Il mondo favoloso di Kaminski

11 Marzo 2023

Il mondo di André Kaminski è un favoloso fuoco d'artificio. Sempre in movimento come la sua vita e come la sua vita fuori dell'ordinario. Le sue storie brulicano di cose, persone, colori. Hanno il profumo dell'altrove, il gusto dell'assurdo e strappano il sorriso anche quando virano in tragedia. Di lui, trent'anni fa autore di gran successo ma da tempo fuori catalogo, l'editore Acquario rimanda in libreria uno dei lavori più belli con un nuovo titolo, Il terremoto di Agadir (traduzione di Amina Pandolfi, 220 pp.). 

Ambientata fra Algeria e Marocco negli anni Sessanta subito dopo la cacciata dei colonizzatori francesi, questa raccolta di racconti porta in scena personaggi e situazioni che per molti versi adombrano l'esperienza dello stesso autore. La voce narrante è infatti quella di un occidentale che lavora per la televisione, francese o polacca, e da regista e produttore si trova a fare i conti con una realtà che non solo è diversa dalla sua ma smentisce ogni aspettativa.
Se la trasparenza biografica fa da spunto, il resto è fiction e della qualità migliore. André Kaminski sa come si racconta una storia e lo fa con gusto e ironia, come già sanno i lettori di L'anno prossimo a Gerusalemme (1987), la saga che intrecciando la storia di due famiglie ebraiche sullo sfondo del tramonto dell'Austria-Ungheria aveva conquistato il pubblico internazionale.

Gerusalemme

Basata sui ricordi di parenti sparsi per il mondo, la vicenda dei Kaminski e dei Rosenbach annodava il filo delle generazioni rimescolando con disinvoltura realtà e fantasia. "Diciamo e scriviamo la verità soltanto quando non ci resta altro da fare", aveva precisato l'autore prendendo il largo con decisione da ogni pretesa memorialistica. Perché rinchiudersi nella gabbia dei fatti quando l'immaginazione spalanca orizzonti vertiginosi?

L'avvertenza è tanto più valida per i racconti di Il terremoto di Agadir. "Penso che la fantasia non sia altro che il riflesso di un'altra, di una seconda realtà. I nostri sogni sono l'immagine del possibile", annuncia il narratore nella storia che apre la raccolta, La vittoria sulla forza di gravità. E proprio in questo spazio sospeso prendono vita le estrose creature che popolano queste pagine. 

Ecco Genfud, che nel 1963 ad Algeri si presenta all'esame per la scuola di preparazione televisiva. Magro, la pelle giallastra e "l'aspetto di un baccalà", disprezza apertamente i suoi insegnanti ma rivela infine un lato che nessuno gli sospetta. Ecco la signora Zaui, vedova e madre, religiosissima. Indossa il velo,rispetta con rigore le regole. Saranno i suoi datori di lavoro europei, dopo aver tentato di convertirla alle logiche occidentali, a capitolare infine davanti alle sue magiche superstizioni.

Ed ecco gli altri – Baby Marx, pronipote del fondatore del marxismo che per amore di una principessa lascia una vita di lussi e diventa "il prediletto di tutti gli oppressi"; l'infido Pilz per cui "Dio è un meccanico di motori diesel" e Moulay Abdullah, governatore di Tendrara in Marocco, che nei pacifici "fedain della scienza" trova la formula per catapultare i suoi dalla preistoria ai tempi moderni.

La traiettoria personale dell'autore scorre in filigrana e fa da rimando. Come il narratore di queste storie, André Kaminski ha lavorato a lungo per la televisione e ha l'uso beffardo del mondo di chi le ha viste tutte. È nato a Ginevra nel 1923, in una famiglia di ebrei emigrati dalla Polonia. Il padre, psichiatra, viene da Varsavia e la madre da Stanislav, oggi in Ucraina e un tempo vivace centro del movimento sionista in Polonia contrasto che diventerà uno dei perni narrativi di L'anno prossimo a Gerusalemme.

Da bravo ebreo curioso d'identità, Kaminski si laurea in storia della Chiesa e poi insegna all'università di Ginevra. Il suo destino sembra segnato finché nel 1950 si dimette. Socialista convinto, si trasferisce in Polonia per costruire il mondo nuovo. Lì lavora come produttore e drammaturgo e fra il 1950 e 1960 è corrispondente estero dal Marocco e dall'Algeria dove gira diversi documentari.

Nel 1968, ormai deluso dal comunismo, deve lasciare il paese. In ossequio all'augurio della tradizione ("L'anno prossimo a Gerusalemme"), emigra in Israele dove però fatica a trovare una sintonia con una società che poco somiglia all'immagine che se n'era fatta. Dopo un anno esatto fa dunque ritorno alla casella di partenza, in Svizzera. Si stabilisce a Zurigo, dov'è nato e cresciuto e dal 1969 al 1985 lavora come direttore artistico della radio televisione svizzera dove sviluppa nuovi format.

La svolta finale arriva negli anni Ottanta. La raccolta di racconti I giardini del Mulay Abdallah (1983) uscita in italiano per Longanesi cinque anni dopo e ora disponibile come Il terremoto di Agadir riscuote un notevole successo. Il romanzo che segue, L'anno prossimo a Gerusalemme, pubblicato dalla prestigiosa casa editrice tedesca Suhrkamp Verlag, diventa un best seller.

È un libro ironico, carico di gioia di vivere e surreali colpi di scena, che si muove con disinvoltura fra Svizzera, Siberia, Stati Uniti e ricorda Isaac Bashevis Singer più che il grande cantore della finis Austriae Joseph Roth. Unico lavoro dell'autore tradotto in inglese, è accolto con entusiasmo dal pubblico statunitense. Negli ultimi anni Kaminski, che muore nel 1991, si dedicherà solo alla letteratura pubblicando, fra gli altri, Il candido Kiebitz (1989).

Kiebitz

Mai come nel suo caso, la vita sostiene la letteratura. Nelle storie di Il terremoto di Agadir, la mano del reporter si sente nell'abilità con cui ricostruisce le atmosfere e i protagonisti di una società in transizione, stretta fra un passato coloniale e un futuro da costruire. E mentre l'esperienza del commediografo regala dialoghi stringenti, il mestiere della televisione garantisce un colpo d'occhio unico.

Il segreto di André Kaminski è però nella capacità di cogliere le scintille intrappolate nella grana del quotidiano per esploderle in un caleidoscopio di colori. Le sue pagine riportano alla mente certe memorie che le famiglie ebraiche coltivano con la passione di chi sa che tutto passa ma il racconto di sé resta. Sono storie che scavalcano lingue, confini, generazioni e a ogni riunione ritessono la trama preziosa del tempo. È la cadenza della tradizione, a cui Kaminski imprime l'abbrivio folgorante della favola. E nel suo racconto la realtà muta fino a rivelarsi per quel che è – un'abbagliante girandola di possibilità.

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