Lanterne sulla Cina
Sebbene il libro di Alec Ash sia un romanzo di non-fiction, sebbene i suoi personaggi – sei i principali – siano persone vere, sebbene le loro vite proseguano anche mentre scrivo, sebbene insomma Lanterne in volo non si concluda con una fine, è però vero che da una fine inizia. La prima scena vede Dahai ormai adulto e sposato, tornare nel luogo in cui dieci anni prima ha seppellito il suo diario. È mentre il trentenne scava alla ricerca del punto esatto che la narrazione polifonica prende il suo abbrivio, trascinando il lettore nell’infanzia e poi nella gioventù di sei millennial cinesi. Dahai è uno di loro; l’autore – coetaneo e amico (nella vita reale) dei sei personaggi – avrebbe tutte le carte in regola per essere il settimo. Ma il libro deve parlare di lanterne, e forse un personaggio senza occhi a mandorla disorienterebbe (troppo) il lettore occidentale.
È in questo sottile e precario equilibrio – fra un’intelligente, affettuosa empatia e un tanto rifuggito quanto ineludibile orientalismo – che si destreggia la sfida del romanzo. Ed è questa sfida che la sua riedizione – non a dieci, ma a otto anni dalla prima uscita – rilancia ai lettori italiani: cos’abbiamo seppellito nel 2017, dopo avere letto quell’Alec Ash con Mia che fumava in copertina? Se all’epoca avessimo appuntato su un diario le emozioni provate leggendo, le proiezioni fatte sui finali, e se lo avessimo seppellito come il buon Dahai, oggi, riesumandolo a colpi di pala, cosa troveremmo?
Cosa ci aspettavamo nel 2017 – Xi Jinping non aveva ancora abolito i limiti del suo mandato, né il covid aveva isolato persone e paesi –, cosa ci aspettavamo, adocchiandolo in libreria e soppesandolo fra le mani, da quel romanzo con le lanterne nel titolo e sotto una cinese tatuata – sguardo dritto nell’obiettivo, ovvero su di noi?
Uiguri, Tiananmen, politica del figlio unico, contraddizioni interne al Partito… All’appello mancava forse solo la questione tibetana, poi le hit trainanti per il sinofilo o sinoappassionato o sinoaffascinato che dir si voglia, c’erano tutte – e naturalmente ci sono ancora. Ma allora perché il romanzo è diverso da come lo ricordavo? Cosa può essere cambiato oltre alla copertina? Quell’altra cosa che copre o che scopre, ipotizzo: il nostro sguardo.
“È fondamentale ricordare che le persone di cui scrivo rappresentano soltanto sé stesse,” spiega lo scrittore in postfazione, e prosegue: “Nella Cina continentale ci sono più di trecentoventi milioni di cinesi fra i tredici e i trent’anni. Questi sono sei.” Alzo lo sguardo e mi chiedo, veramente questo disclaimer è ancora “fondamentale”? Veramente crediamo ancora che la Cina sia quel monolite omogeneo per cui un sinologo specializzato in letteratura può essere contattato per parlare di Chinese business etiquette o di politiche verdi o di mercato dei semiconduttori, o per cui basterebbero sei personaggi con gli occhi a mandorla a fornirci un ritratto esaustivo dell’intero paese o perlomeno di una sua generazione?
Intervistando i traduttori del romanzo, Margherita Emo e Piernicola D’Ortona, emerge la questione dei traducenti e Margherita mi fa notare che nel 2017, quando tradussero Lanterne in volo per la prima edizione, la disponibilità di testi italiani o in italiano sulla Cina contemporanea era senz’altro esigua rispetto alla cornucopia di libri, per ogni palato e livello di approccio, che avrebbe poi conquistato gli scaffali. (Forse proprio giovando di quella rinnovata curiosità verso il gigante asiatico sollevata dalla pandemia?) Non solo traduzioni di narrativa, e non solo più testi accademici o storici, o manuali di lingua. Autori come Giada Messetti, Ilaria Maria Sala, Simone Pieranni e altri, hanno raccontato la Cina – anzi, le Cine – a un pubblico di non addetti ai lavori, e lungi dal limitarsi alle hit di cui sopra, ci hanno aperto gli occhi su un panorama eterogeneo e in costante evoluzione, dove convivono femministe ed enologhe, restrizioni e soluzioni creative, crescita di quantità e crescita di qualità, e insomma dove la rappresentazione del dragone non serve a rinfrancare il nostro senso di superiorità, ma piuttosto a preparaci per un tè insieme all’altro – oppure un caffè.
