Guerre Spaziali

1 Ottobre 2014

Un tempo il concetto stesso di strada era molto diverso da come lo conosciamo. In città gli edifici erano immersi in un continuo spazio pubblico autoregolato in cui i diversi flussi si incrociavano armoniosamente creando quelle scene composte immortalate in certi quadri impressionisti.

Il primo segnale che le cose sarebbero presto cambiate vestì i panni innocui di Babbonatale.

 

Nel dicembre del 1913 a Syracuse nello stato di New York circolavano già parecchie automobili. La catena di montaggio del celebre modello T di Ford era stata avviata 3 anni prima e quell’inverno in tutti gli Stati Uniti transitavano più di 200.000 veicoli.

Come racconta il prof Peter Norton nel recente “Fighting Traffic: The Dawn of the Motor Age in the American City” a Syracuse quel Natale vennero inaugurati i nuovi grandi magazzini e i cittadini più facoltosi non persero l’occasione di raggiungerli in auto creando probabilmente il primo ingorgo della storia. I dirigenti del centro commerciale, non volendo rinunciare alla loro clientela migliore, decisero di correre ai ripari stabilendo una gerarchia: sulle strade le macchine hanno la precedenza ed i pedoni possono attraversarle solo in determinati punti a loro dedicati.

 

E così un Babbonatale fu assunto per comunicare la nuova regola agli abitanti di Syracuse. Agli incauti che, mettendo a rischio la propria sicurezza, attraversavano la strada disordinatamente il Babbonatale urlava l’appellativo offensivo “jay walker” (jay è da intendersi come “sfigato”).

 

Volantino distribuito ad Hartford, Connecticut, nel 1921

Volantino distribuito ad Hartford, Connecticut, nel 1921

 

Nonostante fossero la maggioranza numerica, i cittadini che non avevano un’auto non riuscirono a contrapporsi alla nuova norma sostenuta soprattutto dagli automobile clubs locali, e così negli anni a seguire, grazie a costose campagne pubblicitarie finanziate direttamente dalle case automobilistiche, la pratica del “jaywalking” fu inserita tra le infrazioni nei codici della strada americani restandoci fino ad oggi e stabilendo una volta per tutte che le strade sono fatte per le macchine.

Quel che successe poi la sappiamo tutti. Migliaia di veicoli in fila, automobilisti ingellati festanti e rock 'n' roll: negli anni ‘60 l’auto diventa un bene di consumo di massa.

 

Manifesto della campagna federale contro il “jay walking” del 1937

Manifesto della campagna federale contro il “jay walking” del 1937

 

Solo parecchi anni più tardi, al culmine del successo dell’automobile come simbolo del progresso economico, affermazione di libertà individuale etc etc… una nuova categoria di utenti della strada, fino ad allora rimasta lontana dal conflitto, iniziò a mettere in discussione lo status quo.

 

Negli anni ‘70 in Europa settentrionale gruppi spontanei di ciclisti iniziarono a darsi appuntamento per delle pacifiche pedalate collettive al fine di reclamare migliori infrastrutture a loro dedicate. Grazie a gruppi ambientalisti e partiti politici come i Verdi il fenomeno si diffuse poi anche in Italia. Il conflitto tra auto e bici culminò nel 1990 a San Francisco dove, attraverso il passaparola e senza alcuna organizzazione dall’alto, ebbe luogo la prima critical mass: il noto raduno che invade ormai con cadenza mensile le strade di numerose città bloccando il traffico automobilistico attraverso la pratica del corking. Il compito dei corcks è quello di bloccare, ad ogni costo e con ogni mezzo, le macchine per permettere il passaggio della “massa critica”.

 

Volantino distribuito per istruire i corcks durante una crtial mass del 1992

Volantino distribuito per istruire i corcks durante una crtial mass del 1992

 

Ancora negli anni ‘90 nel Regno Unito, all’interno del movimento dei free parties, nasceva il collettivo chiamato Reclaim the streets che si dava appuntamento in zone centrali di Londra dove venivano montati sound systems per reclamare un utilizzo alternativo delle strade. L’opposizione alle macchine toccò livelli che riportavano alla mente le antiche rivolte luddiste: in questo documentario inglese del 1999 si vedono alcune automobili prese a bastonate dai manifestanti poco prima che questi a loro volta vengano presi a manganellate dalla polizia.


 

Evoluzione: l’intervento delle città e l’avanzata di Google

 

È stato grazie a queste rivolte che il tema dell’uso e della qualità dello spazio pubblico è penetrato da ormai almeno un decennio nella cultura di massa, tanto che oggi sono le amministrazioni cittadine stesse a curarsi della questione.

