Magenta: cosa ci dice il colore dell’anno?

12 Gennaio 2023

Il 4 giugno 1859 nei pressi di Magenta, piccolo borgo alle porte di Milano, fu combattuta una importante battaglia tra l’esercito austriaco e quello francese. Si tratta di un significativo episodio della Seconda guerra d’indipendenza che vedeva i francesi schierati a fianco ai piemontesi, ovvero ai Savoia, contro l’Impero austro-ungarico. O meglio i sabaudi a fianco dei francesi, come rincalzi, poiché a Magenta fu l’esercito francese ad avere rilevanti perdite, 546 morti e circa 3.000 feriti, inferiori a quelle degli austriaci, che lasciarono invece sul campo 1.300 morti e 4.000 feriti, e poi un numero mai determinato di dispersi. Gli italiani contarono a fine battaglia solo 4 feriti, mentre restarono uccise 12 persone della popolazione civile.  

Lo stesso anno il direttore di una fabbrica francese che produceva il colore giallo utilizzando l’acido pirico, François-Emmanuel Verguin, ottenne un nuovo colore a metà tra il rosso e il viola mescolando anilina con il cloruro di stagno. Gli diedero il nome di “magenta” per ricordare la battaglia. Secondo alcuni studiosi la ragione dipendeva dal colore dei calzoni indossati dagli zuavi francesi durante lo scontro con gli austriaci; secondo altri perché il sangue umano versato in quella battaglia era stato tanto, e il nuovo colore era un omaggio al sacrificio degli uomini caduti. Da un episodio della guerra, che contribuì in modo importante all’unità d’Italia, abbiamo pertanto ricevuto in dono il nome di questo colore, che la maggior parte delle persone confonde comunemente con il rosso, pur essendo diverso. Il magenta non è infatti esattamente un rosso, e neppure un porpora, il rosso del mondo antico, simbolo di eleganza e potere.

Chissà se c’è un legame tra il rosso della battaglia e il colore che questo anno, il 2023, Pantone ha stabilito essere il colore dell’anno: Viva Magenta. Come è noto, la società americana Pantone detiene il monopolio della classificazione del colore nell’ambito delle tecnologie grafiche grazie a un suo geniale oggetto: il catalogo “sfogliabile” dei colori. Come hanno spiegato i dirigenti della società americana, si tratta di una nuance di rosso vibrante: “Una tonalità non convenzionale in tempi non convenzionali”. L’inconscio dei coloristi del Pantone deve aver agito senza bisogno di sognare il colore dell’anno durante il riposo notturno, perché la guerra che ha insanguinato l’Europa è sui nostri schermi tutti i giorni, per quanto le emittenti televisive cerchino di non mostrare il sangue che è stato versato nel conflitto tra la Russia, lo stato invasore, e l’Ucraina, lo stato invaso. I morti mostrati nelle fotografie e nei servizi televisivi sono stati sinora in gran parte anemici, come se un gigantesco vampiro, li avesse privati del loro liquido vitale di colore rosso. 

Il rosso è la tinta per eccellenza, o, come ha scritto Michel Pastoureau in un suo libro (Rosso, Ponte alle Grazie), si presenta come il colore archetipico. Per dire “colorato” e “bello” nelle lingue antiche si usa un solo termine: “rosso”. Colore dell’amore e dell’erotismo, del pericolo e del divieto, del dinamismo e della creatività, della gioia e dell’infanzia, del lusso e della festa, del sangue e del fuoco, dell’inferno e della materia, il rosso è il simbolo stesso della vita. Venticinquemila anni prima che qualsiasi abito fosse colorato, il rosso era già conosciuto dai nostri progenitori che lo usarono nelle caverne e negli anfratti di tutta Europa, e non solo lì. Per millenni è stato l’unico colore degno di questo nome. Non il rosso inteso come concetto, o idea, bensì il rosso associato agli oggetti e agli esseri viventi: il fondamentale elemento naturale, come scrive Pastoureau; per quanto l’espressione che utilizza lo storico medievale e studioso di araldica – “elemento naturale” – sia oggi un problema, dal momento che cosa appaia “naturale” non è così facile da definire.