Nel 2016 Alec Ash riteneva fondamentale avvertirci che la Cina non è tutta uguale, che sei personaggi non rappresentano trecentoventi milioni di persone. E nel 2017 Margherita e Piernicola avevano ben pochi precedenti per tradurre fenomeni e termini culturospecifici, che il lettore italiano avrebbe incontrato per la prima volta – o una delle sue prime – proprio leggendo Lanterne in volo. Ma adesso è diverso. Adesso, per fare un paio di esempi, quando leggiamo dei genitori cinesi che pubblicizzano i figli con cartelli a mo’ di “vendesi” per trovare loro un partito adatto (Ash 2025, p. 170), potremmo già avere appreso di questa circostanza e delle sue ragioni da La Cina è un’aragosta (Messetti 2025), e quando incappiamo nella studiosa Leta Hong Fincher, che Ash menziona raccontando di Xiaoxiao, una dei sei personaggi, potremmo già averla sentita o addirittura letta in italiano, dato che Tradire il Grande Fratello, Il risveglio femminista in Cina (Leta Hong Fincher 2024, ed. originale 2018) è uscito proprio lo scorso anno. Adesso il nostro sguardo, quando non esattamente preparato, è almeno meno ignorante, meno ingenuo e meno tendenzioso. Siamo pronti a rileggere il romanzo – ovvero le storie di questi sei (non più) giovani cinesi – non per cercare conferma di vecchi sino-stereotipi, ma per provare a mettere in pratica quanto imparato, e dunque intessere coi sei un dialogo nuovo, scevro di preconcetti e gerarchie.

Fred, studentessa di politica internazionale (e attualmente docente di politiche comparate presso una prestigiosa università della capitale) è una dei personaggi. Durante i suoi studi universitari, ha la possibilità (economica) di trascorrere un periodo a New York, e…
“parlando con i compagni americani, si rese conto di due cose. Primo: nessuno sapeva molto della Cina. Secondo: tutti avevano comunque un’opinione. Rispondeva a domande tendenziose sul massacro di piazza Tiananmen e ascoltava vaghe filippiche contro le violazioni dei diritti umani. Erano problemi su cui aveva opinioni ragionate, ma in quel contesto si metteva sulla difensiva. A quelle conversazioni erano sempre sottesi il sentimento di superiorità americano e la domanda implicita: perché non odi il tuo Paese? All’inizio provò a discutere, ma ben presto trovò più semplice fingere che non le interessasse.”
Quel senso di superiorità che impedisce a Fred di entrare in dialogo coi suoi compagni americani – o meglio, ai compagni di entrare in dialogo con Fred – non è solo americano né solo studentesco. È la medesima convinzione per cui sopravvive nell’italiano corrente il termine “cinesata,” per cui leggiamo volentieri un romanzo cinese – ma ancora più volentieri se bandito nella Repubblica Popolare –, o per cui all’inizio della pandemia i ristoranti cinesi furono i primi a rimanere deserti – sia mai che anche qui servano pipistrelli! La buona notizia però è che adesso abbiamo gli strumenti per ritentare quel dialogo. Le traduzioni e i testi che hanno arricchito i nostri scaffali non lasciano più ragion di credere che i cinesi siano tutti uguali, che lo spiccato amor patrio di alcuni di loro sia privo di fondamento, e che un tesserino elettorale impolverato ci legittimi a guardarli dall’alto verso il basso. E un’altra buona notizia è che la riedizione di Lanterne in volo ce ne offre l’occasione.
Se nel 2017 l’avevamo forse letto cercando la Cina nelle storie di sei persone cinesi, ora possiamo provare a rileggerlo cercandovi le persone. Avremo meno sorprese, forse, ma troveremo, in compenso, varie questioni condivise: temi come la posizione della donna, il divario e le difficoltà di comunicazione fra generazioni diverse, le potenzialità – così come i limiti – di internet e del dibattito online, il vuoto di senso che si esperisce quando la vita è ridotta a mera corsa verso uno status economico. E sono queste faccende umane – non solamente e non specificamente cinesi, americane o italiane – il preziosissimo canovaccio con cui possiamo tornare da Fred e provare a rintavolare un dialogo. La forma del romanzo, che Ash padroneggia senza esitazioni o incoerenze di sorta, è l’esatto spazio-tempo che ce lo consente. L’intervista giornalistica non permette di trascorrere con l’intervistato più del tempo di una chiacchierata, l’inchiesta o il saggio snocciolano dati e nozioni importanti ma sostanzialmente anonimi. Solo la narrativa ci dà il tempo di stare insieme ai personaggi, di giocare a io ero di Pechino e tu eri di New York, a dimorare un po’ nelle loro emozioni, visioni, aspirazioni e sofferenze, e a riconoscere che in fin dei conti le lacrime hanno tutte un sapore simile – che scendano da occhi a mandorla o da folte ciglia brune.
