Grillo tips

27 Febbraio 2013

Panico <pà·ni·co> agg. e s.m. (pl.m. -ci). Reazione per lo più collettiva, che invade improvvisamente di fronte a un pericolo reale o immaginario, togliendo la capacità di riflessione e spingendo alla fuga o ad atti inconsulti”.



Ci aspetta un periodo politicamente intenso, smisuratamente intenso. Analisti d’ogni genere pretenderanno di spiegarci ogni momento di ciò che politicamente, socialmente ed economicamente succederà in Italia da qui in avanti. Ma siamo sicuri che staranno guadando nella giusta direzione, che saranno nelle condizioni di dirci qualcosa di utile? Il dubbio è concreto, e non per quello che è successo alle elezioni, per le maggioranze inesistenti, per le alleanze impossibili che sarebbero necessarie, per il ruolo che comici, vallette, giocolieri e funamboli potranno avere in un futuro prossimo, ma per ciò che ha fatto sì che si arrivasse a tutto questo. L’Italia è nel panico. Ci sono tutti i segnali: gente che vota in nome di una promessa che sa che non potrà essere rispettata, o che, se rispettata, porterà conseguenze catastrofiche (e lo sa!), persone che si riversano in piazze gremite chiudendo ombrelli sotto la pioggia per poi abbracciarsi, piangere, urlare, ma anche gente che non vota perché “ora basta!” senza pensare a quel che sarà. Panico. Il dizionario ci dice cos’è, non serve altro.



Quello che serve semmai è pensarci su. Non alla situazione politica che, come tutti i fenomeni passionali, farà divertire i cronisti (un consiglio: conviene far passare alla cronaca parlamentare i giornalisti sportivi: come loro nessuno sa descrivere umori, depressioni, euforie, stati di forma e cose del genere). Ciò che dovremmo fare è riflettere sui modelli di pensiero che ci hanno portato a questo. Fare un passo indietro e pensare al modo di pensare. È qualcosa che nessuno fa più, piccoli effetti collaterali connessi alla cancellazione del ruolo della cosiddetta cultura, ma che oggi è indispensabile. D’altronde, Grillo, l’unico vero vincitore di questa partita, ce lo dice da tempo: il punto non è il programma, quello che voglio fare o chi penso debba farlo, ma il modello presupposto dall’atto stesso di far politica. La campagna del comico non si basa sulle idee ma sulle meta-idee, le idee che danno forma alle idee. Propone un modello di pensiero nuovo e vince. Parlando di modelli, però, bisogna stare attenti a comprendere bene come funziona quello presupposto da quanto successo ieri e l’altro ieri in Italia. Perché quando dalla razionalità si passa alla passionalità non si ottiene una “certa follia”, l’individualismo, il collasso di una dimensione sociale: si installano semmai nuove e diverse logiche che sono ancora sociali ma in modo diverso. Alcune di queste sono proprie dei fenomeni che abbiamo elencato e a cui abbiamo assistito, altre devono ancora dar sfogo a tutto il loro potenziale. Per cominciare cambia il modo di diffondersi. Le idee viaggiano da soggetto a soggetto secondo le regole che sappiamo, le passioni sono contagiose. Pensiamo alla ridarella: qualcuno comincia a sghignazzare senza alcun motivo e in poco tempo qualcun altro gli va appresso, e poi qualcun altro e poi qualcuno ancora. In breve tutti cominciano a ridere, e il perché non lo sa nessuno. Con il panico è lo stesso solo che, lo dice il dizionario, accanto alla fuga, che è un atto collettivo, ci sono quelli inconsulti, di ogni genere e tipo, individuali e potenzialmente distruttivi. E poi la passione esplode, prende il corpo, ci fa arrossire, tremare, balbettare, a seconda della sua natura. Ciò che importa è che il “ragionamento” si sposta, passa attraverso la fisicità, un canale che i media, più o meno nuovi, faticano anche solo a considerare. Se ogni buona amicizia fatta in chat si sugella davvero solo in pizzeria, le cose non vanno diversamente con la politica. Indovinate chi ha preso un altro punto giocando proprio su questi due spazi così diversi?



Grillo ha vinto perché ha ripensato i modelli presupposti dal concetto stesso di partecipazione politica. Il terreno di gioco si è spostato, siamo andati indietro, o forse avanti, comunque la si veda niente è più uguale a prima. Non ci potrà essere vittoria  nell’arena economica e sociale che deve fare i conti con l’Europa, se non si guarderà alle logiche presupposte dal sistema che, è ormai chiaro, possono perfettamente cambiare. Il problema non è l’euro, la finanza, i mercati, l’IMU, la moralità, e non sono neanche le tanto citate “regole” del gioco – ovviamente è anche tutto questo –, ma è soprattutto la possibilità di giocare, è quel sistema di valori più ampio senza il quale non c’è proprio partita. Oggi quando esce un videogioco, lo stesso giorno in rete si trovano i “tips”, trucchi che consentono di aggirare ogni ostacolo e andare dritti alla vittoria. Niente sfida insomma, ma allora perché giocare? Nel frattempo l’industria dei videogames supera in fatturato il cinema. Ed ecco il punto, l’obiettivo non è la vittoria. Tornando al videogioco della politica, per capirci davvero qualcosa dobbiamo prima riflettere sul significato che diamo a un insieme molto ampio di cose. La vita è un progetto di senso, ed è da qui che dobbiamo ripartire, dal modo in cui esso si costruisce. È questo, forse, il filo rosso che bisogna seguire e che può ricucire tutti questi pezzi impazziti, almeno nella nostra testa. Come diceva un signore promuovendo la birra: “meditate gente, meditate”. Il vino difficilmente potremo ancora permettercelo.

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