Il direttore esecutivo di Pantone Colour Institute, Leatrice Eiseman, ha definito il Viva Magenta “un pugno in un guanto di velluto”. Anche in questo caso non c’è bisogno del ricorso all’inconscio per capire cosa intendevano suggerire al Pantone scegliendo il colore della battaglia risorgimentale. Nella descrizione emanata dall’azienda si parla infatti del “Viva Magenta come di un rosso cremisi in equilibrio tra il caldo e il freddo”; “il che lo rende – hanno scritto – quello che noi chiamiamo un colore ibrido. È audace, giocoso, inclusivo è un colore che si può raccontare facilmente”. 

Il rosso dei calzoni degli zuavi è per alcuni la spiegazione del nome dato al colore: il magenta. Una dedica al nuovo colore all'anilina, il quale è così legato alla guerra. Nell’estate del 1914, ricorda Pastoureau, all’inizio della guerra mondiale i fanti francesi andarono al fronte vestiti come i loro predecessori di Magenta, e come quelli del conflitto franco-prussiano del 1870, cioè indossando sotto il soprabito, o giacca o cappotto che fosse, di colore blu, pantaloni rosso tinti. Proprio loro per via del colore acceso divennero ben presto oggetto del tiro dei cecchini avversari – austriaci e tedeschi – lasciando così sul campo parecchi morti. Il rosso si vedeva molto bene a distanza, per cui i fanti francesi cambiarono ben presto le loro divise assumendo il colore grigioverde, o marrone spento di varie tonalità, che funzionava come elemento mimetico sui terreni di battaglia.

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Il marrone è rimasto il colore di fondo delle divise di guerra, ribaltando i colori tradizionali utilizzati sino all’inizio del Settecento dagli eserciti professionali. Si trattava infatti di colori molto vistosi, colori che volevano trasmettere il senso dell’aggressività al nemico in un’epoca in cui le battaglie si combattevano per lo più all’arma bianca, fatto che durò in Europa ben oltre le il secolo delle guerre di Successione. Il colore sgargiante era un mezzo per comunicare potenza, forza, per spaventare o inibire il nemico. Ora il magenta, inteso come colore, costituisce un cambio di passo nell’ambito della selezione delle tinte perché nasce da una azione chimica e non da estratti naturali. Durante la seconda metà dell’Ottocento, in Europa nasce e cresce la nuova industria chimica, che è stato uno dei volani della seconda e decisiva rivoluzione industriale, da cui noi tutti dipendiamo per le modificazioni delle basi materiali della salute, dell’alimentazione e della moda e dell’industria del divertimento.

L’anilina viene dall’anile, dalle piante di Indigofera, da cui si trae prima di tutto l’indaco. Nel 1826 un chimico tedesco, Otto Unverdorben, aveva cercato di sintetizzare in laboratorio il colorante dalla pianta. La storia di questa prima anilina sintetica è stata raccontato in un libro da Simon Garfield, Il malva di Perkin. Storia del colore che ha cambiato il mondo (Garzanti). Con il malva, come con il magenta, comincia l’epoca dei colori sintetici. Il secondo colore noto per questa novità tecnologica, figlia della chimica, è la fucsina, dal fucsia. Poi toccò agli inglesi che per tutto l’Ottocento sono stati i rivali dei chimici tedeschi e della loro industria, che produceva ricchezza a piene mani. La Simpson, Maule & Nichilson produsse il rosso anilina. I nomi dati a questo colore in Francia, fuchsia, e in Gran Bretagna, invece roseine, non risultarono adatti, e il rosso anilina diventò per tutti “magenta”.

