggiare (nella speranza che riappaia a commissione eseguita).
Terracina è sì una città di mare ma è anche una città di monti e di rupi. Ed è una rupe quella che Traiano ha dovuto resecare perché la Sua Via Appia potesse costeggiare il mare: il Pisco Montano (Pisco, o Pesco, accerta il Battisti Alessio, è un antico toponimo largamente diffuso in Italia, ad indicare una rupe, una grande roccia). E quel Pisco, Traiano lo ha fatto resecare dai suoi abili genieri in un lasso di tempo che oggi ci appare sorprendentemente breve. Già perché se allora scarseggiavano i mezzi tecnici, abbondava però l’ingegno.
Terracina è il Pisco Montano amputato.
Ancora oggi tutti possono vederne il taglio mentre, inconsapevoli, beneficiano del suo sacrificio transitando sulla Via Appia che grazie ad esso, lambisce il mare.
Sotto il Pisco, monumento naturale e archeologico, nonché sito UNESCO, c’è il divieto di parcheggio che finalmente viene fatto rispettare, affinché tutti, turisti e non, possano fermarsi ad ammirarne il taglio senza che le auto in sosta abusiva ne ostacolino la visione. Ma per ottenere che il divieto venisse fatto rispettare, c’è voluta addirittura una presa di posizione civica da parte delle associazioni che hanno a cuore la salvaguardia del nostro patrimonio artistico e culturale.
Sopra il Pisco Montano la natura mediterranea si manifesta in un trionfo di odori e di verdi dalle gradazioni più diverse, in città, invece, le zone alberate sono rare. Si è arrivati, addirittura, al paradosso di chiamare ‘Parco’ una lunga aiuola spartitraffico (Parco Bachelet). Così come sono dette ‘Parco’ alcune zone urbane di risulta dalla cementificazione selvaggia del suolo. Questa, in atto fin dagli anni sessanta, è ancora caparbiamente promossa dalla amministrazione in carica, così come lo è stata dalle precedenti, con la ‘vendita’ alla speculazione privata di preziose aree pubbliche che invece dovrebbero essere adibite a verde cittadino a beneficio di tutti.
Terracina è il suo porto. Oggi un porto turistico invero poco efficiente, ma al tempo dei Romani porto militare e commerciale tra i più importanti dell’Impero. Guardandolo dall’alto, dal Monte Giove, se ne intuisce ancora la forma singolare: un cerchio quasi perfetto proteso nel mare.
In miglia marine, quello di Terracina è in assoluto il porto più vicino a Ponza. Eppure da quest’anno le compagnie di trasporto marittimo hanno sospeso il servizio traghetti da Terracina a Ponza e alle altre isole ponziane. E questo perché nessuno provvede a drenare il fondo sabbioso del porto, che impedisce l’approdo alle grandi imbarcazioni del servizio pubblico così come a quelle private e tutte sono obbligate a dirigersi a Gaeta o a Formia.
Terracina è il suo teatro, di recente riportato alla luce. Un teatro romano ma alla greca, perché i suoi gradini si adagiano sul declivio naturale. È uno dei più antichi teatri edificati dai Romani (qualcuno afferma che sia stato addirittura il primo).
Per fortuna esiste la ‘Fondazione città di Terracina’ che ha in gestione il teatro per conto del Ministero della Cultura e lo fa vivere in eventi teatrali e musicali gratuiti, apprezzati e frequentati da cittadini e da turisti.
Terracina è il suo Foro Aemiliano, con il basolato pressoché intatto, su cui si notano ancora i solchi che ospitavano le lettere bronzee dell’iscrizione dedicatoria: “Aulo Emilio, figlio di Aulo, pavimentò”.
In quale altra parte del mondo una zona archeologica di rilevanza planetaria quale è il Foro Aemiliano è completamente occupata dai tavolini di bar e ristoranti? In quale zona archeologica del mondo su un basolato che si è mantenuto intatto per secoli possono transitare le auto (quelle dei matrimoni che si celebrano nella vicina concattedrale)?
A Terracina si può. Orrore!

Terracina è la sua concattedrale romanica. Sono le sue case-torri medievali, che contrappuntano la città alta. Sono le sue piccole piazze, gli slarghi che si aprono all’improvviso camminando per le sue stradine. È il suo Capitolium, tradizionalmente dedicato alla triade capitolina, Giove, Giunone e Minerva.
Terracina è il suo museo archeologico, ahimè, chiuso.
Terracina è la sua acropoli, dal sorriso di pietra che si scorge raggiungendola dal mare. Che fosse Giove oppure Venere, come di recente accertato, la divinità a cui era dedicato il tempio che sorgeva su quelle possenti sostruzioni, poco importa a chi da lassù guarda il mare: un panorama mozzafiato che ha a sinistra il Vesuvio, a destra il Circeo e sotto Terracina la Bella.
Hic manebimus optime.
Ma si potrebbe stare meglio se ci fosse la volontà di tutti, civica e politica, di migliorare. Uno sparuto gruppo di persone combatte affinché ciò possa accadere.
E anche questa è Terracina.
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