Nei primi anni 2000 alcune città incominciarono ad attivare politiche con l’obiettivo di peggiorare l’esperienza di guida dell’automobilista in ambito urbano (limiti di velocità, sosta a pagamento…). Successivamente ricorsero a regolamentazioni volte a limitare l’uso stesso dei veicoli in città (area c, ztl…). Tali restrizioni sono oggi comunemente adoperate anche nei centri minori e possono essere di tipo spaziale (si vieta la circolazione in certe zone riducendo l’area dedicata al traffico veicolare), temporale (si limita l’accessibilità ai veicoili durante certe fasce orarie) oppure tariffario (si associa un costo all’utilizzo di certe infrastrutture o spazi).

 

Un cartello segna l’ingresso nella congestion charge di Londra

Un cartello segna l’ingresso nella congestion charge di Londra

 

Parallelamente le città si sono dotate di misure rivolte a favorire l’utilizzo di modi alternativi all’auto privata, principalmente il trasporto pubblico (corsie preferenziali per i bus,…) ma anche la bicicletta (piste ciclabili, bike sharing…). Oggi perfino a Milano prendere il tram è diventato chic e non avere la tessera del bikeMi è considerato degradante tanto quanto non fare la raccolta differenziata.

I primi risultati sono mostrati dalla recente conferma che la riduzione del numero di veicoli venduti è un fenomeno irreversibile e non legato all’attuale crisi economica. Per molti giovani (non solo hipsters) è senza ombra di dubbio più importante avere uno smartphone, in grado di garantire l’accesso a certi servizi, piuttosto che la proprietà di una macchina con conseguenti responsabilità, doveri, pericoli, costi.

 

Nonostante il suo innegabile peso questo cambiamento non vede la fine della “guerra spaziale” né la sconfitta definitiva del modello urbano autocentrico, ma segna piuttosto l’inizio di una nuova, delicata fase.

Nel 2000 Jeremi Rifkin in “L’era dell’accesso” prevedeva che nel decennio successivo (quello attuale) i beni piu costosi come appunto le automobili “rimarranno sempre più spesso proprietà di un fornitore che ne consentirà l’uso temporaneo ai clienti attraverso accordi di breve locazione, di affitto, o altre forme di servizio”.

Le case automobilistiche sono state le prime a cogliere questo cambiamento e per loro è diventato imprescindibile negoziare con le amministrazioni locali al fine di offrire non più dei beni ma dei “servizi” ai cittadini. Ecco perché oggi a Milano sono operativi 7 diversi sistemi di car sharing gestiti per lo più da grandi gruppi del settore (Fiat, Volkswagen, Mercedes, Bmw) per un totale di circa 2500 vetture condivise.

 

Sul fronte della ricerca BMW ed Audi spendono ogni anno milioni di euro tentando di prevedere i trend e capire come sfruttare al meglio il loro monopolio tecnologico nella trasformazione dello spazio urbano. Un esempio è lo studio dei sistemi di parcheggio automatizzato, grazie ai quale si potrà ridurre lo spazio destinato alla sosta in città con conseguenze molto interessanti non solo per le amministrazioni pubbliche ma anche per il mercato immobiliare.

Nel 1982 David Hasseldorf nel ruolo di Michael Knight dialogava con il proprio veicolo KITT. Questa serie televisiva (oltre ad aver influenzato l’estetica dei Daft Punk ) ha plasmato l’immaginario collettivo verso un futuro fatto di macchine che si guidano da sole.

 

Oggi, grazie alle tecnologie digitali, sono stati sviluppati diversi modelli di veicoli autonomi. Le stesse tecnologie digitali che negli ultimi anni hanno rivoluzionato interi ambiti industriali (musica, turismo, stampa…) stanno oggi conducendo ad una svolta l’industria automobilistica. Le prova principale è il fatto che anche Google sta sviluppando il proprio prototipo di veicolo autonomo senza conducente .

 

Per accogliere i veicoli autonomi ci sarà bisogno di costruire un ambiente urbano in grado di comunicare direttamente con le automobili attraverso sensori localizzati nei semafori, nei lampioni e nell’asfalto. Le cause automobilistiche e i nuovi attori del settore, come appunto Google, stanno già cercando di conquistarsi questo nuovo inesplorato mercato facendo tornare il veicolo privato al centro dello spazio urbano ed avviando una nuova fase della secolare “guerra spaziale”.

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