La storia delle controversie legali legate ai nomi e all’uso dei colori è spiegabile in termini economici. Dopo l’industria bellica, di cui per altro quella chimica fa parte, l’industria dei colori è la maggior fonte di ricchezza al mondo, o almeno lo era fino a che non siamo entrati nell’epoca della distribuzione. La produzione industriale è stata superata appunto dagli astuti eredi di Mercurio, il dio degli scambi e dei commercianti (e anche dei ladri), dai grandi distributori come Amazon. 

L’anilina ha prodotto dal canto suo un numero incredibile di colori sottraendo questa industria al dominio del mondo vegetale e minerale da cui era dipesa per secoli. Secondo gli studiosi dei comportamenti sociali la grande diponibilità artificiale dei colori creò una continua richiesta di novità, una vera e propria smania, che venne progressivamente soddisfatta dal sistema industriale della moda. Oggi il magenta è associato principalmente all’industria degli inchiostri, delle stampanti a quattro colori: CMYK, ovvero cyan, magenta, yellow, key black. Qualche anno fa la Deutsche Telekom ha registrato il magenta come una sua proprietà per definire la T del marchio di color cremisi carico. Tuttavia non si può brevettare un colore come “sensazione”. Nessuno infatti può dire che quel colore che vede è suo. Mentre è possibile brevettare una composizione chimica di un certo colore. Yves Klein, l’artista francese, ha brevettato il Blu Klein, un monocromo blu oltremare grazie al concorso del fratello chimico. Il magenta non esiste come colore dello spettro poiché è la somma della lunghezza di due diversi colori: rosso e blu. Non è un colore puro ma impuro; gli specialisti del colore sostengono che è un colore sottrattivo e non additivo. 

Sino al Medioevo il rosso porpora teneva il primo posto nella classifica delle tinte preferite dai potenti, ma era anche un colore dai confini imprecisati: rosso, scarlatto, violetto, turchino, rosa-violaceo: corrisponde al colore del cielo al tramonto e del mare in tempesta. Si tratta di un colore status-symbol: re, imperatori, cardinali. Il colore dei martiri per il cristianesimo. Siamo sempre nei dintorni del sangue, cui forse alla sede americana di Pantone non hanno pensato. Oggi però l’erede del porpora non è il magenta, bensì il fucsia, un colore che è abbinato ai gusti del pubblico femminile: smalti, tessuti elasticizzati, accessori. Il fucsia è un colore più esuberante del magenta, persino sfacciato secondo alcuni, legato alla pianta dai fiori penduli rossi e azzurro-violacei. In inglese il termine usato per indicarlo, purple, è l’equivalente del violetto, e nel sistema dei colori Mansell, il più usato al mondo per classificarli, che si basa su 5 colori, il magenta-violetto è il quinto. Nato da una battaglia, ha però lasciato il passo al colore del fiore, ed è essenziale nei processi di stampa, da cui si ottengono tutti i tipi di rosso.

Nel concludere il suo libro sul rosso Pastoureau sottolinea come il rosso abbia oggi lasciato il posto di tinta preferita in Occidente al blu (nel 2022 il colore Pantone era il Very Peri, un blu tendente al viola), forse perché il rosso appare un colore “troppo pesante per le società odierne”. Aggiunge anche che oggi le società – e allude a quelle occidentali – non credono più ai propri valori e voltano le spalle al passato, ai propri miti, simboli e anche ai propri colori. Non sono sicuro che sia vero. Il rosso nelle sue varie versioni resta ancora fondamentale per quanto le nostre società si orientino ben poco di questi tempi verso i colori accessi e brillanti. Forse il colore, ammesso che sia davvero un colore e una tinta, è il grigio. Colore della depressione, dell’incertezza tra il bianco e il nero, è anche colore di quella condizione psichica che uno psicologo e filosofo ha chiamato l’età delle passioni tristi. Come dargli torto? Vista la situazione in cui siamo è meglio il rosso del sangue o la neutralità sospesa del grigio quasi anemico? Bisognerà girare la domanda a Pantone, all’azienda americana. Loro cercano di tenerci su di morale in un momento difficile come questo.

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