Un ulteriore spunto di riflessione in tal senso arriva dalla riedizione del libro in inglese, che nel 2020 non cambia veste grafica ma titolo: non più Wish Lanterns (da cui l’italiano Lanterne in volo, dato che le lanterne benaugurali di cui si parla sono appunto lanterne che volano), bensì China's New Youth: How the Young Generation Is Shaping China's Future (letteralmente, “La Nuova Gioventù della Cina: Come la nuova generazione sta forgiando il futuro della Cina”) – in cui “New Youth” è un’esplicita allusione alla rivista letteraria fondata nel 1915 da Chen Duxiu, sei anni prima di cofondare con Li Dazhao il Partito Comunista Cinese. La rivista Nuova Gioventù (titolo originale: Xin qingnian新青年, o La Jeunesse), che rimase attiva fino al 1926 e su cui scrissero personaggi come Hu Shi, Lu Xun (Zhou Shuren) e suo fratello Zhou Zuoren, un giovane Mao Zedong, e molti altri destinati a fare la Storia, nasceva come espressione dello zeitgeist dell’epoca, e in particolare della necessità – sentita e sostenuta da un folto gruppo di giovani intellettuali – di avviare un profondo processo di ammodernamento culturale. Tale processo presupponeva il coinvolgimento diretto dei giovani e aveva fra i suoi capisaldi il riferimento a modelli occidentali – centrali i concetti di scienza e democrazia –, nonché la promozione della scrittura in vernacolare (fino ad allora disprezzata dai letterati cinesi, che usavano invece la lingua forbita dei testi classici; come se in Italia, ai tempi di Pirandello, Tozzi, Svevo, ecc., fosse ancora d’uso scrivere in latino).
Oggi, paradossalmente, quel cenacolo di pensatori de La Jeunesse che avrebbe corteggiato il marxismo e fondato un Partito (Comunista) di outsider (del sistema confuciano) e innovativi, vede i suoi diretti eredi ossificare e preservare le proprie posizioni nello status quo che (almeno un po’) conosciamo. Eppure, Lanterne in volo graffia la superficie di quello status quo (e delle nostre convinzioni a riguardo) e ci mostra come proprio in quell’humus apparentemente stagnante i giovani e meno giovani cinesi – oggi come ai tempi di Chen Duxiu e compagnia – continuino a negoziare libertà personali e scelte creative.
Non solo. L’altro risvolto interessante di questo titolo allusivo, è che la “Nuova Gioventù” di Alec Ash non è un periodico scritto da giovani cinesi innamorati di concetti occidentali, ma un romanzo scritto da un autore inglese appassionato di circostanze, idee e voci cinesi. E se Chen Duxiu, nel suo “Appello ai giovani” (cinesi), pubblicato nel primo numero della rivista, includeva la raccomandazione “Siate internazionalisti e non isolazionisti” (shijiede er fei suoguode, 世界的而非锁国的), Ash sembra offrire ai lettori occidentali un invito molto simile, in un giocoso quanto importante scambio di ruoli.
Benché il titolo italiano rimanga invariato, le lanterne di cui parla non sono quelle rosse di Su Tong e Zhang Yimou, ma quelle leggere e traslucide del “piccolo capodanno,” che ogni anno spiccano il volo a chiusura della Festa di Primavera. Possiamo dunque immaginare che queste Lanterne in volo siano per il lettore italiano nuove lanterne – diverse da quelle che hanno volato, per esempio, nel 2017 o negli anni del covid. E dunque, se ogni nuovo lancio di lanterne è un nuovo lancio di pensieri augurali, il mio augurio è che questa riedizione, e l’opportunità che offre di rileggere il romanzo, siano un’occasione in più per de-orientalizzare il nostro sguardo. Leggete o rileggete Lanterne in volo, insomma, ma non per guardare a oriente, no – semplicemente per guardarvi allo specchio:
“Una visita all’Ikea è un po’ l’occasione per comprare qualcosa, un po’ una gita, e durante il weekend il negozio si trasforma in un parco a tema. I clienti schiacciano un pisolino su letti e divani (quale modo migliore per provarne la comodità?). Le famiglie si siedono ai tavoli esposti per pranzi immaginari. Le coppie hanno litigi veri in cucine finte. Il ristorante prepara polpette e spaghetti, l’alimentari vende vin brûlé svedese. Xiaoxiao e Dahai riempirono il frusciante borsone di posate Sedlig, piatti Färgrik, figurine di legno Gestalta e cavallini ornamentali Finansiell. Quando uscirono con i carrelli carichi di mobili da montare e con i tappeti sotto il braccio, sentirono di avere fatto il loro ingresso nella classe media.” (Ash 2025, p. 255.)